Un amore ritrovato, di Isabel C. Alley - Ed. 2013

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view post Posted on 14/2/2013, 16:38
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Sono fatta così...un enigma avvolto in un indovinello e confezionato in un paradosso!

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In occasione della festa degli innamorati INSAZIABILI LETTURE è lieto di presentarvi l’evento letterario "AMORE FRA LE RIGHE".
Per questo secondo appuntamento vi proponiamo un racconto inedito di Isabel C. Alley dal titolo "Un amore ritrovato"








Chiusa la porta dell'appartamento alle mie spalle, camminai lungo il corridoio che divideva il salotto dalla cucina ed entrai nella mia stanza, dove appoggiai la borsa contenente i miei strumenti di lavoro.
Ero stanca, quasi sfinita.
Io e il mio collega avevamo passato le ultime tre ore all'inseguimento di due vampiri particolarmente tediosi, che uniti agli irritanti commenti del mio compagno erano riusciti a peggiorare un nervosismo nato dalla mia esasperazione. Erano settimane che braccavamo quei dannati e non ne potevo più di correre per le strade alla loro ricerca.
Finalmente avevamo messo i loro canini a riposare per sempre.
Mi tolsi i vestiti, andai in bagno e aprii l'acqua della doccia. Mi immersi poco dopo sotto il suo calore, gioendo della morbidezza che tornava a impadronirsi della mia pelle.
A volte, cacciare vampiri era piuttosto frustrante. Mi chiedevo perché ancora lo facessi, dopo tutti quegli anni trascorsi dall'inizio della mia missione personale.
Avevo trafitto centinaia di corpi, tagliato decine di teste, dato fuoco a una dozzina di non-morti, perciò la mia sete di vendetta avrebbe già dovuto essersi spenta da tempo, o quanto meno essersi attenuata.
Ma non potevo mollare il mio lavoro. Non quando gli occhi di mia sorella continuavano a fissarmi, nell'oscurità del mio sonno notturno.
Per evitare di gettare al vento la soddisfazione di una serata terminata alla grande, serrai le palpebre più forte che potevo, allontanando il ricordo della ragazza. Ristorata nel fisico e nell'animo, spensi l'acqua della doccia e lasciai che l'aria fresca fuori dal box formicolasse sulla mia pelle.
L'accappatoio acquistato da poco era morbido contro la mia guancia. Mi ci avvolsi, liberai i capelli dalla stretta dell'elastico e inforcai ciabatte e mutandine. Mancava ancora una cosa, prima di potermi stendere sotto le coperte e dormire fino a che la sveglia di mezzogiorno non avesse suonato, per riportarmi ai miei doveri di comune cittadina italiana.
Tornai nella mia camera e presi da un mobiletto il barattolo di crema per il corpo. Scelsi quella alla rosa, la mia preferita. Dopo una serata conclusa con un successo, dovevo premiarmi nel migliore dei modi.
Appoggiai il contenitore sullo scrittoio e feci per togliermi l'accappatoio, quando un rumore proveniente dalla sala mi indusse a bloccarmi di colpo. Era stato un fruscio di fogli, non il tonfo di qualcosa caduto sul pavimento, e io non avevo lasciato alcuna finestra aperta.
Una scarica di tensione arrivò a bruciarmi le ossa, fino a lambirmi le orecchie. Pareva assurdo, ma nella mia mente si creò un sospetto fondato dalle esperienze del passato: non ero sola in casa. Qualcuno doveva essere entrato in un modo che non riuscivo a immaginare. Non ero nemmeno sicura che il ladro o l'aggressore in questione fosse arrivato prima del mio ritorno o durante il tempo che avevo trascorso in bagno.
Deglutii e mi dissi di mantenere la calma. L'invasore non avrebbe di certo trovato una fanciulla indifesa ad accoglierlo.
Cercando di fare il minimo rumore possibile, scesi dalle ciabatte, levai la pistola e il paletto di legno dalla borsa e mi avviai lentamente verso la porta della mia stanza. Affacciandomi dallo stipite, notai come il corridoio fosse vuoto di qualsiasi presenza. L'estraneo doveva trovarsi in salotto o in cucina.
Mi mossi in punta di piedi, restando a ridosso del muro di destra. A giudicare dal rumore che avevo udito, era più probabile che l'aggressore fosse appostato nel salotto, dove di solito lasciavo qualche appunto disordinato sulle missioni in corso. Se lui aveva sfogliato le mie carte senza l'ausilio di alcuna luce, doveva trattarsi di una creatura capace di vedere al buio.
Un vampiro.
Serrai la stretta sul paletto, mentre la porta del salotto si faceva sempre più vicina.
Il fruscio di carte si ripeté, confermando i miei sospetti.
Se fossi entrata nel salotto senza l'ausilio della luce, il mio nemico avrebbe giovato del vantaggio, riuscendo così ad aggredirmi per primo. Scelsi di accendere la lampada del corridoio, dato che l'interruttore si trovava nel muro davanti al quale ero appostata io. L'illuminazione sarebbe stata poca, ma avrei evitato di brancolare nell’oscurità.
Impiegai meno di un secondo per eseguire l'intera sequenza. Schiacciai l'interruttore, ruotai su me stessa e puntai la pistola verso il tavolo di fronte all'apertura, le dita della mano sinistra strette attorno al mio fedele strumento di legno.
Solo gli anni di addestramento mi permisero di non lasciare che le armi mi cadessero dalle mani, uscite dal controllo di un'attenzione che non mi apparteneva più.
Sparì la tensione, sparì la preoccupazione, sparì il pericolo. I mobili della stanza si unirono in un vortice fatto di oscurità e colori marroni, mentre tutto quello che mi apparteneva, dalla vista alla ragione, veniva catalizzato in uno specifico punto dello spazio. L'unico esistente.
Nel giro di un misero attimo, il mio mondo si era trasformato in una sola persona.
Quella persona che il mio cuore per mesi non aveva sperato più di rivedere, perché aveva preferito sotterrarsi in uno strato di fango pur di non soffrire per un desiderio che non avrebbe più potuto essere esaudito. Quella persona che già una volta avevo perso, ma che mi aveva lasciato una seconda volta in un modo ancor peggiore, per una colpa non mia.
Mi guardava con i suoi occhi ghiacciati e privi di paura, nonostante le due armi che io le puntavo addosso. Non pareva sorpresa di vedermi, ma non avrebbe potuto essere altrimenti, poiché da essa non avrei potuto nascondermi nemmeno se lo avessi voluto dal più profondo della mia volontà. Conosceva praticamente tutto di me, il mio modo di ragionare, le mie abitudini, le mie modalità lavorative. Non avevo segreti per lei, nonostante gli anni ci avessero tenuti sentimentalmente lontani, seppur fisicamente vicini.
La mano che si era insinuata tra i miei appunti di cacciatrice si ritirò, raggiungendo il fianco dell'uomo.
Uomo. Mi ostinavo ancora a definirlo a quel modo.
Dovetti concentrami sulla respirazione, per permettere al mio fiato di continuare a uscire dalle mie labbra spalancate. Abbassai lentamente le braccia, perché sapevo che con lui non avrei corso alcun pericolo.
Non lo vedevo da più di un anno e la mia voglia di lui mi implose dentro, dando origine a un uragano. Voglia di dissetarmi con ogni dettagli del suo aspetto, voglia di ubriacarmi della sua voce, voglia di abbandonarmi all'esperto tocco delle sue dita.
Voglia di viverlo, in tutta la sua pienezza.
Nonostante questo, avevo paura ad avvicinarmi. Sentivo un timore reverenziale avvolgermi, come se dietro al mio angelo si nascondesse un diavolo pronto a punirmi se non mi fossi comportata bene.
Dovevo procedere per gradi, o il mio cuore non avrebbe retto a tanta ardente emozione.
«Come sei entrato?» chiesi con strascicate parole, che a malapena volevano uscirmi dalle labbra, come se avessero avuto il terrore di apparire inadeguate al confronto di altre che avrebbero potuto essere utilizzate in maniera molto più efficace.
La loro inquietudine non poteva rivelarsi meno infondata. Il nuovo arrivato mi regalò uno dei suoi sorrisi più sinceri, quello che da tempo avevo visto solo nei miei ricordi, ma sul quale potevo vantare un'esclusiva proprietà. «Ricordo ancora dove tieni le chiavi di scorta».
Non resistetti alla luminosità dei suoi occhi. Mi ero assicurata di andare per gradi, ma se tenermi distante da quella fonte di meraviglia doveva essere più doloroso che tuffarcisi a capofitto, preferivo il male minore. Continuare a stare lontana dall'uomo mi avrebbe privata dell'aria, spinta in una morsa d'acciaio e tritata in milioni di frammenti. Sarei morta, se non avessi constatato immediatamente la sua reale esistenza.
Abbandonai con noncuranza le armi sopra il mobiletto più vicino e mi precipitai tra le braccia aperte del mio amore perduto. Lo strinsi come lui fece con me: con il tormento di chi si separa e non sa se riuscirà mai a ricongiungersi; con il bisogno di un affamato che non tocca cibo da settimane; con la disperazione del fiore che, dopo giorni di gelo, rivede il sole spuntare nel cielo.
La sensazione provata l'ultima volta che eravamo stati abbracciati così, senza alcun pensiero che ci potesse allontanare dalla felicità, tornò impetuosa a impadronirsi delle mie vene. Era stupenda. Non mi ero mai sentita così al sicuro.
«Da quanto tempo sei in città?» domandai, la guancia premuta contro la sua spalla foderata dalla giacca di pelle.
«Una settimana».
Una settimana... avrei potuto vederlo prima di quella sera e ridurre la mia sofferenza di sette giorni. Sapevo che in realtà non sarebbe cambiato niente, ma quel pensiero mi trasmise una rabbia estranea a quel momento di gioia.
«Perché hai aspettato tanto? Perché non sei venuto subito?».
«Ho dovuto sistemare alcune faccende urgenti. Tu sei la prima umana a saperlo, non l'ho detto a nessun altro».
«Neanche a lei?».
«Neanche a lei».
Di nuovo la prima... il mio amore perduto mi aveva posizionata sopra alla sua ultima donna, nella scala delle sue nuove priorità. Sorrisi, perché dopo tutti i mesi in cui li avevo visti insieme, mesi di rancore in cui ero arrivata a considerarmi addirittura una perdente, tornavo a riprendermi ciò che mi spettava.
Mi scostai da lui e accarezzai il suo viso con entrambe le mani. Da quella distanza, potevo notare come piccoli dettagli nella sua espressione fossero cambiati. La durezza della nazione in cui si era spostato, come la pericolosità della missione in cui si era imbarcato, lo avevano reso più rigido, togliendogli quel poco di serenità che io e lui eravamo riusciti a creare insieme.
Lei, l'altra, aveva distrutto il suo mondo diventato tranquillo e pieno di speranza. Tutti i miei sforzi, i nostri sforzi, erano stati stracciati da una ragazzina nevrotica. I mesi di lontananza da casa avevano fatto il resto.
Ma lui ora era qui con me, a contatto con il mio corpo stanco. Solo quello contava.
Tuttavia, le pieghe ostili che vedevo emergere dalle labbra e dagli occhi dell'uomo mi indicavano che non avrei più riottenuto l'amore che avevo perduto già due volte. Era tornato, sì, era tornato per me, forse per recuperare qualcosa, ma il sentimento tra noi non sarebbe mai stato com'era alla sua origine.
La prima volta in cui il ragazzo era entrato nella sede, lo aveva fatto con l'aria di un cane bastonato, che dopo essere stato curato desidera solo la vendetta più nera contro chiunque gli ricordi il suo aggressore. Ne avevo avuto paura, all'inizio, perché una persona misteriosa come lui, una statua congelata nel corpo di un ragazzo, l'avevo già conosciuta una volta. Me ne ero innamorata, e quel bastardo mi aveva premiato consegnandomi la delusione più grande della mia vita.
Ma quel ragazzo singolare e indecifrabile, sorvegliato a vista dal capo, mi osservava con occhi che erano unicamente per me. Passava accanto a tutti gli altri colleghi con sguardo dritto, voltandosi e rispondendo solo se direttamente interpellato. L'agente di ghiaccio, lo avevano soprannominato. Ma quel ghiaccio pareva sciogliersi alla mia apparizione, come se fossi stata la fiamma che avrebbe potuto liberare un cuore imprigionato.
Scoprii allora che il tempo può cambiare le persone. Forse si trattava di un istinto di sopravvivenza umano, che portò il ragazzo a cercare in me una persona su cui concentrare la propria attenzione, fino a innamorarsene. Così lo vidi mutare: i suoi sguardi farsi più caldi, le sue parole diventare più dirette, i suoi sorrisi passare dalla dolcezza all'eloquenza.
D'altronde era mosso da un desiderio di redenzione. Il suo animo non era gravato dai timori che lo avrebbero colpito gli anni successivi.

«Non sei più lo stesso» affermai con tono triste, appena i polpastrelli a sfiorargli le guance, come se avessi avuto paura di contagiarmi con una cattiveria che speravo fosse solo una mia invenzione.
Ma le sopracciglia si piegarono sulla fronte e gli occhi fissi nei miei si accesero di consapevolezza, dandomi una conferma che si tuffò nel mio cuore e creò un devastante tsunami. «Ho dovuto affrontare situazioni difficili, qualcosa di molto peggiore rispetto a quello che combattiamo qui» ammise.
Il pensiero del mio amore di nuovo lontano da me, quando lo avevo appena ritrovato, bussò alla porta del mio animo, facendolo gridare. «Quando tornerai via?».
«Via? No, sono tornato per restare. La mia missione là è finita. Ora ne ho un'altra più importante qui da portare a termine».
Una gioia inconsulta mi esplose dentro, facendomi lacrimare gli occhi. Lui era con me e non mi avrebbe più abbandonato! Mai più avrei subito il tragico tormento di un cuore spezzato. Mai più sarei arsa nella gelosia di sapere il mio amore tra le braccia di un'altra donna, il suo istinto oscuro risvegliato dalla fiamma di un sangue diverso dal mio.
Già, il sangue. Ero pronta a scommettere che quella missione distante da casa non avesse migliorato il suo rapporto con quella linfa per lui vitale, a causa della sua natura non-morta.
Sollevai una mano ad accarezzagli le labbra. Erano vellutate, prive di qualsiasi piega provocata dal freddo o dall'ansia. Il loro colore, più scuro e intenso del rosso naturale che contraddistingue noi esseri umani, indicava che il mio compagno si era nutrito da poco.
«Non hai smesso con il sangue».
L'uomo spostò la mia mano lungo la sua guancia, lontano da quella parte del corpo che io avevo incriminato. Nei suoi occhi, nascosti ora dalle palpebre socchiuse, scese un velo di colpevolezza che non si addiceva alla nuova idea che mi ero fatta di lui. «Non ho avuto scelta. Colui che mi controllava non me ne ha data».
«E, chiunque egli sia, ti controlla ancora?».
Esitò nella sua risposta, quasi fosse indeciso se liberarsi di un macigno o se tenere per sé un pericoloso segreto. La sua espressione assunse un'aria calcolatrice, fino a ripiegare su un sorriso affascinante.
Se il suo obiettivo era distogliermi da quell'attimo di debolezza, non ci stava riuscendo. Lo conoscevo troppo bene perché potesse nascondermi qualcosa. «Non più. Ora seguo una strada che soltanto io ho scelto».
Quella risposta sapeva di fumo. Un tetro alone velava la verità che l'uomo non mi voleva confessare, e il ricordo di ciò a cui una situazione simile ci aveva già portato in passato rischiò di strapparmi il respiro dal petto e gettarlo in una fossa di cani.
Ma non avevo voglia di ascoltare la voce della mia coscienza. Il mio amore perduto era a pochi centimetri da me, mi guardava come se fossi stata l'unica donna della sua vita, perciò non mi interessava delle tenebre che lui si portava appresso.
I miei occhi non lo assaporavano da più di un anno. Le mia braccia da molti più mesi.
Le mie labbra da un tempo immemorabile.
«Perché sei venuto da me?».
Il sorriso svanì dalla sua bocca, lasciando spazio a una linea seria e concentrata. Quando assumeva quell'espressione significava che stava per dire qualcosa di estremamente importante. Avrei scoperto l'entità della notizia e il livello della sua positività solo una volta pronunciate le parole. «Perché tu sei l'unica che possa capirmi davvero. Perché sei l'unica con cui nella mia esistenza abbia desiderato trascorrere l'eternità e sei l'unica con cui io voglia farlo ancora, adesso».
«Ma non è possibile. Io non sono come te. Invecchierò e morirò, mentre tu rimarrai giovane e bello come ti vedo in questo momento».
Con la fierezza e la risolutezza che nei mesi passati si erano impadronite di lui, non lasciò i miei occhi nemmeno per un secondo, mentre le sue braccia mi circondavano la vita e la sua bocca si muoveva per emettere la sua sentenza. «Sono venuto qui per farti una proposta...».
Le mie orecchie non volevano credere a ciò che stavano udendo. La richiesta che mi presentò successivamente era assurda, priva di un senso per me. Non ne capivo la ragione, non ne tolleravo l'esistenza. La sua convinzione, così radicata nell'anima oscura di quella creatura, probabilmente non aveva pensato alla mia voglia di vivere.
La prima volta in cui quel ragazzo mi fece una proposta importante, io lo rifiutai. Non perché mi considerassi superiore a lui, non perché lo trovassi ripugnante.
Appariva ai miei occhi come un pericolo da evitare con la massima cura. Quel viso disteso davanti a me, quando di fronte agli altri cercava la rigidità dell'ombra e del mistero, sapeva quasi di schizofrenia. Ero spaventata perché non riuscivo a comprenderlo. Gli arcani che lui nascondeva, e che forse nemmeno il capo conosceva, suonavano dentro di me il campanello d'allarme tipico di un cacciatore, o di qualsiasi essere umano colto dall'istinto di sopravvivenza.
Mi chiese di uscire, di vederci al di fuori dell'ambito lavorativo.
Io gli dissi semplicemente la verità.
Ero appena uscita da una storia tragica, fatta di inganno e frustrazione, con un essere umano che avrebbe reso i vampiri migliori ai miei occhi, se non fosse stato per mia sorella. Non volevo imbattermi in una nuova avventura basata solo sul mistero. Ero spaventata da ciò che non conoscevo e di quello non me ne vergognavo.
Mi ero aspettata che lui si aprisse, che confessasse tutte le sue sfumature più tetre, pur di soddisfare la mia curiosità, ma non lo fece. Al contrario, si comportò nel modo che meno gli si addiceva.
Tentò di conquistarmi nel più classico dei modi.
Chiese al capo di assegnarlo in coppia con me nelle ronde e nelle missioni, e lui, da mentore soggiogato, accettò. Io e il ragazzo passammo così quasi tutte le sere insieme, girando per la città e cacciando vampiri, mentre lui cercava di farmi ridere con le sue battute e mi adulava con i suoi complimenti. E ci riusciva sempre più spesso, con lo scorrere dei giorni.
Il mio non era un cuore di pietra. Quando si trascorre tanto tempo con la stessa persona ci si affeziona, e se quella persona mostra tanto amore da esserne illuminato, non si può fare altro che rimanerne contagiati.
Cedetti quando, nel giorno di San Valentino, un fioraio si presentò al mio negozio con un mazzo traboccante di rose rosse. La mia collega rimase a bocca aperta e mi chiese quale incantesimo avessi lanciato al mittente per indurlo a offrirmi quel regalo inaspettato. Le risposi che non lo sapevo, e in effetti io non avevo fatto nulla a quel ragazzo misterioso, se non rifiutarlo e cercare di allontanarmi da lui.
Il biglietto che accompagnava le rose riportava un messaggio eloquente:
“La paura può essere sconfitta soltanto affrontandola. Io non sono un tuo nemico, perciò lascia che ti offra un accordo di pace. La malattia che affligge il mio animo e di cui tu hai tanto timore può essere curata solo con l'amore. Vuoi essere la mia medicina?”
Gli dissi di sì quella sera stessa.
«Lascia che io ti trasformi in una vampira. In questo modo staremo insieme per sempre».
Parole che mi riecheggiavano nella mente e che non volevano saperne di fermarsi. Sarebbero diventate un tormento, il ticchettio nervoso di un orologio che segna le ore posizionate tra la vita e la morte. Dovevo liberarmene, ma non potevo. Non in quel momento, almeno.
«Perché mi chiedi questo? Perché ora?».
L'uomo avvolse il mio viso nelle sue mani, avvicinandosi fino a premermi ancor di più l'accappatoio umido contro la pelle. La sua fronte prese contatto con la mia e gli occhi, quegli occhi solidi e luminosi come diamanti, non mi lasciarono altra scelta se non quella di ammettere che sì: l'eternità con lui poteva valere la mia vita. «Perché ho capito di non potermi più redimere. Sono ancora malato nello spirito, di una patologia che può condurmi solo nell'oscurità, e c'è un'unica medicina che possa alleviare il mio dolore. La mia esistenza è ricominciata da te e con te la voglio continuare. Ti supplico nella febbre disperata del mio male: guariscimi!».
Come potevo non ascoltare quell'affranta richiesta d'aiuto? Come potevo tenere tra le braccia il mio amore ritrovato e sapere che lo avrei perduto una terza volta? Come potevo affogare il mio cuore nell'oceano, quando aveva riguadagnato l'aria aperta e respirabile dopo così tanto tempo?
Ma c'erano dei fattori che dovevo considerare. Non potevo riuscirci, con la mente pervasa da tanta confusione. Avevo bisogno di calma, e la calma, all'apparizione del mio amore ritrovato, si andava a nascondere in un ripostiglio buio e disordinato.
«Devo pensarci. Non posso darti adesso una risposta».
«Io non la pretendo. Per ora, lenisci soltanto un po' della mia pena».
La mia ragione staccò la spina e nella presa della corrente si inserì il mio desiderio. Una brama di labbra contro labbra, di pelle contro pelle, di fuoco dentro altro fuoco. A quella risposi, perché sapevo che non avrebbe potuto farmi alcun male.
Lo baciai con foga, mentre le lacrime mi scendevano lungo le guance arrossate dal freddo delle sue mani. Sbocciai in un fiore dai mille petali colorati, mentre ritrovavo il sole che, rimasto nascosto dietro le nuvole, aveva giovato del vento per tornare a risplendere.
La prima volta in cui facemmo l'amore, io ero sommersa da mille dubbi sulla nostra relazione. Eravamo felici, ma avremmo continuato a esserlo, con il trascorrere del tempo? Quel ragazzo che suonava con maestria le corde del mio corpo non mi aveva ancora svelato tutto su di sé. E se il suo era solo un singolo segreto, avrebbe potuto rivelarsi grande come una montagna. Sarebbe bastato quello a gettarmi nella disperazione più totale.
Ma per quella notte dimenticai tutto. Fu quel ragazzo a permettermi di farlo, con il suo sguardo preso, i suoi lineamenti distesi, la sua energia di convalescente che guarisce. C'erano amore e passione che si irradiavano dal suo petto, inconsapevoli della battaglia che si stava combattendo dentro di me.
Perché dovevo avere paura, quando il mio ragazzo mi stava offrendo l'amore più puro con cui potessi dissetarmi? Perché dovevo essere intimorita dai suoi sorrisi genuini, dalle parole dolci che mi sussurrava ogni notte prima di lasciarmi davanti a casa? Perché dovevo tremare di fronte alle sue carezze accorte, che mai avevano avuto obiettivo diverso dal rendermi unica e gioiosa?
Era inutile farsi domande quando non avevo piena facoltà di rispondere.
Passata la passione, mentre mi teneva stretta tra le sue braccia, il ragazzo mi confessò di non essere certo l'uomo perfetto. Stando con lui, avrei rinunciato a cercarlo, quell'uomo, colui che mi avrebbe portato all'immensa felicità senza macchiarsi di alcun crimine, colui che sarebbe stato depositario della più grande dolcezza e gentilezza del mondo. Il ragazzo non poteva possedere quelle caratteristiche perché erano contro alla sua natura, ma avrebbe speso tutte le proprie energie cercando di avvicinarsi il più possibile alla perfezione.
Io cercai di credergli con tutta me stessa e forse fu per questo che arrivai a perderlo. Quando successe, urlai contro di me tutta la mia rabbia, pensando che la perfezione non potesse esistere in nessun luogo e in nessuna persona.

Anni dopo, tra le braccia di quello stesso ragazzo diventato un uomo, ero ancora sicura di quel mio pensiero. Ma se la perfezione era troppo remota per essere afferrata, dovevo rendere l'imperfetto qualcosa di migliore da vivere. Perché senza quella persona imperfetta, la felicità non avrebbe più bussato alla porta della mia breve e vana esistenza.



L'autrice:
Isabel C. Alley nasce il 1 luglio 1988. Ha pubblicato Il Diario di Isabel.

“Chi è Isabel C. Alley? Domanda difficile.
Potrei affermare di essere una persona di periferia che è diventata una cittadina per motivi di studio e di lavoro. Potrei definirmi una brava ragazza, sognatrice e altruista. Potrei aggiungere che amo il mio lavoro e che i miei colleghi sono fantastici. Potrei rivelare di essere single, ma che in passato sono stata fidanzata diverse volte.
Potrei raccontarvi tutti questi dettagli e non vi mentirei mai. Ma questa sarebbe solo la parte visibile di Isabel Cariani, la facciata che ogni individuo crea attorno a sé per mascherare una personalità enigmatica, macchiata da oscuri segreti che dovrebbero rimanere nascosti sotto strati di indifferenza.
Questa ero io, qualche tempo fa. Tutto ciò che desideravo era conservare i miei segreti in un angolo della mia anima, nella speranza che non tornassero a tormentarmi. Ma, come qualcuno mi ha detto in passato, tenersi tutto dentro serve solo a peggiorare la situazione.
Di cosa sto parlando? Non c’è bisogno che lo andiate a chiedere a qualcuno. Sarò io stessa a raccontarvi del mio passato, perché lo spazio nel mio armadio, per nascondere quegli scheletri, non basta più. Dunque condivido con voi il mio diario, perché è giusto che siate messi in allerta.
Tutti dovete sapere che, tra noi, non ci sono solo esseri umani a solcare il suolo che percorrete di fretta, senza prestare troppa attenzione a chi vi passa accanto. Sono state proprio loro, le creature di cui non sospettate l’esistenza, a stravolgere la mia vita. Può succedere anche a voi, se abbassate la guardia.
E mentre io scrivo queste parole, là fuori un vampiro si appresta a cacciare una nuova vittima. Forse è una di voi, o forse no, ma ricordate: se avrete bisogno di un aiuto, se una creatura dannata camminerà alle vostre spalle con l’intento di servirsi del vostro sangue, del vostro corpo o della vostra anima, io sarò pronta, al vostro servizio.
Chi è Isabel C. Alley? Scopritelo leggendo il mio diario. Forse, non è poi così difficile dare una risposta a questa domanda.”

Edited by Pau_7 - 26/4/2014, 11:20
 
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Lua_89
view post Posted on 14/2/2013, 18:03




Bello, Isabel, come sempre le tue storie sui vampiri mi piacciono tanto. però non sono riuscita a capire chi sono i protagonisti! penso faccia parte del mistero.... :-)
Cmq, complimenti come sempre,
Lua :occhioni:
 
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AnitaBlake
view post Posted on 17/2/2013, 12:00




Complimenti! Un racconto carico d'amore e di tensione. Da brivido eppure estremamente tenero.
 
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view post Posted on 22/2/2013, 23:12
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Sono fatta così...un enigma avvolto in un indovinello e confezionato in un paradosso!

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Veramente molto bello!
Una storia struggente ma nello stesso tempo dolce. La sofferenza della protagonista, la paura di riperdere il suo amore, la confusione nel prendere una decisione così importante. Tutto passa in secondo piano quando l'amore è vero, intenso, vissuto.
Complimenti Isabel!
:Lucia: :Lucia:
 
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milenato
view post Posted on 26/5/2013, 08:05




Mi è sembrato ancora acerbo, ma comunque promettente, anche se i vampiri non sono la mia passione, pur avendo amato molto l'ultimo della Showater" un oscuro risveglio". Milena
 
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feliceio
view post Posted on 28/6/2013, 14:01




Sono Elizabeth e Stephan. lui ritorna dopo un anno e..
Nel frattempo Isabel si è innamorata di lorenzo
 
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gessy
view post Posted on 12/8/2013, 13:26




Non sono una romantica, se devo leggere storie damore voglio che siano piene di ostacoli, piene di avventura...
A volte non voglio neppure il lieto fine. Ma questo racconto è davvero perfetto!
Ne sono rimasta ammaliata :wub:
 
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sayuri1988
view post Posted on 20/10/2013, 14:51




anche secondo me sono Elizabeth e Stephan :piangooo: povera Isabel
 
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PawaPawa
view post Posted on 11/2/2014, 18:52




Bellissima!!! Come sempre sei troppo brava a scrivere! Io leggo tutto quello che scrivi! Ma ti prego nn dirmi che sono davvero Elizabeth e Stephan!!!!! :nuuu: :nuuu:
 
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view post Posted on 16/3/2014, 18:58

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Appunto!!
Elizabeth e Stephan???
Non scherziamo perlamordidio!!
 
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9 replies since 14/2/2013, 16:38   1057 views
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