Non c’è due senza… te, di Susan Laine - 30 Aprile

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view post Posted on 26/4/2013, 22:01
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Sono fatta così...un enigma avvolto in un indovinello e confezionato in un paradosso!

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NON C'È DUE SENZA... TE

noncduesenzateIl quindicenne Addy Monroe, imbottigliato nel traffico insieme ai suoi zii, assiste a una scena che cambierà tutta la sua vita: sul sedile posteriore di un taxi bloccato accanto alla loro auto ci sono due ragazzi che gli rivelano l’esistenza di un altro mondo. Sei anni dopo, in un locale di Los Angeles, Addy incontra il cantante rock Zak Roscoe, l’uomo che, involontariamente, gli aveva mostrato chi fosse veramente, e non si lascia sfuggire l’occasione di assaggiarlo.

Da quella persona riservata e circospetta qual è, Zak trova le avances determinate di Addy sia fastidiose che divertenti, e alla fine acconsente a lasciarsi sedurre per una notte di piacere. Sfortunatamente, le brutte abitudini sono dure a morire, e gli atteggiamenti post-coitali di Zak lasciano molto a desiderare. Addy si trova così a capire che qualche volta il sogno e la fantasia non hanno proprio nulla in comune. Ma se i desideri fossero seconde occasioni…

Editore: Dreamspinner Press
Genere: M/M
Pagine: 129
Formato: eBook
Estensione: .epub, .mobi, html, pdf

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ESTRATTO:
Prologo





Ebbi la certezza assoluta di essere gay all’età di quindici anni quando, attraverso il finestrino di un’auto e in pieno giorno, mi capitò di adocchiare quel mondo misterioso e invitante.

Io, Adrian Monroe – Addy, per gli amici e la famiglia – ero spaparanzato, e quasi morto di noia, sul sedile posteriore della Toyota bordeaux dei miei zii, impregnata dell’odore nauseante di uno di quei deodoranti per auto alla piña colada. Considerata la mia età, c’erano un sacco di cose che mi annoiavano spesso e volentieri. Eravamo bloccati nel traffico di Los Angeles e i miei zii battibeccavano sui sedili anteriori. Lei diceva di aver avuto la certezza che quella strada sarebbe stata un disastro a quell’ora, e lui ribatteva rinfacciandole di saper a malapena guidare. Il più delle volte, la situazione a quel punto tendeva a surriscaldarsi; quindi cercai di estraniarmi, per quanto fosse possibile senza il supporto del mio fidato iPod.

Fu allora che vidi il taxi fermo accanto alla nostra macchina.

Non so se fosse lì già da tempo oppure se si fosse appena mosso, ma all’improvviso non riuscii a distogliere lo sguardo.

Sul sedile posteriore, proprio di fronte al mio finestrino, c’erano due ragazzi che ci davano dentro alla grande.

Era proprio il tipo di scena che mi sarei aspettato di vedere in uno di quei film porno-gay che tenevo nascosti sotto al materasso – ben consapevole che non fosse esattamente la cassaforte di Fort Knox – e che probabilmente mia madre aveva ormai scoperto da tempo, dato che ogni tanto mi lanciava quel genere di occhiate che racchiudevano, tutto insieme, sorpresa, preoccupazione e amore.

In ogni caso eccomi là, a pensare ai fatti miei, fino a che non successe.

Giuro che la mascella mi si spalancò con uno schiocco secco e gli occhi mi si allargarono fino a raggiungere le dimensioni del Gran Canyon.

Seminascosto nell’ombra del taxi, uno dei due ragazzi agitava freneticamente la testa contro il poggiatesta; io riuscii solo a intravederne i capelli neri e il fisico statuario.

La mia attenzione era concentrata sull’altro, che gli si stava praticamente strusciando addosso – o per meglio dire, gli si librava sopra. Era alto e snello, con un corpo abbronzato e ben definito. Ogni suo muscolo – teso, delineato e scolpito – era accessibile alla vista: una festa per i miei occhi. Mai, nella mia intera vita avevo visto un esemplare tanto notevole del genere maschile. I capelli corti e biondi sottolineavano il viso dai tratti virili e spigolosi e la corta barba dorata doveva procurare all’altro, che invece era perfettamente rasato, l’irritazione più estesa della sua vita, perché gli si sfregava praticamente ovunque.

Il biondo con il fisico da atleta leccava il petto del partner e gli succhiava il capezzolo destro, apparentemente con una certa energia e forse anche mordicchiando, poiché quello sotto rabbrividiva e gemeva ad alta voce. O almeno così sospettai, dato che il conducente del taxi rivolse loro un’occhiata divertita. Il moro era a petto nudo, ma il biondo indossava ancora – da quello che mi sembrò di vedere – una maglietta grigia e dei jeans. Abiti non certo particolari, ma che valorizzavano il suo fisico sexy, tanto che i miei pantaloni si restrinsero magicamente – oppure fu il mio uccello a gonfiarsi del desiderio di mettersi a giocare con lui invece di starsene ingabbiato in jeans troppo stretti, a sorbirsi le liti dei parenti.

Il biondo fece scivolare la lingua sul petto dell’amico fino a raggiungere l’altro capezzolo, cominciando subito a succhiarlo con avidità, probabilmente facendogli anche male. Non vedevo come muoveva la mano destra, ma riuscii facilmente a immaginarlo dall’inconfondibile moto ondulatorio dei fianchi dell’altro.

Mentre ero anch’io sul punto di venire e mi conficcavo con forza le unghie nelle cosce per impedirmi di dare spettacolo davanti – dietro, a voler essere proprio esatti – ai miei zii, il biondo aprì gli occhi, iniziando a pizzicare e stuzzicare con le dita il capezzolo che la sua bocca aveva appena lasciato libero.

Dio, era una scena così dannatamente eccitante che riuscivo a malapena a respirare.

All’improvviso, quegli occhi – di un grigio intenso e profondo come l’acciaio di una lama, o nubi tempestose o montagne lontane – si alzarono, dapprima confusi e un attimo dopo già vigili.

E si fissarono su… di me.

Sobbalzai ma non riuscii a distogliere lo sguardo, mentre i miei occhi si allargavano come piattini da tè. Mi ero sempre chiesto se fosse vero che certi sguardi sono magnetici, che hanno il potere di trattenerti con la stessa forza di un tocco fisico.

In quel momento capii che era così.

Volevo staccarmi da quello sguardo penetrante, ma non riuscivo a far nulla: i miei occhi verdi erano incollati ai suoi. Era come se il mio cuore si fosse fermato tra un battito e l’altro e il respiro mi pizzicasse la gola chiusa. Trattenni il fiato così a lungo che cominciai a vedere dei puntini neri sullo sfondo.

Mi sentivo imbarazzato, impaurito, umiliato… ma soprattutto eccitato. Non sapevo cosa desiderassi di più – se bruciare per combustione umana spontanea, sprofondare nella terra oppure volatilizzarmi nell’aria –, così continuai a rivolgere all’uomo più sexy che avessi mai visto uno sguardo terrorizzato, perso e senza speranza.

Poi, quelle labbra sottili e sensuali si piegarono in un sorriso sbilenco e malizioso, e il ragazzo strizzò l’occhio.

Proprio così. L’uomo più sensuale sulla faccia della terra mi fece l’occhiolino proprio mentre ero impegnato a costruire la mia nuovissima carriera di guardone, e invadevo la sua privacy spiandolo mentre faceva sesso con un altro. Anche se, in mia difesa, va detto che lui si stava dando da fare in un taxi sulla pubblica via di una grande città. Quindi immagino di non essere stato poi tanto rivoltante…

Non potei neppure fare a meno di chiedermi perché stesse flirtando con me, dato che il mio aspetto era talmente lontano dalla sua virilità sexy e perfetta che difficilmente avremmo potuto coesistere nello stesso universo. Avevo quindici anni, tenetelo presente, e non ero ancora un uomo. I capelli castani mi stavano sulla testa come un nido di ramoscelli sopra un albero, e siccome ero piuttosto basso per un ragazzo – al massimo avrei potuto aspirare al metro e settantacinque – cercavo in ogni modo di mettere continuamente alla prova me stesso e la mia prestanza fisica. Forse è anche per quel motivo che, qualche tempo prima, mio padre mi aveva iscritto a un corso di arti marziali: così non sarei stato preso di mira da tizi più grossi di me che semplicemente non “capivano” come si potesse essere gay. Non che questo mi avesse impedito di prendere la mia bella dose di botte dopo la scuola, anche perché ero piuttosto reticente a ferire o far male alle persone, indipendentemente da quanto bigottismo, ignoranza o addirittura odio dimostrassero nei miei confronti. In ogni caso, anche se ero piuttosto piccolo avevo dei bei muscoli che cominciavano già a vedersi. E quando fossi cresciuto…

Oddio, non vedevo l’ora.

In modo particolare se era quello ciò che anch’io avrei fatto. Assolutamente sì!

Pur continuando a baciare il petto dell’altro ragazzo, quello spettacolo d’uomo, che io desideravo sentir strisciare lungo tutto il mio corpo, continuava a sorridermi e a tenere lo sguardo agganciato al mio. Con gli occhi spalancati, fissi su quella scena dissoluta, sentii che il piatto della bilancia dei miei gusti e delle mie curiosità sessuali cominciava e pendere verso le mie vere preferenze; e mentre i veli cadevano dai miei occhi, sentii emergere dalle profondità del mio essere una certezza che non aveva nulla a che vedere con la lussuria. Non tanto, almeno. Fu un momento di auto-consapevolezza, l’epifania di un frammento di universo che si apriva davanti a me. Come un fulmine a ciel sereno, l’ingranaggio di un enorme meccanismo scattò al suo posto, il velo d’oscurità fu sollevato e io fui pervaso da un senso di completezza: riuscii finalmente a capire chi ero, e che ero indiscutibilmente gay.

Desideravo anch’io quello che avevano quegli uomini. Ma non solo il sesso, fate attenzione: volevo l’intimità, la vicinanza, il poter stare insieme a un uomo senza dovermi nascondere. Volevo sentire il calore del suo fiato sul collo, la presa virile delle sue mani sui fianchi, il peso del suo corpo sul mio, la pressione del suo sesso dentro di me. E non mi sfuggì neppure la stranezza della situazione: ossia il fatto che stessi scoprendo quello che ero realmente sul sedile posteriore della Toyota al profumo di piña colada dei miei zii.

Tuttavia, con davanti agli occhi la visione spettacolare di loro due che si amavano fisicamente fuori dal mio finestrino, sentii un moto di esultanza al pensiero che un giorno anche io sarei stato così vicino a un altro uomo.

Così, per la prima volta nella mia vita, rivolsi a una persona del mio stesso sesso un sorriso che voleva essere più provocante che amichevole.

Sì, il mio gesto fu leggermente esitante e molto teso, ma quel sogno umido e biondo mi rispose, rivolgendomi con la testa il suo saluto di menti affini. Mi sentivo pronto per essere colto, come una mela succosa alla fine dell’estate, e se quel ragazzo fosse saltato fuori dalla sua macchina e dentro alla nostra con l’intenzione di prendermi in quel preciso momento, una grossa parte di me si sarebbe, senza ombra di dubbio, messa a quattro zampe e avrebbe gridato di gioia.

Sì, scopami, per favore.

Naturalmente, e con mio grande rammarico, la meraviglia umana non fece nulla del genere, ma continuò a lanciarmi occhiate furtive e piene di significato attraverso i finestrini che ci separavano, mentre la sua bocca non smetteva di fare cose meravigliose all’uomo di cui avrei voluto prendere magicamente il posto. E sognavo anche che tempo e spazio si fermassero in quel fugace secondo tra due battiti del cuore, e in quel luogo – imbottigliato nel traffico dell’ora di punta dentro una macchina che profumava di bevande tropicali. Scivolando fuori dai confini della realtà, appoggiai la fronte contro il finestrino e assaporai quel momento di piacere e consapevolezza.

Improvvisamente la nostra auto avanzò, accompagnata da un sospiro di rabbioso sollievo da parte di mio zio, che si trovava ancora sotto l’attacco verbale della moglie, e ci allontanammo dal taxi che invece era ancora fermo. Metro dopo metro quell’uomo perfetto sparì dalla mia vista – e di conseguenza dalla mia vita – fino a che non riuscii più a distinguere il taxi nel mare dei tettucci, molti dei quali erano ugualmente gialli.

Mentre la mia erezione si sgonfiava, sprofondai nel sedile, sospirando debolmente, fisicamente spossato ed emotivamente prosciugato. Chiusi gli occhi e fui accolto dalla visione del mio futuro sentimentale e sessuale, che si dispiegava davanti a me come un sentiero di cristallo – ed era quell’uomo che dovevo ringraziare per la rivelazione.

Giurai, allora, che se mai lo avessi incontrato di nuovo, lo avrei ringraziato dal profondo del cuore, e poi lo avrei sedotto e portato a letto, dove gli avrei fatto vedere contemporaneamente i fuochi d’artificio, il movimento delle stelle e lo spostamento dell’asse terrestre.

Sì. Eccolo il mio piano. Sorrisi.





Capitolo Uno





Dovetti sbattere le palpebre, due volte. Poi ancora una, tanto per essere sicuro.

L’uomo dei miei sogni era proprio di fronte a me, sul piccolo palco di un locale buio, a cantare e suonare la chitarra. Non esattamente hard-rock, ma comunque rock, all’hard ci pensavo già io per entrambi.

Aveva i capelli più lunghi di quando lo avevo visto la prima volta, ma trovavo che questo taglio gli stesse meglio. Curiosamente, come se si trattasse di un salto indietro nel tempo, indossava una semplice maglietta grigia – all’apparenza trasandata e consunta, ma decisamente trendy – e jeans neri strappati ad arte. Il tutto avvolgeva il suo fisico perfetto come una seconda pelle. Ma al di là dei vestiti attillati, notai che, rispetto al nostro incontro precedente, erano scomparse alcune linee morbide e arrotondate: il suo corpo si era trasformato in una specie di macchina da guerra, asciutta e dai contorni squadrati. ‘Non da abbracciare ma di certo da scopare,’ pensai. All’improvviso, mi tornò in mente come mi aveva fatto sentire tutti quegli anni addietro e apparentemente mi faceva ancora lo stesso effetto. Credo che se così non fosse stato, avrei cambiato idea all’istante.

Prima di quella sera, non ero mai stato in quella parte di Pasadena. Il posto era un locale gay che si chiamava Pump&Circumstance; un nome che nessuna persona sana di mente cercherebbe di capire, ma il cui significato era assolutamente chiaro a chiunque fosse affamato di sesso. A essere onesti, in effetti, c’erano delle gran pompate lì dentro, molto più che qualsiasi altra attività.

Dopo aver finito il suo pezzo con un assolo, lui – cazzo, dovevo assolutamente abbinare un nome a quel viso e a quel corpo – si gettò con disinvoltura la cinghia della chitarra sopra una spalla e saltò giù dal palco con l’agilità di una gazzella. Facendosi spazio attraverso la folla si diresse verso la zona VIP, separata dal resto della sala da tende e con un nastro di velluto rosso a bloccare il passaggio.

Per mia fortuna, mi trovavo proprio sulla sua traiettoria.

E ancora meglio, verso i diciassette anni avevo avuto una specie di crescita miracolosa, quindi a quel punto la differenza tra noi si era quasi livellata, anche se io ero ancora una decina di centimetri più basso. Tutto ciò non mi impedì, comunque, di piombargli esattamente davanti, come un masso.

“Ciao,” lo salutai con un sorriso radioso, piantandomi proprio sul suo cammino.

“Ciao,” ricambiò lui stancamente, mentre il suo odore virile, mescolato a quello acuto e penetrante del dopobarba – nonostante ci fosse già qualche traccia di ricrescita sul mento – mi penetrava nelle narici. Inalai a fondo.

“Volevo solo ringraziarti.” Meno male che avevo avuto tempo a sufficienza, per l’esattezza sei anni, per accumulare abbastanza coraggio nel caso si fosse presentata un’eventualità del genere – per quanto, in quel lungo periodo, fosse sembrata un’ipotesi sempre più remota.

Con un’espressione divertita e curiosa dipinta sul bel viso, lui rise leggermente sotto i baffi, anche se con una traccia di esitazione. “Uh, ok… è stato un piacere,” rispose, cercando di scansarmi.

Gli andai di nuovo davanti, direttamente nel suo spazio personale. Non c’era possibilità che mi lasciassi sfuggire l’occasione: non per la seconda volta. “Chiedimi perché.”

Preso alla sprovvista, quasi balbettò: “Cosa?”

Scossi la testa con veemenza. “No. Non cosa. Perché. Chiedimi perché mi sono presentato dimostrandoti gratitudine.”

Con un'altra risatina perplessa mi accontentò: “Ok, farò finta di abboccare. Perché?”

“Per una cosetta speciale che mi hai fatto quando avevo quindici anni.”

I suoi lineamenti si indurirono: la mascella si contrasse visibilmente e quegli occhi grigi come l’acciaio lanciarono lampi. “No, ti sbagli. Non mi faccio i ragazzini.”

“No, non in quel senso,” mi affrettai a chiarire, mentre le guance mi si incendiavano per l’imbarazzo.

Credo che avesse cominciato a pensare che la conversazione si stesse addentrando in acque troppo strane, perché si fermò per poi scuotere le spalle, impaziente. “Va bene, guarda, adesso devo andare, quindi…”

“È stato sei anni fa,” mi affrettai a spiegare, pur consapevole che i suoi amici gli si stavano affollando intorno, interessati e curiosi. “Ero bloccato nel traffico insieme ai miei zii. Vicino alla nostra auto c’era un taxi. Tu eri nel taxi.”

“Io?” Sembrava incredulo e divertito al tempo stesso.

“Sì. Eri insieme a un ragazzo e stavate, ehm, ci stavate dando dentro, e anche in modo piuttosto pesante. E… tu flirtasti con me per tutto il tempo, mentre io ti guardavo in adorazione. Ti ricordi di me adesso?”

La fiamma del riconoscimento gli si accese negli occhi come un fiammifero. “Quel… ragazzino… eri tu?”

“Sì.” Risi e gli porsi formalmente la mano, che lui strinse esitante. “Adrian Monroe. Addy, in verità. Piacere di conoscerti, dopo tanto.”

I suoi occhi grigi scrutarono il mio viso, come se volesse memorizzarlo insieme al nome. “Addy…”

“No. Io Addy. Tu…?” Agitai la mano tra noi due, per spingerlo a dirmi quello che avevo voluto sapere per tutti quegli anni.

Rise di nuovo della mia impudenza. “Zak Roscoe.”

‘Zak… finalmente, un nome!’ “Zak…” Assaporai la parola nella bocca, arrotolandomela sulla lingua un paio di volte e già amandone il gusto. “Bello poter finalmente dare un nome al viso sorridente e al corpo da urlo che sono stati il soggetto, e l’oggetto, di innumerevoli fantasie segaiole nel corso dei miei anni da adolescente.”

Alzò un sopracciglio in modo eloquente e mi rivolse un sorriso osceno. “Davvero?”

“Certo.”

“E com’ero?” Eccolo, aveva ricominciato a flirtare! Aveva abbassato la guardia per darmi l’occasione della giornata, o della nottata, a voler essere pignoli.

“Oh, tu eri sublime e io posseggo una fervida immaginazione, ci entra di tutto, senza doppi sensi. Le cose che lui ha fatto per me, e con me, e a me… Oh, le storie che potrei raccontare.”

Sorridendo, alzò un sopracciglio. “Oh, fammi qualche esempio, per favore.”

“Bene, c’è stato quello splendido pomeriggio in cui abbiamo volato su una mongolfiera. A essere onesto, Zak, sei stato sorprendentemente agile quella volta. Sai, tre volte di fila, notevole. Poi ho smesso di contare.”

I suoi occhi, grigi come un cielo tempestoso, si allargarono mentre le mie parole si facevano strada nella sua testa. “Wow, veramente molto… creativo.”

“Oh, è stata una tua idea, te lo assicuro.”

“Ma che audacia, la mia…”

Gettai uno sguardo dietro alle sue spalle, verso la sua band che ascoltava la nostra conversazione come se fossi l’agente che li avrebbe spediti direttamente nell’universo delle star. “Hmm, non voglio distarti da qualche impegno precedente… Aspetta, ma cosa sto dicendo? Certo che lo voglio.”

Zak si lasciò sfuggire una risatina, incrociò le braccia sul petto – lasciando penzolare la chitarra dietro la schiena – e mi rivolse un’occhiata interessata. “Lo vuoi, eh?”

“Per una notte, almeno. In fin dei conti, devo portare a termine una serissima ricerca empirica.”

Sollevò le sopracciglia in segno di sorpresa. “Tu cosa?”

“Vedi, non è che stia scrivendo una tesi sulle abitudini sessuali o altro, ma nel corso degli anni ho accumulato tutte quelle conoscenze teoriche, e adesso… adesso sei qui in carne e ossa. Credo che un dettagliato e approfondito studio comparato sia indispensabile.” Mi resi conto vagamente che stavo parlando molto, molto velocemente: al ritmo del battito impazzito del mio cuore.

“Dopo che me la sono cavata in modo così brillante per tanti anni? Come potrei reggere il confronto?” Poi sorrise all’improvviso. “A questo proposito… qual è la mia posizione?”

“Sei versatile.”

“Evviva.”

“Sì. Sei molto… dotato. E agile, forte, aggressivo e ingegnoso…”

“Wow, sono proprio a tutto tondo.”

“Oh, sì. Avevi proprio delle belle rotondità, posso assicurartelo. E le avete ancora. Entrambi.” Era arrivato il mio turno di osservarlo con interesse e a fondo, e lasciai che il mio sguardo scivolasse lungo tutto il suo corpo – anche se avrei preferito usare le mani, invece degli occhi.

Zak distolse lo sguardo, come alla ricerca di qualcuno là attorno che potesse distrarlo da me, o viceversa. Spostò il peso da un piede, calzato da un anfibio, all’altro e biascicò in modo indistinto: “Senti, io non…”

Non lo avrei lasciato andare così facilmente. “Stai ancora con lui?”

Aggrottò le sopracciglia e chiese: “Chi?”

“Il ragazzo del taxi.”

Sbuffando, si strinse nelle spalle. “Non me lo ricordo neanche.”

“Non ti ricordi di lui, ma ti ricordi di me? Favoloso.”

Sospirò esasperato e scosse la testa con una finta aria di rimprovero. “Nessuno usa più quel termine. Nemmeno i gay. Quella parola è in piena recessione.”

Con un gesto platealmente teatrale, finsi indignazione; discretamente bene, lo ammetto. “Oh-mio-Dio. Vuoi dire che sono così indietro nel mio studio delle ‘101 regole per essere gay’? Devi assolutamente aiutarmi a recuperare.”

Inclinò la testa di lato e mi rivolse un sorriso beffardo. “Non hai intenzione di accettare un rifiuto, vero?”

“Mi hai fatto aspettare per sei lunghi anni. Ormai è tempo che tu faccia qualcosa.”

“Questa sì che è bella. Pensavo di aver già…”

“No, lui ha fatto. Adesso tocca a te.”

“Non capisco più se parli di me alla seconda o alla terza persona.”

“Avremo tutta la notte per discuterne. No, errata corrige, avremo tutto domani per discuterne. Domani mattina, dopo una focosa notte di passione e sesso. Che ne dici, Zak?”

“Sarà felicissimo di venire,” si intromisero i suoi amici, trattenendo a stento le risate. “E poi venire ancora. Più di una volta. È tutto tuo.” Strappandogli praticamente la chitarra dalle mani, si assicurarono che fosse pronto a seguirmi.

“Grazie tante, ragazzi,” mugugnò Zak, guardandoli male da sotto le sopracciglia aggrottate.

“Oh, e domani avrà l’intera giornata libera. Quindi, non farti problemi a trattenerlo tutto il giorno.” Ci salutarono ridacchiando e si dispersero tra le ombre fumose del locale.

“Grandioso. Grazie, lo farò,” gridai loro, muovendomi a mia volta attraverso la folla.

“Quindi, per quale motivo mi saresti così grato, esattamente?” mi chiese Zak, dopo avermi squadrato di nuovo con quel suo sguardo freddo.

“Oh, per avermi fatto diventare gay.” Credo di essere arrossito un po’, a quel punto.

“Io ti ho fatto diventare gay?” Lo stupore sul suo viso era così genuino che non sapevo se fosse una cosa positiva o negativa.

Risi. “No, avevo già dei dubbi riguardo al mio orientamento. Trovavo i sederi dei ragazzi molto più interessanti delle tette delle ragazze. E vederti flirtare con me mentre leccavi…”

“Aspetta.” Alzò una mano per fermarmi. “Te lo ricordi così bene?”

“Ricordo tutto alla perfezione. In fin dei conti, è stato da lì che sono partite tutte le mie fantasie sessuali su di te. Sì, c’erano un sacco di leccate attorno ai capezzoli, ne sono sicuro. In ogni caso, il tuo sorriso mi eccitò a tal punto che temetti di esplodere dentro ai jeans.”

Immerso nel ricordo, lo sguardo di Zak si perse nella distanza. “Sì, pensai che tu ti stessi riaggiustando dentro i pantaloni… ma non ne ero sicuro.”

“Beh, probabilmente lo stavo facendo. Per fortuna i miei zii mi prestavano tanta attenzione allora quanta me ne prestano adesso. In ogni caso, da quel momento in poi non ho più avuto alcun dubbio su chi volessi accanto a me a letto.”

“O fuori dal letto.”

“Sì. Lui e io siamo stati piuttosto impegnati in un sacco di posti.”

“Non ne dubito.”

“Quindi…” cominciai lentamente, a fatica.

“Quindi…” Il suo sorriso sbilenco mi sfidava a dire chiaramente quello che volevo, anche se, dal mio punto di vista, lo avevo già fatto diverse volte. ‘Forse non ha capito le mie allusioni sottili,’ mi dissi. Ma non era possibile.

“Posso averti questa notte?” Il mio stomaco si contrasse leggermente mentre quasi sputavo fuori la domanda, trepidante e cosciente che si trattava di un momento cruciale della mia vita. La consapevolezza che tutte le decisioni prese fino a quel momento non erano servite ad altro che a farmi arrivare a quella precisa congiunzione spazio-temporale, mi provocava un leggero giramento di testa, e il cuore prese a battermi con tale forza nel petto da sovrastare il pulsare della musica di sottofondo.

Zak mi studiò a fondo. “Sei pazzo, lo sai vero?”

Scrollai amichevolmente le spalle. “Preferisco considerarmi eccentrico. Allora, Zak, che ne dici?”

Alla fine, sospirò rassegnato. “Se non lo facessi come potrei sopravvivere? I miei amici mi darebbero il tormento per i prossimi dieci anni. Andiamo, dai.”
 
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view post Posted on 29/11/2013, 17:34
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Letto proprio oggi e devo dire che mi ha lasciato in sospero nel senso che è si una storia carina ma manca quel dettaglio nella storia che fa si che il lettore ne rimanga ipnotizzato nel contesto carino.
 
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1 replies since 26/4/2013, 22:01   328 views
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