Non è Shakespeare, di Amy Lane - 11 giugno

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 6/6/2013, 17:40
Avatar

Sono fatta così...un enigma avvolto in un indovinello e confezionato in un paradosso!

Group:
Admin
Posts:
8,149
Location:
Roma

Status:


NON È SHAKESPEARE

nonshakespeare2Il professore universitario James Richards è prigioniero della routine e sente il peso dei suoi anni. Si è trasferito nella California del Nord per sfuggire al dolore e all’umiliazione, ma finora l’unica cosa buona che gli è capitata è stato il suo Boston Terrier, Marlowe.

Poi, la sua studentessa più tosta gli combina un appuntamento con il suo migliore amico. Rafael Ochoa è a un mondo di distanza da James, cronologicamente, culturalmente e filosoficamente, ma è anche bellissimo e gentile: un’ondata di adrenalina per il cuore non ancora di mezza età di James. Assieme forgiano un ponte tra la sensibilità East Coast di James e la semplicità West Coast di Rafael, ma il loro venirsi incontro potrà superare la mancanza di fede di James nel lieto fine?

Editore: Dreamspinner Press
Genere: M/M
Pagine: 153
Formato: eBook
Uscita: 11 giugno 2013

Acquista il libro sul sito!




Estratto:
Capitolo Uno



La distopia degli adulti





JAMES ALAN RICHARDS odiava il suo nome. Odiava il suo nome, odiava i suoi capelli biondo sporco e la sua stempiatura, odiava i suoi occhi nocciola e odiava l’ultimo paio di occhiali che aveva preso per il suo astigmatismo. Odiava il suo cellulare sorpassato, la sua vecchia macchina del cazzo, il suo agente stronzo, l’idiota del capodipartimento e il suo microscopico ufficio con tutti i vecchi mobili di legno che nel corso dell’estate erano diventati tutti appiccicosi di polvere e odoravano di fiocchi di latte, vecchia cera e calze sudate. E odiava davvero il fatto di compiere quarantatré merdosi anni. Odiava particolarmente il fatto che a prescindere da quanto si allenasse e controllasse la dieta, i suoi muscoli sembrassero gonfiarsi con l’età, invece di rimanere magri e belli.

Ma nonostante tutto questo, non si sentiva una persona triste.

Per prima cosa, amava il suo lavoro.

Poi, amava il suo Boston terrier, Marlowe. Amava il suo muso nero elegante, la sua gola e la sua pancia bianche, la sua allegra lingua rosa e i suoi occhi protuberanti costantemente sorpresi. Amava il fatto che Marlowe gli leccasse il viso, o le mani, o la caviglia, o la gamba dei pantaloni, o le dita dei piedi (se fossero state scoperte) in ogni momento della giornata. Amava che Marlowe la sera cominciasse a dormire ai piedi del suo letto, ma che infine strisciasse sotto le coperte, così che quando la sveglia suonava, era pronto a leccare i piedi di James fino a farlo alzare.

E amava portare Marlowe al parco che era a dieci minuti di macchina dal suo piccolo community college a Rocklin, e lanciare a quel piccolo grugnente e sbavante miracolo di simpatia la sua palla speciale nel parco per cani di Roseville, fino a che Marlowe era così esausto che si girava sulla schiena e sembrava abbastanza pietoso da essere trasportato fino alla macchina, come un insopportabile gatto baldanzoso.

James amava quando Marlowe lo faceva. Lo faceva sentire necessario e speciale, come se sul pianeta ci fosse uno e soltanto un umano che potesse realizzare quel bisogno di Marlowe, e che fosse James! Evvai! Due dottorati in letteratura, una cattedra di ruolo, una casa decente, e non gliene fregava niente. Il suo sommo risultato era portare un Boston terrier fino alla macchina perché era abbastanza idiota da credere al piccolo sporco bastardo quando penzolava la lingua e diceva, nel suo particolare modo canino: “Ooohhh, ti preeego, caro umano, se non porti il mio grasso pigro culo di terrier nella macchina, sicuramente morirò-ooo!”

Ok. Forse era un pochino triste, ma provava a non sfogarsi su Marlowe. Non era colpa sua se il suo piccolo compagno era l’unica cosa nella vita di James che conoscesse il concetto di lealtà e devozione.

Comunque, quelle ore passate al parco di Roseville rimanevano la luce delle giornate di James.

Un giorno all’inizio di aprile, circa tre settimane prima delle vacanze di primavera, James era di fronte alla porta dell’aula H-12 nell’edificio di Umanistica, pensando con desiderio a quell’ora nel parco per cani e poi a un’ora di esercizi con gli attrezzi nella stanza apposita. Venne strappato dal suo abbastanza banale sogno a occhi aperti quando un’androgina ragazza Goth con capelli neri e blu che spuntavano in ciuffi disordinati coperti di troppo gel si alzò dal suo posto nell’angolo della stanza e ciondolò verso l’altra parte dell’ingresso di fronte a James. Rimase lì, fissandolo da dietro il mascara nero, l’eyeliner nero, il rossetto nero e il fondotinta bianco, senza fare apparentemente niente a parte respirare e riflettere la luce dalle lampade fluorescenti con i piercing che le circondavano le orecchie, e le trapassavano la narice, il labbro e il sopracciglio.

James fece un caldo sorriso. Gli piaceva davvero insegnare letteratura e Sophie era nella sua classe di fantascienza e fantasy. Aveva dovuto ottenere un permesso speciale per tenere quel corso al South Placer Community College, perché in realtà era di livello specialistico, ma erano riusciti a infilarlo come parte del programma di umanistica nel corso di primo livello.

“Allora, Sophie, ti è piaciuto il discorso su Silverberg?”

Sophie Winchester arricciò il naso lentigginoso. (Almeno sembrava lentigginoso sotto il pallore mortuario del suo trucco.)

“Sì, più o meno,” mugugnò. “Ma voglio sapere una cosa.”

James sollevò le sopracciglia. “Più o meno” era un grande complimento da Sophie, lo aveva imparato quando l’aveva avuta per il corso di Inglese 1A e aveva ricevuto le solite valutazioni sugli insegnanti alla fine del corso. La sua diceva, Non è un completo idiota e, all’inizio, si era offeso. Poi aveva scoperto uno dei suoi colleghi a leggere una lunga diatriba scritta nella stessa calligrafia, che sottolineava le sue mancanze in materia di storia, con appunti dettagliati. La caratteristica “i serial killer mi fanno un baffo” grafia di Sophie non era difficile da mancare. Allora, aveva deciso che Non è un completo idiota poteva essere il codice di Sophie per Insegna come un fottuto dio!

“Ok,” disse James con cautela. I testi di Sophie erano brillanti, ma erano anche scritti in modo acido e James aveva quasi paura di quello che avrebbe detto.

“Allora, ho fatto Psico 101 e capisco tutta la scuola di interpretazione Freudiana, ma sul serio? Doveva proprio dire che la torre di vetro era fallica? Cioè, perché gli oggetti a forma di missile non possono solo avere la forma dell’aggressione verso l’universo? Perché deve essere un pene gigantesco? Perché, devo dirglielo, non è una bella figura per gli uomini quando fa così. E mi incazzerei un sacco se cominciasse a riferirsi a personaggi dall’energia negativa come vagine cavernose di desiderio.”

James la fissava. Si accorse che la sua bocca era aperta e la chiuse per istinto, poi abbassò lo sguardo su Marlowe che, cominciava ad avere il sospetto fosse l’unica anima simpatetica sul pianeta.

“Uhm,” disse, impappinandosi, “immagino che, uhm, l’oggetto a forma di missile sia solo tradizionalmente una forza maschile. Cioè, uhm, ne siamo equipaggiati dalla nascita, no? Intendo dire, posso pensare che si possa rendere neutrali queste energie, ma se si cominciasse a parlare in termini di ‘energia aggressiva positiva’ e ‘energia mutevole negativa’, le persone comincerebbero a crollare addormentate prima di arrivare al concetto vero e proprio, non pensi?”

Sophie ascoltò, rifletté per un paio di instanti e poi prese un respiro profondo, meditativo. “Bah. Va bene. Chissene. C’è per caso un tipo di letteratura in cui i ruoli di genere sono superati e le energie non hanno un’energetica firma cromosomica tradizionale?”

James combatté la tentazione di ripetere “energetica firma cromosomica tradizionale,” solo perché era un esempio fantastico di erudizione impazzita e si sforzò di rispondere alla domanda.

“Uhm, il postmodernismo vuole superare le forme letterarie tradizionali,” disse seriamente, “ma, beh, non tengo quel corso. Dovrai aspettare di andare a una scuola di quattro anni, probabilmente specialistica. Allora, uhm, come mai sei alla South Placer?”

Sophie sbuffò. “I miei genitori sono insegnanti. Un sacco di sapere. Abbastanza soldi da non valere un cazzo per gli aiuti finanziari.”

James fece una smorfia. “Cazzo di NCLB,” borbottò, e Sophie roteò gli occhi e annuì. No Child Left Behind, nessun bambino lasciato indietro, la grande bugia della nazione sul rendere tutti pronti per il college. La legge aveva prodotto il singolare effetto di far iscrivere al college ogni studente ambizioso, quando quello che avrebbero davvero preferito fare era in realtà in una scuola professionale o qualcosa in un’area del tutto diversa delle scuole post-diploma. Il risultato era che i community college erano riempiti di studenti perplessi che non potevano capire nessuna delle loro lezioni e avevano davvero pochi professori che insegnassero in quei corsi perché nessuno guadagnava abbastanza da assumerli. E il numero di studenti che si ritiravano perché non riuscivano a pagare la retta era sconcertante.

Ma non Sophie, pensò James ammirato. Sophie ce l’avrebbe fatta o avrebbe ucciso nel tentativo.

Era sollevato, solo di un poco, di non essere quello a cui avrebbe mirato. Ma in quel momento, stava guardando il suo orologio e grugnendo in modo ostile, come se dovesse vedere qualcuno.

“Uhm,” disse James allegramente, “stai aspettando qualcuno?”

“No,” disse lei, scuotendo disgustata la testa. “Stavo aspettando qualcuno, ma è ufficialmente troppo tardi, e ora sono solo incazzata con qualcuno.” Per la prima volta, da che si ricordasse, era sembrata solo un pochino imbarazzata. Alzò gli occhi e colse il suo sguardo simpatetico, scrollò le spalle, poi si chinò e grattò Marlowe tra gli occhi.

“Tu lo capisci, vero, Marlowe?” disse, e James pensò di avere le allucinazioni. Se non avesse saputo che era la voce di Sophie, avrebbe pensato che appartenesse a una ragazza vera. “Gli uomini sono dei bastardi, anche quelli che dovrebbero sapere com’è essere una cavernosa vagina di desiderio.”

James si sentì male, in quel momento. Stava ovviamente prendendo tempo mentre aspettava il suo ragazzo e ora era in imbarazzo. “Mi spiace, Sophie, il tuo ragazzo ti ha tirato il bidone?”

“Non il mio,” borbottò la ragazza. “Il suo.” Sospirò ancora, lo guardò con i suoi scontenti occhi castani, e disse: “Cavolo. E voleva davvero incontrarla, oltretutto. Mi spiace, Professore, ci vediamo mercoledì.”

James restò a bocca aperta, di nuovo. “Sophie?” chiese, la sua voce più acuta di due ottave. “Volevi mettermi con un uomo?”

“Beh, ma non è gay?” rispose lei, confusa per la prima volta da quando la conosceva.

“Beh, sì,” scattò, “ma non è proprio conoscenza diffusa.”

Lei arricciò le labbra e tirò indietro la testa, chiaramente sorpresa. “Per chi?”

“Beh, uhm, insomma. Per tutti.”

Sophie non disse niente. Lo fissò solo a bocca aperta, poi si girò e ciondolò via, mugugnando qualcosa sul mondo pieno di idioti del cazzo, e non c’era da stupirsi che pensassero fosse strana, essendo tutti così dannatamente stupidi. James la guardò andare via, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce, fino a quando Marlowe guaì e si alzò, e appoggiò delicatamente le zampe davanti sulla gamba dei suoi pantaloni. James si chinò e gli grattò la testa, parlandogli dolcemente.

“Non è che vado in giro per il campus con un amichetto sottobraccio.”

Marlowe gli leccò la mano e gli assicurò che no, quasi sicuramente James non andava in giro per il campus pomiciando con giovanotti prestanti, e mentre James veniva rassicurato dal suo cane, un’ombra calò su entrambi.

James si alzò e sorrise allegramente, pensando che fosse qualcuno che cercava indicazioni, e quello che vide gli seccò la bocca.

“Uhm…” Ma porco cazzo, “uhm” era davvero la parola del giorno, eh? Aveva una laurea o due in qualcosa che includesse parole vere?

Il ragazzo di fronte a lui era… Cristo Santo, l’ultima volta che aveva visto qualcuno così bello era stato la sera prima sul suo computer, in uno dei migliori siti di porno a pagamento, quando James si era arreso e si era masturbato per la totale disperazione. E questo era anche proprio il suo tipo. (Sul computer, almeno. Nella realtà, James tendeva a uscire con tipi pallidi e studiosi come lui, tranne senza il fantastico difetto di personalità dell’avere un cane o il senso dell’umorismo). Era di qualche centimetro più basso di James, con capelli più lunghi, un taglio con la riga in mezzo che gli sarebbe andato sugli occhi se non fosse stato furbamente acconciato per circondare il suo viso. I suoi occhi erano marrone scuro, e la pelle era di un marrone latino. Aveva dei tatuaggi, grossi, arabeschi intrecciati e un drago, avvolti in spire che partivano dal gomito e arrivavano alla spalla su entrambe le braccia. I suoi bicipiti erano grossi, gonfi e molto impressionanti, la canottiera rossa attillata aderiva alla vita stretta e all’ampio petto, e la bocca era morbidosa come la pubblicità di un materasso.

E ora quelle labbra morbide erano deformate in una smorfia irritata.

“È qui che Sophie Winchester ha lezione?” chiese, e James cercò di non lasciare che il cuore gli saltasse fuori dal petto. Era questo il ragazzo con cui Sophie aveva cercato di metterlo? L’opinione di James dei gusti di Sophie decollò, ma la sua opinione della sua intelligenza si abbassò di una tacca. Come se questo ragazzo sarebbe stato interessato nel secchione pallido, studioso, dai capelli sabbiosi che era James.

“Sì,” rispose James con la bocca asciutta. Indicò debolmente. “È andata di là.”

Di nuovo la smorfia, con quelle labbra rosa e sexy. “Grazie.”

“Figurati.” Se anche ne fosse andata della sua vita, James non sarebbe riuscito a pensare a un’altra dannata cosa da aggiungere.

Il ragazzo abbassò lo sguardo su Marlowe, che era seduto sulle zampe posteriori, una zampa appoggiata sul risvolto dei pantaloni di James. “Che bel cane!” disse con apprezzamento. James evocò un sorriso, perché chi non poteva sorridere parlando del suo cane, no? Il modello di biancheria intima rispose al sorriso, qualcosa di caldo nei suoi occhi, poi girò sui tacchi, lasciando James ad appoggiarsi contro lo stipite della vecchia classe ad assaporarsi il cuore in gola.

“Hai visto, Marlowe? Non sarò mai più così vicino a un vero modello di biancheria intima. Cosa diavolo stava pensando quella ragazza?”

L’unica risposta di Marlowe fu l’abbaiare impaziente, e James tornò in classe a prendere la borsa e il guinzaglio di Marlowe. Aveva un appuntamento con un parco per cani che improvvisamente non sembrava affatto soddisfacente come gli era sembrato dieci minuti prima.





ERA un bel giorno di primavera, almeno, o avrebbe dovuto essere primavera. Aveva nevicato nelle Sierras la prima settimana di aprile e aveva piovuto a Roseville. Normalmente l’aria sarebbe stata mite, forse anche umida e calda, invece ancora un po’ di vento e gonfie nuvole grigie che rotolavano dalle Sierras.

James le amava. Quelle nuvole, sopra i pochi campi verdi senape rimasti nello stato, erano parte del motivo per cui ignorava le preghiere di sua madre di tornare nel Maine, alla comoda cattedra che i suoi contatti nella comunità gli avevano procurato. Gli piaceva il New England, davvero. Gli piacevano i quartieri con giardini aperti in cui giocavano le comunità di ragazzini. Gli piaceva la distesa piatta e inospitale dell’Atlantico giù dalla costa rocciosa della casa dei suoi genitori nel Maine. Gli piacevano i quadrati di campi disseminati in modo buffo nelle aree rurali e i vecchi edifici imprecisi che avevano davvero una storia. Gli piaceva davvero l’ambiente legislativo gay-friendly.

Ma qualcosa… qualcosa riguardo alle nuvole mentre rotolavano giù dalle Sierras e il modo in cui l’aria profumava di pieno Oceano Pacifico quando era ben centocinquanta miglia più il là… qualcosa di quella zona della California lo chiamava, anche quando si riduceva a indossare pantaloncini e sandali a scuola per via del caldo che da giugno a settembre era fottutamente insopportabile.

Non era così quel giorno, e indossava del velluto, dai pantaloni alla giacca, anche se quella se l’era tolta per lanciare a Marlowe la sua palla. Marlowe aveva solo tre anni, quasi più un cucciolo che un cane adulto, e inseguiva quella palla con devozione pedissequa e una bava entusiasta.

James avrebbe lanciato la palla fino a farsi cadere il braccio per quel tipo di incoraggiamento.

“È una peste!” disse una donna, distraendolo dal venire leccato con cura in faccia da un’ampia lingua rosa.

“È carino e lo sa,” rispose James, guardandola e sorridendo. La donna aveva la sua età, colpi di sole nei capelli, viso sottile, mento a punta e un sorriso attento. Portava a spasso un collie di medie dimensioni e razza pura, con un sacco di linee e angoli su un sottile muso canino abbastanza sprezzante, e Marlowe ansimò e sbavò felicemente su James, ignorandoli completamente.

James, purtroppo, era umano, e non così fortunato.

“Beh, è carino come il suo padrone,” disse la donna, aumentando il voltaggio del suo sorriso, e James si accorse con uno shock che ci stava provando con lui.

“Ma non altrettanto gay,” rispose, stupefatto, e fu impreparato dallo sguardo orripilato della donna e il modo in cui strattonò il guinzaglio del suo cane, come se lo stare vicino a lui e al suo sbavante Boston terrier potesse abbassare il potenziale di figliare del cane. E il suo, immaginò.

“Dio, Marlowe, a volte odio davvero questa zona,” borbottò James. Marlowe gli leccò compassionevolmente la faccia e James si alzò e lanciò ancora la palla. Pensò con desiderio al modello di biancheria intima di Sophie Winchester e a come sarebbe stato più facile avere a che fare con una stronza altezzosa e il suo allevato ammasso di tremanti nevrosi canine se avesse avuto quello ad aspettarlo a casa, o ancora meglio, lì al parco, a lanciare a turno con lui la palla a Marlowe.

Dio, quando i suoi sogni erano diventati così… così patetici? Così ordinari. Lui sognava di conquistare il mondo accademico! Sognava di scrivere il Grande Romanzo Americano. Sognava di aprire una fondazione per giovani scrittori GLBT . Ma non più.

Ora, sognava di trovare un amante che volesse lanciare una palla in un parco per il suo dannato cane.

Marlowe gli leccò la faccia, distraendolo dalla sua malinconia, e James sorrise e gli toccò il naso col suo. Il naso di Marlowe era bagnato e la sua coda scodinzolava così forte che il suo corpo stretto e solido sgusciava quasi via dalle braccia di James.

Beh, a volte i piccoli sogni avevano grandezza, pensò con dignità. A volte, i piccoli sogni erano tutto quello di cui aveva bisogno una persona per vivere.





“ALLORA, JAMES, hai incontrato qualcuno?” La voce di sua madre era al cento percento alta società del New England e James non si era mai accorto di quanto i californiani del nord non avessero un accento fino alla sua chiamata a casa due volte alla settimana.

“No, mamma, non è esattamente gay-topia qui, sai?”

“Che è il motivo per cui dovresti tornare a casa,” disse soavemente sua madre, e James resistette l’impulso di sbattere la testa sulla scrivania di fronte al computer.

“Perché un uomo gay che vive con sua madre non è già pronto per la morte, invece,” ribatté, e lo sbuffare disgustato di sua madre gli arrivò forte e chiaro.

“Non essere cattivo, tesoro. Solo non mi piace il pensiero di te laggiù nella selvaggia California, triste e solo. Sarebbe bello se avessi qualcuno a farti compagnia. Non sarò qui a tormentarti per sempre, sai!” Sua madre aveva appena raggiunto l’età pensionabile e gli ricordava costantemente la sua mortalità. Faceva acquagym, yoga, mall walking, meditazione e corsi di alimentazione per anziani. Era coinvolta in tre associazioni caritatevoli, varie organizzazioni politiche (tutte di sinistra, ovviamente), e faceva volontariato nella scuola privata locale per attività extrascolastiche.

Era quasi certo che gli sarebbe sopravvissuta.

“Ho Marlowe,” disse con sicurezza. “I Boston Terrier possono vivere parecchio a lungo. Potrebbe sopravvivermi o essere sepolto con me, come il cane di un faraone, nella mia tomba.”

“Non è divertente, James,” disse sua madre con leggero disprezzo e James trattenne un sospiro. Pensava che Sophie Winchester avrebbe potuto trovarla fottutamente isterica e i suoi pensieri tornarono al modello di biancheria intima. Beh, se non altro, se la sua libido fosse sopravvissuta alla sua telefonata con sua madre, era certo di avere materiale masturbatorio per la serata!

“Dico solo che sto bene,” le disse fermamente. “Sto bene, ti voglio bene, e non devi preoccuparti per me.”

“Anche noi ti vogliamo bene. È per questo che ci preoccupiamo.”

Il “noi” era riferito al padre di James. Anche se Alan Geoffrey Richards non parlava mai al telefono, loro due si tenevano in contatto tramite la madre di James. Lei gli assicurava che entrambi i suoi genitori erano ancora funzionanti e propriamente affezionati, e James passava un sacco di tempo a immaginarsi suo padre che leggeva il giornale mentre sua madre nuotava/camminava/yogava attorno a lui.

“Susan viene per le vacanze di primavera?” Susan era sua sorella, quella che aveva gioiosamente annunciato che visto che James era gay, lei doveva avere tre figli e mantenere una famiglia che altrimenti sarebbe stata a zero crescita popolazione. James vedeva sua sorella e la sua famiglia a Natale e per un mese d’estate, e doveva ammetterlo, visto che era lei quella con l’utero, era dannatamente gentile da parte sua dargli tre splendide nipoti che lui poteva rovinare senza pietà. In effetti, pensandoci adesso, aggiunse le sue nipoti alla lista di cose che non odiava della sua vita. Anche sua sorella era sulla lista, ma non tanto in alto come Pilar, Francesca e Annabella. (Susan aveva una laurea specialistica in architettura italiana, aveva passato un anno là prima di tornare negli States per aprire la propria ditta, e sottolineava sempre la sua cultura straniera.)

“Come sempre, caro, e tu?”

James sospirò. “Temo di no, mamma. Per prima cosa, non so come fare con Marlowe: non voglio portarlo via per un viaggio così breve, perché è pesante per un cane, e poi…” E questo era così imbarazzante. “Le finanze non sono al massimo,” confessò, imbarazzato perché un uomo di quarantatré anni e un professore di ruolo non dovrebbe avere avuto un problema del genere. Sfortunatamente, la recessione aveva colpito duro e i professori universitari non erano immuni. La sua casa, comprata nell’area alla moda di Stanford Ranch, aveva anche una rata elevata così che potesse tenere basso il tasso di interesse. Non voleva pensare alle riparazioni di cui aveva bisogno la sua macchina. E, beh, aiutava il fatto che si fosse fatto dilapidare i risparmi tre anni prima da… una persona di cui non diceva più il nome.

Sua madre lo sapeva e di solito lo lasciava stare, perché un uomo ha il suo orgoglio, ma a volte, beh, a volte non vuoi trascinare il tuo povero cane sconcertato per trecento miglia attraverso il paese quando potrebbe significare che non potresti essere in grado di sistemare quel rantolo fastidioso sulla tua macchina vecchia di dieci anni.

Ora lei sospirava, il lungo sospiro del martirio che aveva sempre temuto.

“James…”

“Per favore non dirlo.”

“Davvero, caro…”

“Per favore non dirlo!”

“Ma sembra che resti là solo per dispetto, caro! Non tutto nel Maine è brutto, no?”

“Madre, mi piace qui.”

“Non capisco perché!”

“Beh, Marlowe e io siamo gli unici che devono capire perché,” disse fermamente. “Per favore, possiamo smettere di litigare su questo?”

“Ma era solo un uomo, James!” La voce di sua madre perse per un momento la sua eleganza e la sua equanimità e diventò la cameriera che si manteneva con la borsa di studio a Princeton che aveva attratto il padre di James la prima volta. “Era solo un uomo e, solo perché era un figlio di puttana, non vuol dire che devi lasciare lo stato per sempre!”

James sospirò. “Non capisci, mamma. È che… che…” Pensò a quando quel giorno aveva guardato le nuvole scendere dalle Sierras. Pensò all’odore del mare da oltre mille miglia. La scossa elettrica di quei momenti rese quello che stava per dire meno stupido. “È come, sai quando a volte ti senti come se aspettassi che succedesse qualcosa? Beh, qualunque cosa sia, voglio che accada qui.”

Ci fu un silenzio dall’altra parte della cornetta, poi sua madre fece una risata che assomigliava sempre di più alla ragazza che James aveva visto nelle foto di matrimonio dei suoi genitori e sempre meno la sofisticata bisbetica specializzata nel far sentire James deludente senza neanche impegnarsi.

“Beh, James, questa non me l’aspettavo proprio. Penso di riconoscere infine il poeta in te, caro. Il tuo best seller venderà un sacco!”

“Il mio ultimo libro ha ricevuto ottime recensioni,” disse con dignità. Ed era vero, in una pubblicazione specializzata in opere di fiction di soli accademici, con circa cinque abbonati al mondo.

“Era molto bello,” disse, e lui si ricordò che aveva usato lo stesso tono di voce quando le aveva mostrato una collana di pasta e un portacenere di conchiglie dopo il campo estivo.

“Grazie mamma,” mormorò. “Devo andare adesso. Ho delle relazioni da correggere.” Era una bugia, ovviamente. Aveva corretto tutti i compiti di metà trimestre la settimana prima. Non che avesse molto altro da fare, vero?

“Ciao, caro. Ti voglio bene. Ci sentiamo domenica, ok?”

“Ah-ha, sì. Domenica. Anch’io ti voglio bene.”

E con questo, si ritrovò solo nella sua casa abbastanza bella a Stanford Ranch, a desiderare di essere in un posto del tutto diverso, inginocchiato a venerare il cazzo dell’anonimo modello di biancheria intima di Sophie Winchester. Era l’immaginazione di James, o quell’uomo aveva le ciglia più lunghe e scure nella storia dell’umanità?

Si concentrò su quelle ciglia mentre si preparava una piccola insalata con petto di pollo alla piastra (era nell’età in cui doveva preoccuparsi del colesterolo) e banana e yogurt per dessert. Mentre sparecchiava, si concentrò sugli occhi scuri, liquidi, blu scuri che quelle ciglia incorniciavano. Pensò al naso bilanciato, quasi troppo corto (il modo migliore per farlo sembrare fin troppo giovane per James, vero?) mentre navigava in internet cercando porno e contemporaneamente guardando CSI:Miami.

Solo dopo tutto il porno cominciò a fantasticare sui bicipiti, la pelle liscia e scura, la pancia piatta sotto la maglia attillata, e il grosso pacco poco più in basso, dentro i jeans.

Per allora era pronto a dirigersi a letto per il suo triste orgasmo masturbatorio e il sonno.





MERCOLEDÌ si pentì delle sue fantasie, quando ebbe di nuovo Sophie a lezione. Voleva davvero chiederle del suo amico e dell’appuntamento combinato e tutto, ma sembrava così adolescenziale e patetico. Se fosse stato etero, uscire con Sophie sarebbe stato fuori questione, aveva a malapena vent’anni e non gli piaceva pensare a se stesso come a uno che esce con quelli più giovani. Sicuramente anche il suo amico doveva essere fuori questione. E poi, stava abbastanza bene. Aveva il suo cane. Aveva la sua piccola casa in periferia. Aveva la sua macchina scassata, che avrebbe continuato ad andare per un altro anno (o così gli aveva detto il meccanico), e aveva la sua dignità. Beh, ce l’aveva finché nessuno lo vedeva la notte con la sua collezione di porno da internet e la pila di fazzoletti usati nel cestino.

Finì la lezione sui tre maggiori lavori distopici e poi chiese se qualcuno avesse letto il materiale aggiuntivo su Vinge e non fu sorpreso quando Sophie alzò la mano.

“Possiamo davvero chiamare ancora fantascienza i lavori di Vinge?” chiese lei pensosamente e lui annuì. Almeno per quella domanda, era preparato.

“È vero che stiamo rendendo realtà alcuni degli aspetti tecnici. Intendo, quanto ci vorrà prima che combiniamo i nostri bancomat con i cellulari, li mettiamo ai nostri polsi e li colleghiamo al nostro sistema neurale? Certamente,” disse con sicurezza. “Ci stiamo lavorando. Ma quello che ci confonde da una parte è il viaggio spaziale, e penso che sia una delle ragioni per cui penso che questo libro non sia riuscito ad inserirsi nel canone ufficiale della letteratura distopica.”

“Ma non abbiamo neanche le grandi fattorie di bambini come in Huxley!” obiettò Sophie, e James sorrise, perché il dibattito era davvero la parte migliore.

“No, ma abbiamo l’educazione di massa, l’indottrinamento del governo e la distrazione dalle questioni politiche realmente significative con i media e con argomenti emotivi. Che, tra l’altro, era parte anche di 1984.”

Sophie si fermò per un momento e sbatté le palpebre. “Mio Dio, ha proprio ragione! I proletari erano proprio quelli con tutto il porno e l’alcool, ed erano quelli che potevano fare sesso. Erano i membri educati del partito che dovevano essere distratti con tutte le stronzate! Ha ragione, questo si è realizzato. Ma perché non possiamo dire che le storie di Vinge sono buone basandoci sulle loro similitudini con le realtà odierne?”

E il dibattito cominciò. Altri studenti cominciarono a partecipare e presto iniziò a serpeggiare un mormorio che chiedeva come ottenere il materiale aggiuntivo, e le persone si sorpresero davvero quando la lezione finì.

James sorrise agli studenti quando uscirono e salutarono, e Marlowe sbavò ai suoi piedi con approvazione. Sophie Winchester fu l’ultima ad andarsene, però, e rimase accanto alla porta, guardandolo, chiaramente aspettandolo mentre prendeva lui la borsa e il guinzaglio e usciva.

“Continuo a pensare che lei abbia torto,” borbottò mentre lui usciva dalla piccola aula e chiudeva la porta a chiave. “Penso ancora che la razza umana mostrerebbe più tolleranza verso una specie che non ha tendenze apertamente ostili di quanto farebbero nel libro di Vinge.” Era vestita in modo primaverile quel giorno, con pantaloni neri da basket e una maglietta nera con la scritta Ehi, sono proprio brillante e tu te lo stai perdendo! in bianco sul suo (ampio) petto.

James fece una smorfia. “Non sono sicuro che la cultura nativa di un qualsiasi continente del pianeta sarebbe d’accordo con te,” disse e guardò mentre un vago fastidio oscurava gli occhi di Sophie.

“Dio, è deprimente. Pensa davvero che non abbiamo imparato niente da allora?”

Alzò le spalle. “Non so, Sophie, sembra solo che più pensiamo di essere civilizzati, più è facile trovare un sottogruppo da sottomettere. I mondi di Catspaw e di Torre di vetro erano esempi perfetti: le loro razze erano bene integrate, ma in uno scoprirono i telepati e li fotterono prontamente, e nell’altro crearono la loro razza da sottomettere. E poi finsero una rivoluzione.” Oh, Dio. I suoi occhi stavano diventando grossi e rotondi e il suo labbro inferiore con il piercing stava cominciando a tremare. Il più potente e crudele bastione di amarezza al South Placer Junior College, e l’aveva appena fatta piangere. Porca miseria.

Le diede una pacca sulla spalla. “Sai, forse stai parlando con la persona sbagliata, cara. Sono vecchio. Sono acido.” Ho dilapidato i risparmi di una vita in una relazione che pensavo fosse un matrimonio e che in realtà non lo era. “Sono sicuro che se avessi abbastanza tempo, potresti trovare un esempio che mi chiuda la bocca come fai di solito.”

Sophie gli sorrise, gli sorrise davvero. “Non è acido come crede,” gli disse con magniloquenza e, per un momento, lui si ricordò quasi come sperare.

“Invece sì,” le disse, sorridendo. “Sono un acido, misantropo angelo della tristezza. E ti ordino di tirare fuori il naso dal libro e uscire in questa gloriosa giornata primaverile!”

Sophie arricciò il naso. “Ho l’allergia,” disse, con abbastanza sincerità da fargli fare una smorfia. La valle di Sacramento era un luogo orribile per le allergie! Lui stesso passava buona parte della primavera drogato di Claritin e Zincam.

Ma l’aveva depressa e aveva sempre giurato che, per quanto la vita lo avrebbe schiacciato, non sarebbe diventato uno di quegli adulti seccanti che passano il tempo a dire agli studenti che la vita li avrebbe solo consumati e fatti a pezzi. Doveva farla sorridere. “Bene allora, cosa aspetti? Vai a farti di Benadryl e divertiti a quel modo! È anche legale!”

La fece ridere e lui sorrise, sentendosi meglio, e fu allora che il modello di biancheria intima tornò.

Attraversò il corridoio, questa volta con una canottiera attillata, pantaloni corti e infradito, e anche Marlowe si sedette e mugolò in cerca di attenzione quando il ragazzo vide Sophie e si diresse verso di loro.

“Ehi, vacca, pronta ad andare o no?” La sua voce era spensierata, quasi acuta, con un distinto accento latino. Era qualcosa che James non aveva sentito spesso nella East Coast: di solito un normale uomo bianco doveva andare fino a New York City per sentire le differenze linguistiche delle diversità razziali, ma non in California. James scoprì che gli piaceva abbastanza, era come musica frizzante.

“Devi andare da qualche parte, Rafi?” La voce di Sophie era cambiata, pensò James. La guardò attentamente e non vide niente di latino nei suoi lineamenti, ma era come se conoscesse il suo modello di biancheria intima da abbastanza tempo da cambiare il suo modo di parlare quando era con lui.

“Da nessuna, ma da nessuna parte senza di te è molto meglio che da nessuna parte con te!”

“Sta zitto, stronzo. Mi ami e lo sai.”

“Amo che muovi quel culo grasso, contadinotta dai piedi piatti. Muoviamoci!”

“Sta zitto e dammi le chiavi, stronzo!” Guardò James con un sorriso sbilenco d’intesa e lui osservò entrambi con gli occhi spalancati.

“Che vuoi farci con le mie chiavi, vacca?” chiese il modello chiamato ‘Rafi’, e Sophie lo guardò solo con un’occhiata piatta, da ‘niente stronzate’. Rafi roteò gli occhi e rise. Lanciò le chiavi, che tintinnarono per aria, e Sophie le prese con una mano. Guardò ancora James, come per invitarlo a unirsi al loro punzecchiarsi, e James sorrise, sentendosi stupido. Erano divertenti, la loro inflessione e i sorrisi che alleggerivano gli insulti, rendendoli divertenti e non crudeli, ma improvvisamente si sentì troppo vecchio per quella fantasia in particolare.

“Ora lo scopri,” disse, girandosi per andarsene. Fece una pausa. “Professor Richards, quali erano i suoi programmi per questa sera?” E improvvisamente, la sua voce era tornata all’accento pulito e leggermente musone e nord californiano che le aveva sentito a lezione. Lo scambio era così sorprendente che si trovò a balbettare e arrossire, guardando di nascosto Rafi per vedere cosa ne pensasse dello strano vecchio professore di letteratura inglese di Sophie con il bel cane.

“Io, uhm... pensavo di portare Marlowe al parco. Niente di particolarmente divertente.” Sorrise imbarazzato e cercò di evitare lo sguardo del modello di biancheria intima.

Il sorriso amichevole di Rafi lo costrinse a guardarlo, però, e James sapeva di essere arrossito ovunque. “Non suona così male, stare con i cani, è un bel modo per passare il tempo!”

Il sorriso di James si rilassò di una tacca, perché gli aveva dato ragione. “Marlowe la pensa così,” disse allegramente. “Vive per il parco: è molto socievole.”

Gli occhi scuri e senza fondo di Rafi furono improvvisamente molto concentrati sul viso di James. “E tu? Sei molto socievole?”

James si dimenticò di respirare. Per un momento, fu così perso negli occhi castano scuro di Rafi con le ciglia fitte, scure e nere, che registrò a malapena la risatina di Sophie mentre svaniva lungo il corridoio.

“Non molto ultimamente,” rispose, sentendosi un po’ debole. “Ultimamente sono più che altro un bastardo isolato ermeticamente.”

Il sorriso di Rafi fu di apprezzamento, lento e pigro. “Beh, sai com’è, anche gli eremiti devono uscire dalle loro caverne a volte. Altrimenti finisce che parlano con gli animali o roba del genere, e Marlowe sembra intelligente e tutto, ma non sono sicuro sia quel tipo di cane.”

James non riuscì a trattenersi; sorrise come una ragazzina. “Parla,” disse James. “Parla, ma solo delle cose che conosce.”

Rafi annuì, come se capisse perfettamente. “Forse dovrebbe uscire di più. Il parco è un punto di partenza, ma forse dovresti andare a vedere un film o qualcosa del genere, oppure in discoteca. Guidare fino alle montagne.”

Il rossore di James si era attenuato, ma quando Rafi parlò, ebbe improvvise visioni di se stesso e oh mio Dio, Rafi il modello di biancheria intima, che facevano insieme tutte quelle cose, e l’ondata di colore gli rotolò di nuovo sotto la pelle.

“Marlowe non può venire nella maggior parte di quei posti,” disse con voce strozzata e le sopracciglia sollevate di Rafi indicavano che era una scusa davvero debole. Stava per ribattere alla scusa stupida di James quando la sua tasca squillò. Tirò fuori il telefono e guardò alla sua destra, dove poco prima stava Sophie.

“Ehi, vacca, dove sei? E con le mie chiavi!” James si accorse che anche Rafi cambiava inflessione quando parlava con Sophie e si chiese da quanto si conoscessero esattamente. Poi registrò quello che Rafi stava dicendo davvero.

“Sei dove? Che puttana! Come diavolo faccio a tornare a casa?”

James sussultò e. ai loro piedi, Marlowe si alzò sulle zampe posteriori, agitandosi per l’eccitazione nella voce di Rafi. Improvvisamente, Rafi stava guardando James con un leggero apprezzamento scontroso e della sincera irritazione.

“Mi porterà a casa?”

James sapeva che i suoi occhi erano diventati davvero grandi ora.

“Dopo aver portato il cane a spasso?”

Beh. Era davvero considerato da parte sua.

“No, non sarò qui domattina, puttana, perché non sono così facile. E no. Non ti darò i dettagli, perché questa è una fottuta imposizione... su di lui, vacca! Sì, lo so che non ho niente da fare, non vuol dire comunque che abbia intenzione di fare visita a mia mamma stanotte!”

Rafi sospirò e strinse la radice del naso. Lo sguardo che fece a James era... tormentato. “Senti, Sophie, so che hai un cuore grande come tutto il cazzo di mondo, ma non è che ogni ragazzo bianco gentile ha intenzione di portarsi un hoodrat ispanico al cazzo di parco.”

“Non mi darebbe fastidio.” James si inserì nella conversazione telefonica e poi si sorprese così tanto di quello che aveva detto che sbatté le palpebre e si guardò intorno nel corridoio ora deserto per vedere se qualcun altro era passato e aveva pronunciato quelle parole.

Rafi lo stava guardando confuso e con un sorriso d’apprezzamento sul viso. “Davvero?”

James si chiese se stava ancora arrossendo, o se era diventato a chiazze in modo sgradevole. “Sì,” borbottò. “Se non ti dà fastidio portare Marlowe al parco, ti porterò a casa. Dove abiti?”

“I miei vivono nella parte vecchia di Lincoln, vicino alla centonovantatreesima.”

James si illuminò. Abitava nella nuova parte di Lincoln, vicino al Stanford Ranch. Non era troppo lontano, soprattutto non dal parco. “Sì, certo. Non è un problema.”

Rafi si illuminò a sua volta, poi parlò rudemente al telefono. “Sei una puttana fortunata, lo sai? Sì, avrai il tuo cazzo di passaggio a casa d’ora in poi.”

Ci fu un gridolino dall’altra parte e il modello di biancheria intima di Sophie sospirò e il suo viso diventò affettuoso. “Sì, sì, ti voglio bene anch’io. Va bene. Sono il tuo autista fino alla fine del cazzo di universo. Va bene. Cristo.”

Spense di scatto il cellulare e guardò James, scuotendo la testa. “Ehi, mi dispiace per questa storia.”

James scosse le spalle. “Spiace anche a me. Sembra un caso difficile. Chi poteva immaginare che avesse un piano speciale per me.”

Rafi lo guardò e sorrise. “Tu? Pensi che lo faccia per te? Nah, sa che ho la fissa per i ragazzi bianchi. È perché ho mentito per lei alla sua ma’ e pensa di essere in debito.”

James lo guardò impressionato, perché mentire alle ma’ di qualcuno era così fuori dalla sua intera esperienza di vita che per lui era quasi come se stesse per portare James Dean al parco per cani. “Davvero?” chiese. “Uhm, voglio davvero sentirla questa storia, uhm, Rafi.”

Quel sorriso... oh, Dio. Arrivò proprio carico, denti bianchi, guance ritratte, fossette che sbucavano sugli zigomi alti e il servosterzo e il GPS integrato. Wow. Era come la prima classe dei sorrisi, e James voleva solo buttarsi in quelle labbra morbide e gonfie e fare le fusa.

“In realtà, Sophie mi chiama Rafi perché siamo praticamente cresciuti insieme, ma tutti gli altri su questo pianeta mi chiamano Rafael. Rafael Ochoa. Va bene per te?”

Purrrrrrrrrrrrrr. “James. Uhm, James Richards.” Spostò il guinzaglio di Marlowe nella mano che teneva la borsa e gli porse l’altra. Rafael la strinse con forza, con la presa di un body builder più che di un modello di biancheria intima.

“C’è qualcuno che ti chiama Jim o Jimmy o Jack?” chiese, e James scosse la testa.

“Neanche una volta in tutta la mia vita,” disse, in qualche modo sorpreso.

“Bene, allora, Jimmy-Jack, cominciamo quest’avventura sulla strada! Scommetto che il tuo povero cane ha bisogno di scaricare, mi capisci?”

Marlowe alzò lo sguardo e la lingua gli ricadde fuori dalla bocca in un sorriso canino. James si piegò per grattargli la testa.

“No, ma sono sicuro che Marlowe ti capisce.” Era abbastanza per Rafael, apparentemente, perché loro tre partirono verso la Volvo vecchia di quindici anni di James, con il parco per cani come destinazione.
 
Web Contacts  Top
A&P
view post Posted on 9/9/2013, 14:18




Quanto ho adorato questo libro! "Non è Shakespeare" è un romanzo fresco, divertente, ma anche ricco di dolcezza e tenerezza, con un spruzzata qua e là di malinconia.
Amy Lane riesce a combinare molti elementi in un mix davvero esplosivo. La sua bravura si concretizza nelle creazione di personaggi meravigliosi e amabili anche per i loro difetti, e soprattutto in uno stile davvero unico e impareggiabile.
Riesce a variare registri liguistici con una semplicità invidiabile, fa parlare ai personaggi non il "librese" ma la lingua di tutti i giorni, in un modo adeguato all'etnie, alla classe sociale e all'ambiente in cui si svolge la vicenda.
I due protagonisti di questo libro mi hanno fatto impazzire per molti motivi e tutti positivi, soprattutto Rafael che non posso che definire MERAVIGLIOSO!
Un bel romance che si impreziosisce grazie alle capacità stilistiche della Lane. GRANDE AMY!
 
Top
view post Posted on 29/1/2014, 18:28
Avatar

Advanced Member

Group:
Dreamer
Posts:
6,322

Status:


Letto tutto d'un fiato mi è piaciuto tanto. Divertente in molti casi, Rafi mi è piaciuto tantissimo, ho adorato il cagnolino di James ma anche il personaggio di Sophie. Devo dire che la Lane mi piace parecchio come scrittrice spero di leggere presto altro di lei.
 
Top
2 replies since 6/6/2013, 17:40   210 views
  Share