Caccia a Seth, di J.R Loveless - 13 Agosto

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view post Posted on 2/8/2013, 17:38




CACCIA A SETH

Il veterinario Seth Davies arriva a Senaka, nel Wyoming, alla ricerca di tranquillità e di anonimato, per tentare di fuggire dal proprio passato. Da sempre è stato una calamita per i guai e per il dolore, e ha avuto buone dosi di entrambi. Kasey Whitedove lo condanna a prima vista. È convinto che nessun uomo bianco potrebbe amare gli animali nel modo in cui la maggior parte del popolo Cheyenne si aspetterebbe, così rende i primi giorni di Seth a Senaka un vero incubo.
Tuttavia un incidente pone Kasey nella difficile posizione di dover mettere da parte l’orgoglio e di desiderare ardentemente Seth, nonostante i pericoli della sua vita da licantropo e i pesanti segreti dell’altro uomo. Per Kasey, dare la caccia a Seth e tenerlo al sicuro dal suo passato è appena diventata la priorità.

Genere: M/M
Editore: Dreamspinner Press
Pagine: 216
Formato: eBook
Uscita: 13 Agosto 2013

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Estratto:
Capitolo Uno

SETH DAVIES alzò gli occhi per osservare la clinica di fronte a sé, mentre un sorriso soddisfatto gli illuminava i lineamenti delicati. Aveva impiegato sei settimane per completare tutte le pratiche della vendita e non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. Senaka, una cittadina del Wyoming, era esattamente il posto che gli serviva per rimettersi in sesto.

La sua mente si rifiutò di pensare ai ricordi del passato e, con un sospiro, Seth entrò nella clinica. Dietro al bancone c’era Chessie Fox, la segretaria, occupata a parlare al telefono. Quando gli rivolse un sorriso di benvenuto, lui le rispose con un altro sorriso caloroso.

“Buongiorno Chessie,” le disse, avvicinandosi al bancone.

Chessie salutò in fretta il suo interlocutore e terminò la chiamata. “Buongiorno, Doc. Il suo primo appuntamento la sta già aspettando nella Sala Visite 1.”

Non fece in tempo a chiederle la cartella che la ragazza gliela porse. Gli piaceva proprio, quella ragazza. Era efficiente, amichevole e molto estroversa, nonché decisamente carina, con la pelle olivastra, gli occhi marroni e i lunghi capelli castano scuro. Chessie era una Cheyenne, glielo si leggeva nei lineamenti, e se Seth fosse stato attratto dalle donne ci avrebbe sicuramente fatto un pensierino. “Grazie, Chessie, per aver deciso di restare.”

“Oh, nessun problema. Mi piace lavorare qui e sono felice che lei abbia voluto che rimanessi!” esclamò Chessie, col battito accelerato di fronte allo splendido uomo che aveva davanti. Seth era bellissimo: aveva il viso sottile, con il mento leggermente a punta, fossette profonde, occhi blu come l’oceano e capelli folti e così neri da sembrare quasi innaturali, dal taglio curato, leggermente più lunghi sulla nuca. Chessie era più bassa di lui, gli arrivava appena all’altezza del mento, ma ciò che davvero la eccitava del suo capo era quel singolo orecchino che gli pendeva dall’orecchio, una piuma d’argento non più grande di una monetina che si muoveva a ogni movimento della testa di Seth.

“A ogni modo, ti sono grato per aver scelto di rimanere; non avrei nemmeno saputo da dove iniziare a cercare le pratiche, né chi fossero i clienti del Dr. Redfern.” Seth abbassò lo sguardo sulla cartella, leggendo il nome del paziente e dando una lettura veloce alla storia clinica dell’animale, poi lo rialzò su di lei. “Ho una giornata piena?”

“Abbastanza, Doc. Però ha una pausa tra l’una e le tre, ma non si sa mai. Da queste parti capita spesso di avere delle emergenze.” Il telefono iniziò a squillare, interrompendo la conversazione.

Seth entrò nella sala visite, sorridendo alla signora e osservando il barboncino sul tavolo. “Salve, signora Whitedove. Sono il dottor Seth Davies e immagino che questa sia Samantha.” La donna gli sorrise, fissandolo tanto intensamente da farlo quasi sentire a disagio. Seth era certo che anche la signora Whitedove fosse di origine Cheyenne, come d’altra parte la maggior parte degli abitanti di Senaka, rendendo facile indovinarne le origini. Era di pochi centimetri più bassa di lui e il suo volto appariva segnato, ma vi si percepiva un’aria di saggezza. Rughe profonde le solcavano il viso a forma di cuore e in mezzo ai capelli neri iniziavano a intravedersi alcuni fili grigi. “Avevo sentito che il dottore aveva venduto la sua attività. Lei è molto giovane, vero, dottore?”

“Per favore, mi dia del tu. È vero, posso sembrare giovane, ma sono piuttosto esperto nel prendermi cura di questi cuccioloni,” disse Seth con tono sicuro avvicinandosi al tavolo dove sedeva il cane, un barboncino incredibilmente bianco che gli mugolò, leccandogli la mano. “Qual è il problema di Samantha, signora Whitedove?”

“Ecco, ultimamente ha scarso appetito. Non mangia e non gioca più con i suoi giocattoli,” spiegò la donna, con occhi pieni di preoccupazione. Seth diede una grattatina dietro le orecchie del barboncino prima di indossare lo stetoscopio per ascoltare il torace dell’animale. Rimase concentrato, con gli occhi semichiusi mentre le sentiva il cuore. Una leggera irregolarità nel ritmo lo fece accigliare. Spostò la mano libera sul fianco del barboncino con delicatezza, muovendosi lentamente mentre il cane mugolava di nuovo premendo contro la sua mano. La signora Whitedove guardava affascinata le emozioni che passavano sul volto del dottore. L’evidente preoccupazione dei primi momenti era sparita per lasciare spazio a un’espressione serena. “Samantha sta bene, dottore?” chiese la donna, con una nota di paura nella voce.

Seth non le rispose subito. Una goccia di sudore gli scese sulla fronte ma infine aprì gli occhi e lanciò un sorriso affaticato alla donna. “Starà bene, signora Whitedove, ha solo un po’ di fastidio allo stomaco. Le darò un antiacido e nel frattempo tenga sotto controllo la sua dieta nei prossimi giorni. Potrà sentire un po’ di nausea e fastidio, quindi le dia del riso bollito e del pollo, senza la pelle. Perché non porta Samantha in sala d’attesa mentre io le prendo le medicine?”

La signora Whitedove fece un sospiro di sollievo e gli sorrise. “Mi fa così piacere, dottore. Avevo paura che avesse qualcosa di grave. Samantha è un regalo di mio figlio Kasey, me l’ha comprata quando mia madre è morta.”

“Si rimetterà presto,” mormorò Seth accarezzando appena il muso del cane mentre le sue dita stringevano il bordo del tavolo con tanta forza da far impallidire le nocche, in attesa che la donna lasciasse la stanza.

Nell’istante in cui la porta si chiuse dietro di lei, Seth raggiunse di corsa il bagno nel retro e vomitò una sostanza nerastra che andò a macchiare la porcellana, poi si lasciò cadere sul pavimento. Con la fronte appoggiata alle braccia ancora aggrappate alla tavoletta, aspettò che passassero le vertigini e l’agitazione; poi, quando si sentì nuovamente in grado di stare in piedi senza cadere, Seth si alzò dal pavimento per recuperare il medicinale per il barboncino.

Chessie stava chiacchierando insieme alla signora Whitedove quando lui uscì dal retro e porse il barattolo alla sua assistente. “Le dia mezza compressa al mattino per i prossimi cinque giorni e Samantha si rimetterà in sesto, signora Whitedove. Se ha qualche domanda o dubbio, il mio numero di cellulare è sul biglietto da visita. Mi chiami pure a qualunque ora.”

“Grazie dottore,” disse sorridendo mentre pagava Chessie per poi dirigersi verso la porta con un’aria contenta. Seth le lanciò un debole sorriso, guardandola allontanarsi.

Chessie lo guardò preoccupata, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla. “Tutto bene, dottore? È pallido.” Seth annuì. “Sì, sto bene, sono solo un po’ stanco. Le ultime sei settimane sono state intense.”

“Se lo dice lei,” rispose poco convinta. “Il suo prossimo paziente dovrebbe essere qui tra pochi minuti.” Aveva lo sguardo preoccupato mentre lo guardava tornare nel suo ufficio nel retro dell’edificio. Aveva la sensazione che le nascondesse qualcosa.

Seth si lasciò cadere sulla sedia, appoggiando la testa sulla scrivania di fronte a sé, gli occhi chiusi mentre lottava per riprendere il controllo del proprio corpo. Passarono solo pochi attimi prima che l’interfono suonasse di nuovo; Chessie gli fece notare che il suo paziente era arrivato. Con un respiro profondo, Seth si alzò e si diresse all’entrata per prendere la cartella che gli serviva.

A fine giornata si sentiva esausto e barcollante.

Chessie andò via un’ora prima di lui e, proprio mentre stava per terminare la giornata e chiudere la clinica, sentì suonare il campanello. Sospirando, si spostò nell’ingresso, dove si fermò non appena vide l’uomo più affascinante su cui avesse mai posato gli occhi.

L’uomo era la personificazione del sesso. Tirati indietro sulla testa, i suoi capelli neri rilucevano sotto le lampade del soffitto. Gli zigomi alti e marcati e un mento solido e arrotondato gli davano un’aria da duro. La carnagione olivastra rivelava la sua relazione con gli altri abitanti del luogo. Era alto almeno un metro e ottanta, con spalle abbastanza larghe da poter reggere il peso del mondo. Infine, una divisa da sceriffo sottolineava il suo corpo muscoloso nei punti giusti.

Deglutendo vistosamente, Seth si avvicinò all’uomo, sorridendo appena. “Posso aiutarla in qualche modo?” La sua domanda venne accolta con uno sguardo ostile dagli occhi neri che lo stavano fissando.

“È un bianco,” disse secco l’uomo.

Seth sollevò un sopracciglio e decise che quell’uomo non gli piaceva affatto. Diede un’occhiata alla targhetta sull’uniforme, restando stupito davanti al nome dell’uomo. “Accidenti, sono felice che questo fatto sia stato chiarito. Ora la mia confusione è sparita. In cosa posso aiutarla, Sceriffo Whitedove?”

Le sue sopracciglia, di solito elegantemente arcuate, si corrucciarono. “Il dottore non aveva mai detto che avrebbe venduto a un bianco.” Il sorrisetto sul viso di Seth era sparito da un po’. Poteva scommetterci, quello era un bigotto pieno di pregiudizi. “Ascolti, lei è chiaramente contrariato dal fatto che io non sia uno Cheyenne, ma ci dovrà fare l’abitudine perché non posso cambiare quello che sono,” ringhiò, improvvisamente seccato. “Quindi mi dica, ha bisogno di qualcosa o ha solo intenzione di rimanere qua tutta la notte a puntualizzare il fatto che io sia bianco? Sono esausto e vorrei andare a casa.”

Lo sceriffo Whitedove lo osservò, sovrastandolo dall’alto della sua statura, ma Seth non si lasciò intimidire e si limitò a rivolgergli uno sguardo truce.

“Una delle mie cavalle sta avendo un parto complicato, ma non mi serve che un bianco tocchi i miei cavalli. La sua gente non sa nulla di animali.”

“Quindi preferirebbe vedere soffrire e magari anche morire il suo cavallo perché sono bianco?” chiese Seth aspramente, mentre in cuor suo soffriva per l’odio che percepiva arrivare dall’uomo. Non l’avrebbe mai ammesso, ma faceva male. “E in ogni caso, conosco gli animali meglio di quanto lei pensi, sceriffo, ma se lei preferisce che la sua cavalla muoia piuttosto che farsi aiutare da un bianco, allora le suggerisco di andarsene dalla mia clinica.” Il respiro gli era diventato affannoso per la rabbia che lo attraversava. Che bastardo. Chi diavolo pensava di essere quel tipo?

Le labbra dello sceriffo erano bianche per la rabbia con cui le serrava. “Bene, andiamo. Ma sappia, dottore, che se la cavalla muore la riterrò responsabile.” Seth non rispose alla minaccia, dirigendosi semplicemente nel suo ufficio per recuperare la sua borsa per le emergenze mediche. Lo sceriffo lo stava ancora aspettando all’ingresso della clinica. Nonostante tutto, Seth era più preoccupato per la cavalla di quanto non fosse per il disprezzo dell’uomo per il suo essere bianco. “Sono pronto,” disse serio.

Senza dire una parola, lo sceriffo uscì dalla clinica sbattendo la porta e si diresse verso il camioncino del dipartimento parcheggiato lì di fronte. Seth lo seguì, fermandosi a chiudere la porta a chiave prima di salire sul veicolo. Senza nemmeno dare al veterinario il tempo di allacciare la cintura di sicurezza, lo sceriffo uscì dal parcheggio a tutta velocità. I dieci minuti di tragitto sembrarono durare un’eternità, l’atmosfera nell’auto era tesa e silenziosa e Seth si lasciò scappare un sospiro di sollievo quando si fermarono di fronte a una grande casa in stile ranch appena fuori città.

“Da questa parte,” ringhiò lo sceriffo.

Un cavallo giaceva in mezzo alla paglia dentro uno dei box. Seth corse verso di esso e si inginocchiò di fianco all’animale. In quel momento, tutto il resto sparì. Nemmeno lo sceriffo lo preoccupava più. Fece scivolare le mani lungo il fianco del cavallo sauro. Il puledro stava soffrendo e lo sentiva indebolirsi. Se non lo avesse fatto girare in fretta, avrebbe perso entrambi.

Con un rapido gesto sollevò le maniche della camicia fin sopra ai gomiti. Non perse nemmeno tempo a infilare i guanti come avrebbe fatto di solito, poteva sentire la paura e il dolore dei cavalli aggiungersi alla propria preoccupazione.

Infilò le braccia all’interno della cavalla. Con estrema cautela prese tra le mani le zampe anteriori del puledro e, molto lentamente e con delicatezz, iniziò a tirarle, centimetro dopo centimetro, nonostante il dolore che ciò causava alla madre, finché l’animale non iniziò a girarsi. Seth sbuffò trionfante quando il puledro raggiunse la posizione giusta e iniziò a uscire, mentre la cavalla lanciò un nitrito di eccitazione sentendo il cucciolo muoversi.

Kasey Whitedove gli girava attorno in silenzio, studiando i movimenti dell’uomo che aveva preso le redini della clinica veterinaria della sua città. Era evidente che, all’infuori dell’animale, non esisteva nulla per il veterinario dai capelli scuri. Le emozioni che poteva leggere di volta in volta sul suo volto, dalla preoccupazione al sollievo, lo affascinavano e sentì una punta di rimorso per il modo in cui gli aveva parlato, ma la scacciò. Quell’uomo non era uno Cheyenne e i bianchi non sapevano nulla di animali. Li usavano e li uccidevano per profitto. Il pensiero che il precedente dottore avesse lasciato la clinica a un bianco lo rese ancora più furioso. Cosa aveva in mente Redfern?

Seth sfilò le braccia dal corpo dell’animale e lasciò che finisse da sola. Il puledro scivolò fuori dalla madre, atterrando sulla paglia morbida. Il volto del veterinario si aprì in un sorriso alla vista del puledro dal manto nero che tentava già di alzarsi sulle zampe. Facendo molta attenzione, si allontanò dalla madre, che iniziò a pulire il cucciolo, mentre Seth la osservava. “Molto bene,” disse quasi sussurrando.

Quando fu sicuro del fatto che entrambi stessero bene, si voltò verso lo Cheyenne senza aspettarsi alcun ringraziamento e chiese semplicemente: “Posso pulirmi da qualche parte?”

“C’è una stanzetta nel retro della stalla,” rispose Kasey con un tono scorbutico. Seth si alzò e superò lo sceriffo, senza notare il modo in cui l’uomo si irrigidì quando gli passò vicino. Trovo la stanza, aprì il rubinetto e afferrò la saponetta appoggiata sul bordo. Per fortuna non aveva dovuto preoccuparsi di avere un altro attacco, non avrebbe potuto fidarsi di qualcuno che non aveva fiducia nelle sue capacità. Se solo l’uomo avesse saputo. Gli angoli della bocca si piegarono in una smorfia di delusione pensando a quanto gli importasse dell’opinione che lo sceriffo aveva di lui, ma Seth scacciò in fretta il pensiero. Non gli interessava, pensò; quell’uomo era un bigotto.

Improvvisamente si sentì stanchissimo, come non capitava da mesi. La giornata era stata lunga e la tensione tra lui e lo sceriffo era palpabile: Seth se la sentiva pesare sulle spalle come piombo. Quando uscì dalla stanzetta, lo sceriffo non era più nella stalla, né all’esterno.

Con un sospiro iniziò a pensare che forse sarebbe dovuto tornare in città a piedi, quando la porta della casa si aprì e lo sceriffo uscì sulla veranda, raschiando gli stivali sul pavimento di legno. “È pronto?” chiese l’uomo.

Seth annuì appena, serrando la mascella. Durante il viaggio di ritorno nessuno dei due disse nulla e Seth fu felice di vedere la clinica, più di quanto non lo fosse stato quella mattina stessa. “Buonanotte, sceriffo.”

“’Notte,” disse l’uomo a denti stretti.

Seth osservò il camioncino lasciare il parcheggio e scosse la testa. Quell’uomo era stupido e testardo. Salì in macchina con un sospiro stanco. Come ogni volta che usava l’energia per curare, il suo corpo era attraversato da forti dolori. Fin da quando era bambino, aveva avuto la capacità di vedere dentro gli animali e trovare qualunque malattia di cui soffrivano: era in grado di eliminare i loro disturbi, ma non senza poi pagarne le conseguenze. Il suo corpo assorbiva l’energia negativa che causava la malattia o il disturbo, ma poi doveva liberarsene una volta finita l’operazione. Il più delle volte gli bastava vomitare per espellere le energie, ma a volte, in caso di malattie più gravi, il suo corpo aveva bisogno di un modo più efficace, di solito attraverso perdite di sangue. In entrambi i casi, la pratica lo lasciava debole ed esausto.

Sbadigliando, mise in moto la macchina. Doveva arrivare a casa in fretta se non voleva rischiare di addormentarsi al volante.

La casa che aveva preso in affitto si trovava ai margini della foresta ed era perfetta per lui. Due camere da letto, due bagni, uno padronale e uno di servizio, un piccolo soggiorno e un’ampia cucina erano più che sufficienti per una persona sola. In particolare la cucina aveva avuto un peso importante nella scelta della casa poiché Seth amava cucinare.

Appena imboccò il vialetto di fronte alla casa, Bullet, il suo golden retriever, si mise ad abbaiare alla porta, facendolo sorridere. Lo aveva trovato tre anni prima, ancora un cucciolo, quasi dissanguato da una ferita da arma da fuoco. Neanche la sua capacità gli permetteva di estrarre un proiettile, ma il cucciolo era sopravvissuto contro ogni previsione. Da quel momento Seth l’aveva tenuto con sé.

Pensare a Bullet gli fece tornare in mente le parole dello sceriffo a proposito della scarsa conoscenza degli animali da parte dei bianchi. Era assolutamente vero, molte specie di animali erano sull’orlo dell’estinzione a causa del poco rispetto degli uomini verso quelle creature. Ma non era solo colpa dei bianchi. Quasi tutti gli esseri umani contribuivano ogni giorno all’uccisione di animali, sia in incidenti d’auto, sia disboscando intere zone per costruire nuove case o palazzi. Venire a conoscenza di questi episodi lo riempiva di tristezza; lo sceriffo non poteva essere più in errore nel giudicarlo.

Ma non avrebbe permesso che le parole dello sceriffo lo buttassero giù, pensò, scacciando dalla mente il ricordo della discussione. Quell’uomo era talmente accecato dall’odio da non capire che non tutte le persone agivano allo stesso modo.

Con passo stanco, Seth entrò in casa e salutò Bullet. “Ehi, bello,” sussurrò.

Il golden retriever guaì e strofinò la testa contro la mano di Seth. Seth ridacchiò sottovoce, accarezzando il cane dietro le orecchie. “Anch’io sono felice di vederti. È stata una lunga giornata ma ti prometto che domani ti porterò al lavoro con me, che ne dici? C’è un cortile abbastanza grande sul retro della clinica dove potrai correre.”

Bullet abbaiò eccitato, scodinzolando felice.

Seth riempì le ciotole del cane di cibo e acqua pulita prima di buttarsi sul divano e cadere immediatamente in un dormiveglia ricco di sogni.

All’inizio, la figura dello sceriffo la fece da protagonista, mandando in estasi il corpo del dottore. Corpi nudi si avvinghiavano con passione tra gemiti e sospiri. Seth si mosse nel sonno e la sua erezione gli premette contro i pantaloni. Ma lentamente il sogno si tramutò nell’incubo che aveva vissuto e respirato per mesi.

Quell’incubo che non faceva altro che perseguitarlo. Un gemito attraversò la casa al ricordo del dolore e della paura, mentre le sue narici ricordavano l’odore dolce del sangue, così tanto sangue che non riusciva a dimenticare.

Seth si alzò di scatto con un grido, tremante e impaurito. I vestiti erano zuppi di sudore e forti tremiti gli scuotevano il corpo. Si passò una mano sul viso e lanciò un’occhiata all’orologio. Erano già le quattro del mattino. Sapeva che non si sarebbe più addormentato dopo quell’incubo, così si alzò e iniziò a prepararsi per affrontare la giornata. La doccia gli diede un po’ di tono, ma solo un caffè avrebbe scacciato le ombre dai suoi occhi.

Si vestì in fretta, infilando un paio di jeans sbiaditi e una maglietta grigia, poi, pensando che sarebbe andato direttamente in clinica dopo la colazione, chiamò Bullet che si lanciò in direzione della porta.

Seth aprì la porta con una risata e il cane corse verso la macchina, talmente eccitato da girare in tondo cercando di mordersi la coda. “So che è passato del tempo dall’ultima volta che sei venuto al lavoro con me, ma ricorda di comportarti bene, okay?” Bullet abbaiò una risposta, che Seth accolse con un sorriso compiaciuto aprendogli la portiera dal lato del guidatore per farlo salire. Poco dopo si stavano dirigendo verso la città.

Poiché la clinica non avrebbe aperto prima delle otto, Seth si fermò alla tavola calda più vicina per prendere una tazza di caffè. Lasciò il finestrino aperto per Bullet e gli ordinò di rimanere all’interno dell’auto. Fortunatamente per il dottore, nel locale erano presenti pochi clienti che si voltarono tutti a osservarlo nel momento stesso in cui aprì la porta. Sorrise cercando di limitare l’agitazione e salutò la ragazza dietro al bancone dopo aver lanciato un’occhiata al nome sulla targhetta. “Buongiorno, Bridget.”

“Buongiorno a lei, dottore,” rispose Bridget sporgendosi da dietro il bancone. La pelle chiara, i capelli biondi, gli occhi verdi e i seni generosi sottolineavano il fatto che non fosse una Cheyenne. Se non fosse stato un gentiluomo, Seth avrebbe riso al modo in cui la ragazza metteva in evidenza il seno. Invece nascose il sorriso con un colpo di tosse. “Che le posso portare?”

“Solo un caffè in tazza grande da portar via, per favore,” chiese, sedendosi al bancone.

“Certo, dolcezza,” rispose ammiccando prima di allontanarsi.

Seth scosse il capo e si passò una mano tra i capelli ancora umidi. Poteva sentire gli sguardi curiosi degli altri clienti. Aveva dato solo uno sguardo frettoloso in giro, ma aveva notato due uomini seduti a un tavolo in fondo alla sala, vicino al bagno. Un secondo tavolo era occupato da una donna minuta, caucasica, con due bambini chiaramente ancora troppo assonnati, visto che erano seduti al tavolo senza piagnucolare o fare confusione. Infine, un uomo era seduto da solo all’estremità opposta del bancone. L’atmosfera intorno a lui era tesa e Seth era sicuro che ciò fosse causato dal suo arrivo. Era ovvio che non si fidavano di lui.

“Ecco a lei, dottore,” cinguettò Bridget, posando di fronte a Seth un bicchierone fumante. “Fa un dollaro e settantacinque.”

Seth tirò fuori dal portafoglio una banconota da cinque dollari. “Tieni pure il resto,” disse, prendendo un bel po’ di bustine di zucchero e una porzione di panna liquida.

La campanella della porta dietro di lui risuonò attraverso il locale quasi vuoto. Seth si irrigidì appena percepì l’ostilità alle sue spalle. Pensava di rimanere a zuccherare il suo caffè con calma nel locale, ma sapere che lo sceriffo era lì gli fece cambiare idea.

“Grazie, Bridget,” disse voltandosi per uscire.

Lo sceriffo era all’ingresso, in abiti civili. I jeans attillati gli fasciavano le cosce muscolose e una maglietta bianca gli copriva il torace come una seconda pelle. A Seth si fermò il respiro a metà e dovette deglutire un paio di volte per riuscire a parlare. “Buongiorno, sceriffo.” L’uomo lo guardò di sfuggita ma rispose in modo freddo.

“’Giorno,” disse mentre lo superava per dirigersi verso il lato opposto del bancone. Seth notò di sfuggita che un tatuaggio copriva la parte superiore del braccio dello Cheyenne. Non poteva vederlo per intero, ma intuì che si trattava di un simbolo tribale.

Soffocando un sospiro, Seth uscì dalla tavola calda. Bullet sporgeva la testa dal finestrino. “Forza Bullet, spostati.” Il cane abbaiò, attirando gli sguardi dei clienti del locale, compreso quello che sembrava guardare dentro di Seth. “Speravo davvero di poter rimanere in questo posto, Bullet, ma non ne sono più tanto sicuro,” mormorò a bassa voce.

Quando arrivò, la macchina di Chessie era parcheggiata di fronte alla clinica e al suo ingresso fu salutato dalla voce allegra della ragazza. “Buongiorno, dottore. Oh! Ma chi abbiamo qua?” Si spostò di fronte al banco e si inginocchiò, ridendo mentre il golden retriever le leccava il viso. “Come si chiama?” Chiese a Seth alzando lo sguardo.

“Si chiama Bullet. Di solito lo porto con me al lavoro così non è costretto a stare in casa tutto il giorno, ma cercando di familiarizzare con i miei pazienti non avevo ancora avuto l’occasione. Ma da oggi in poi lavorerà con me, vero bello?” Bullet abbaiò e si strusciò contro Seth, che immediatamente sorrise felice. Avere il suo cane vicino lo metteva di buon umore. Forse la ragione di ciò era legata alle sue capacità, ma non poteva essere certo che non lo fosse, visto che il cane gli aveva salvato la vita in più di un’occasione.

“Beh, io lo trovo adorabile,” disse Chessie, abbracciando ancora una volta Bullet prima di alzarsi. “Il suo primo paziente non arriverà prima delle nove. Oggi sarà una giornata tranquilla, non ci sono molti appuntamenti.”

Seth si voltò a guardarla, accigliato. “Succede spesso?”

Chessie cercò di nascondere il suo dispiacere abbassando lo sguardo, ma non fu abbastanza svelta e all’occhiata di Seth dovette cedere. “No, solitamente il Dottor Redfern aveva le giornate piene. Mi spiace, Seth, ma finché non dimostrerai alla gente ciò che sai fare non otterrai molta fiducia. Soprattutto…” Chessie si interruppe, ma Seth sapeva quasi con certezza ciò che stava per dire.

“Soprattutto perché sono bianco,” concluse con tono aspro. Chessie spalancò gli occhi, sorpresa. “Non preoccuparti, Chessie. Ho già imparato la lezione grazie allo sceriffo. È venuto ieri sera, uno dei suoi cavalli aveva problemi a partorire perché il puledro era girato. Stava quasi per andarsene pur di non far curare la sua cavalla da un bianco. Assicurati di mandargli la fattura per la chiamata d’emergenza.” Girò i tacchi e si andò a chiudere nel suo ufficio. Stava iniziando a pensare che le cose potessero andar bene, quando ecco che si era ritrovato in una città piena di bigotti con i paraocchi.

Il resto della giornata passò tranquillo; la maggior parte degli appuntamenti era per i richiami dei vaccini e fortunatamente nessun animale era in condizioni tanto gravi da costringerlo a usare la propria abilità. L’ultimo paziente se ne andò poco dopo le cinque e Seth sprofondò nella poltrona, sollevato. Bullet gli poggiò subito la testa in grembo, lanciando dei guaiti per farsi coccolare. Seth fece cadere la mano sulla testa setosa del cane, grattandolo pigramente dietro le orecchie. Tutti i suoi clienti erano stati diffidenti nei suoi confronti e lo lasciava sconcertato come tutti potessero pensare che non sapesse nulla su come trattare gli animali. Aveva passato otto anni a studiarli e, nonostante fosse giovane, sapeva il fatto suo.

L’interfono suonò, distraendolo dai suoi pensieri. “Dottore, sto per andarmene. Hai bisogno di qualcos’altro?”

“No, Chessie, grazie. Buona serata,” disse.

“Altrettanto.” Seth riusciva a percepire il tono preoccupato nella voce della ragazza e probabilmente avrebbe dovuto essere ugualmente preoccupato. Se tutti i clienti della zona si fossero rifiutati di andare da lui, sarebbe sicuramente finito in bancarotta. Aveva investito tutti i suoi soldi in quel posto, ma invece di cadere nel panico era piuttosto rassegnato. La bancarotta sarebbe solo stata un ulteriore peso sulle sue spalle già cariche.

Bullet mugolò di nuovo, distogliendolo dai suoi pensieri, quando improvvisamente gli si rizzò il pelo sul collo e iniziò a ringhiare, avvicinandosi a Seth. Il cuore del veterinario iniziò a battere all’impazzata. Bullet non avrebbe mai attaccato un essere umano e il cane aveva reagito a quel modo solo in un’altra occasione. Seth si guardò intorno, cercando disperatamente un qualunque oggetto che potesse essere usato come arma, ma non trovò nulla di davvero utile nel suo ufficio. Alzatosi, sgattaiolò nell’ingresso buio mentre Bullet continuava a strattonargli i pantaloni cercando di fermarlo. Seth lo riprese a voce bassa: “Bullet!” Il cane lo lasciò ma gli rimase vicino mentre l’uomo attraversava la stanza e si avvicinava all’ingresso della clinica, circondato da un silenzio inquietante.

Chessie aveva chiuso la porta uscendo, ma Bullet non smise di ringhiare, anzi, divenne ancora più feroce. Seth aprì la porta con cautela, tenendosi pronto. Il parcheggio sembrava vuoto, solo la sua macchina era parcheggiata. Guardandosi intorno, chiuse a chiave la porta tenendo ilcane per il collare e si avvicinò alla macchina. “Va tutto bene, Bullet,” mormorò per rassicurare se stesso più che l’animale.

Stava per aprire la portiera dell’auto quando un suono alle sue spalle lo fece voltare di scatto mentre un grido gli si bloccava in gola. Bullet abbaiò furiosamente mentre si accucciava al fianco di Seth. Un forte sollievo lo attraversò quando riconobbe lo sceriffo. Si lasciò andare e si appoggiò alla macchina, tentando di zittire il cane. “Buona sera, sceriffo,” disse, maledicendo il tremolio nella sua voce.

L’uomo si fermò, notando lo sguardo spaventato di Seth. Aveva paura di lui o c’era qualcos’altro? “Dottore,” rispose aspro, “qualcosa non va?” Seth scosse la testa, forse troppo rapidamente, quando vide gli occhi scuri dello sceriffo socchiudersi sospettosi. “No, non è niente.” Bullet aveva ancora il pelo ritto sul collo e i suoi occhi non si spostavano dalla figura dello sceriffo. “Mi ha solo spaventato, tutto qui,” si giustificò.

Kasey fissò l’uomo di fronte a sé. Sapeva riconoscere una bugia e il veterinario stava mentendo. Scrutò con lo sguardo lo spazio intorno a loro, ma non vide nulla. Poteva sentire la paura, forte e tangibile addosso all’altro uomo. Kasey restò perplesso davanti al vago senso di protezione che aveva provato al pensiero che qualcuno potesse ferire il dottore. “Sicuro, dottore? Mi sembra piuttosto agitato.”

“Sono sicuro,” assicurò Seth, tranquillo. Bullet non ringhiava più, ma non distoglieva neppure lo sguardo dallo sceriffo. Seth fece per voltarsi, poi si fermò e guardò l’uomo che aveva dominato i suoi pensieri la notte precedente. “Buona notte, sceriffo.” Bullet non sembrava aver intenzione di entrare in macchina e Seth dovette insistere per farlo salire. “Che hai, Bullet?” borbottò mentre accendeva il motore, conscio che lo sceriffo lo stava ancora osservando. Che ci faceva da quelle parti, a ogni modo? Gli sembrò alquanto strano che l’uomo si presentasse davanti alla clinica senza un motivo.


Edited by Karyn. - 23/9/2013, 18:29
 
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