Ereditare il cielo, di Ariel Tachna - 1° libro della serie "Langs Down"

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view post Posted on 25/8/2013, 11:35
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Sono fatta così...un enigma avvolto in un indovinello e confezionato in un paradosso!

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EREDITARE IL CIELO

bichCaine Neiheisel è intrappolato in un impiego senza prospettive e alla fine di una relazione che di prospettive non ne ha più, quando all’improvviso gli si presenta l’occasione di una vita: sua madre eredita un allevamento di pecore nel Nuovo Galles del Sud, Australia. Per Caine è l’occasione di ricominciare, là in mezzo ai pascoli, dove la sua balbuzie non sarà più un ostacolo e dove la sua voglia di lavorare potrà certamente compensare la mancanza di esperienza.

Sfortunatamente, però, il sovrintendente di Lang Downs, Macklin Armstrong, che dovrebbe essere il suo più grande alleato, alterna momenti di freddezza ad altri di chiaro disprezzo. Gli altri membri della squadra, invece, sono più interessati al suo accento americano che impressionati dalla sua situazione… fino a che non scoprono che Caine è gay, e allora il divertimento si trasforma in disprezzo. Sarà necessaria tutta la sua determinazione – e un crudele atto di sabotaggio da parte di un vicino ostile – per unire gli uomini di Lang Downs e dare a Caine e Macklin la possibilità di scoprire l’amore.

Genere: M/M
Editore: Dreamspinner Press
Pagine: 223
Formato: eBook
Uscita: 27 Agosto 2013


La serie "Langs Down" è finora così composta:
1 - EREDITARE IL CIELO
2 - Inseguire le stelle


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Estratto:
Capitolo Uno

CAINE NEIHEISEL lanciò la borsa da viaggio sul letto e poi si lasciò cadere a sua volta sul materasso. Sei anni finiti giù per lo scarico. Non c’era stata nessuna lite drammatica, né un momento particolare in cui tutto era andato a farsi benedire, quanto piuttosto la lenta e angosciante presa di coscienza che lui e John non andavano da nessuna parte. Erano buonissimi amici, ottimi coinquilini, ma come amanti non facevano di certo scintille: anzi, erano a malapena passabili negli ultimi tempi. Caine preferiva illudersi che si fossero allontanati, invece che pensare che John non lo desiderasse più. La sua autostima non aveva bisogno di un’altra mazzata; era già abbastanza brutto essere bloccato da quasi dieci anni all’ufficio smistamento posta della Comcast . Ovviamente, aveva fatto più volte domanda di promozione, ma c’era sempre qualcuno che lo scavalcava. Non avrebbe sopportato l’idea che con John andasse allo stesso modo.

Doveva cominciare a cercarsi un nuovo coinquilino, oppure un altro posto dove vivere, perché non poteva permettersi di pagare l’affitto da solo. Quando si era trasferito in quel condominio, John era stato più che felice di partecipare alle spese pur di vivere nel Gay Village di Philadelphia, quindi l’affitto non era stato un problema. Caine avrebbe sentito la mancanza del quartiere, se non avesse trovato nessuno con cui dividere la casa, ma di recente la sua vita sembrava aver preso quella brutta piega.

“Caine! La cena è pronta.”

Caine sospirò e si alzò per raggiungere i genitori.

“Ho preparato il tuo piatto preferito,” lo informò Patricia, sua madre, non appena mise piede in cucina. “Cotolette di maiale, cavolini di Bruxelles e purè di patate dolci.”

“Grazie, mamma,” mormorò Caine, contento di aver risposto senza balbettare. Sapeva che la madre gli aveva preparato il suo piatto preferito di quando era bambino non perché fosse contenta di averlo a casa per Natale, ma per tirarlo su di morale; se da un lato Caine apprezzava l’intenzione, dall’altro non voleva trascorrere tutte le vacanze a essere compatito. Se la cavava già abbastanza bene da solo.

“Allora, cosa c’era scritto in quella lettera dall’Australia?” chiese suo padre Len, raggiungendoli in cucina.

“Te lo racconto mentre mangiamo,” rispose lei. “Lasciami servire in tavola, prima.”

“Ti a-aiuto,” si offrì Caine, facendo una smorfia quando le parole gli uscirono incerte. Evidentemente non era così rilassato come credeva. Intimò a se stesso di piantarla di rimuginare su qualcosa che non poteva cambiare e cominciò a preparare la tavola e ad appoggiarci sopra le scodelle via via che la madre le riempiva.

Quando furono tutti seduti e impegnati a mangiare, Len si rivolse a Patricia. “Allora, che diceva la lettera?”

“Ti ricordi che mia madre ci parlava sempre di suo fratello Michael? Quello che aveva lasciato l’Inghilterra più o meno quando lei aveva sposato mio padre e si era trasferita qui?” chiese Patricia.

Sia Len che Caine annuirono. Qualche anno addietro, quest’ultimo aveva intrattenuto una corrispondenza regolare con lo zio Michael, anche se le loro lettere si erano fatte meno frequenti una volta che il ragazzo aveva iniziato il college.

“La settimana scorsa ha avuto un attacco di cuore,” continuò lei.

“Oh, mi dispiace,” disse subito Len. “Era malato?”

“Non lo so,” ammise la donna. “Dopo la morte della mamma, ci siamo persi di vista. Abbiamo sempre parlato di fare un viaggio in Australia, ma ogni volta sembrava ci fossero cose più urgenti. In ogni caso, la lettera non diceva solo questo. È stata spedita dal suo esecutore testamentario: sembra che io sia la sua unica erede.”

“Tu?” chiese Caine. “Perché?”

“Non si è mai sposato e non ha avuto figli,” spiegò Patricia. “Sono il suo unico parente ancora in vita. L’esecutore mi ha scritto per spiegarmi la situazione e per chiedermi cosa voglio fare dell’allevamento di pecore di cui era proprietario. Sembra che sia un bell’appezzamento di terreno, diverse migliaia di chilometri quadrati. Naturalmente dovrò venderlo: non so nulla di pecore e la mia vita è qui. Non ho idea di cosa significherà vendere, ma spero che possa occuparsene l’esecutore e poi trasferirci i soldi una volta che tutto è a posto, comprese le tasse.”

Len si lasciò sfuggire una risatina. “Te lo immagini noi due che arriviamo in quel vecchio ranch? Io sono vicino ai settanta e tu non tanto lontana; ci spedirebbero a casa a suon di risate se provassimo ad amministrarlo.”

Caine dovette ammettere che l’immagine dei suoi genitori intenti a gestire un ranch di pecore in Australia fosse piuttosto divertente. “Però è un peccato venderlo,” protestò. “Non potresti a-assumere qualcuno che lo d-diriga al posto tuo e poi f-farti t-trasferire i profitti? Sempre che ne abbia.”

“Stando alle parole dell’esecutore, sembra piuttosto redditizio,” osservò Patricia. “Ma non sono sicura che rimanere qui e affidare tutto a un sovrintendente sia una buona idea. Non avremmo modo di sapere se gestisce il ranch nel modo corretto oppure no.”

“Potrei andare io,” suggerì piano Caine. Le parole gli erano uscite di bocca ancor prima che si rendesse conto di averle pensate. Aveva sempre desiderato di poter andare da suo zio, ma quel viaggio che avevano programmato in ogni dettaglio nelle loro lettere non era mai stato realizzato. Come molte altre cose della sua vita.

“È molto gentile da parte tua,” gli concesse la madre, stringendogli la mano. “Ma hai un lavoro e una vita a Philadelphia. Non potrei mai chiederti di lasciarli per questa… cosa.”

Caine considerò che non c’era poi molto da lasciare. “Pensiamoci qualche giorno, almeno,” insisté, mentre nuovi orizzonti gli si aprivano nella mente. “Non prendiamo una decisione affrettata.”

“Oh, Caine, lo so che è da molto tempo che desideri andarci, ma c’è una bella differenza tra un adolescente in vacanza e un trasferimento permanente,” disse Patricia. “Non sognare a occhi aperti.”

Caine sospirò e decise di lasciar perdere per il momento; ma più tardi, dopo essere tornato nella sua camera, le parole della madre continuarono a risuonargli in testa. Sogni a occhi aperti.

Aveva trentadue anni, per Dio. Aveva cercato di dimostrarsi responsabile e fare tutto quello che ci si aspettava da un adulto, eppure non era arrivato da nessuna parte: un lavoro senza via d’uscita, un innamorato che non lo amava più e nessuna prospettiva di miglioramento all’orizzonte. La ‘vita’ che aveva a Philadelphia stava soffocando ogni sua passione, ogni entusiasmo e ogni energia. Un allevamento di pecore in Australia poteva fare la differenza. Certo, avrebbe avuto un sacco di cose da imparare, ma non era uno stupido. Balbettava. Senza una ragione precisa e senza che potesse farci nulla. La logopedia lo aveva aiutato, ma quando diventava nervoso il problema si ripresentava. Non aveva mai ottenuto una promozione perché non aveva mai superato il colloquio: i suoi capi non avrebbero mai messo qualcuno con un difetto di pronuncia a contatto con i clienti. Ne era consapevole e quella situazione lo lasciava in un’impasse alla Comcast, come in qualsiasi altro lavoro avesse potuto trovare.

In Australia avrebbe gestito il ranch. Tecnicamente la proprietaria sarebbe stata sua madre, ma se ne sarebbe occupato lui. Fintanto che non avesse imparato, avrebbe dovuto affidarsi al buon cuore dei suoi dipendenti e dei vicini, ma nessuno lo avrebbe scavalcato per una promozione, un aumento di stipendio o roba del genere. Avrebbe avuto un lavoro, una paga e forse cambiare aria gli avrebbe anche fatto bene. Se poi si fosse rivelato un fallimento, non è che la sua vita a Philadelphia gli desse chissà quali soddisfazioni.

Non aveva idea di come fare per emigrare in Australia, ma si sarebbe informato. Poteva non essere il miglior conversatore al mondo, ma almeno qualche ricerca la sapeva fare. Prese il portatile, lo accese e cominciò a navigare.

Due ore dopo aveva ottenuto quello che gli serviva. Gli mancava solo di convincere la madre a non vendere il ranch.





“CI HO p-pensato, mamma,” disse Caine quando scese per la colazione il mattino successivo. “V-v-voglio andare in Australia.”

“Caine,” lo rimproverò lei. “Ne abbiamo già parlato ieri.”

“No,” la contraddisse, inspirando a fondo per fermare la balbuzie. “Tu ne hai parlato. Ho fatto alcune ricerche online la notte scorsa. P-posso trasferirmi grazie all’eredità, se tu scrivi una lettera in cui d-dici che amministrerò il ranch a nome tuo.”

“E cosa mi dici della tua carriera?”

“Quale carriera?” chiese Caine con amarezza. “Ho un lavoro. Lo faccio bene e difficilmente mi licenzieranno, ma neppure avanzerò mai. Sono stato là dieci anni senza vedere uno straccio di promozione.”

“Potresti cambiare lavoro.”

“Potrei p-provarci,” concordò, “ma probabilmente non ne troverei un altro. Non con questa balbuzie. E certamente non un lavoro che mi permetterebbe di fare carriera. Significherebbe solo passare da un binario morto a un altro.”

“Ma non sai niente di pecore.”

“Posso imparare,” insisté Caine. “Potrei lavorare all’aperto anziché dentro un ufficio. Alle pecore non importa se qualche volta b-balbetto. Farebbe differenza per te venderlo adesso oppure tra un anno, se non dovessi riuscire a farlo funzionare?”

“Per me no, ma se ti tagli tutti i ponti alle spalle, poi non avrai nemmeno più un lavoro senza sbocchi a cui tornare.”

“Un motivo in più per fare in modo che le cose funzionino in Australia,” affermò Caine. Prese le mani della madre tra le sue. “P-per favore, mamma. Dammi questa occasione.”

La madre sospirò e lo abbracciò. “Va bene, tesoro. Se è veramente quello che vuoi, non venderò il ranch. Sarò preoccupata a saperti così lontano da casa, ma ormai sei un uomo, anche se io ti vedo ancora come il mio piccolino. In fondo, tutto quello che è mio un giorno sarà tuo, quindi immagino che si tratti anche della tua eredità, in un certo senso.”

“Grazie mamma. Ti voglio bene.”





TRE mesi dopo, visto e passaporto alla mano, Caine aspettava nervosamente l’inizio della sua avventura. Non era esattamente entusiasta delle ventotto ore di volo che lo attendevano: doveva cambiare aereo a Dallas e poi di nuovo a Los Angeles prima di imbarcarsi per Sydney, ma se la sarebbe cavata. Così come se la sarebbe cavata anche con il lunghissimo volo, perché era quello che voleva. Aveva scambiato qualche e-mail con Macklin Armstrong, il sovrintendente dell’allevamento, o meglio della stazione, come si chiamava in Australia, e lo aveva informato del suo arrivo. Si sarebbe fermato qualche giorno a Sydney e poi sarebbe andato a Lang Downs, l’allevamento di suo zio. Per quanto fosse impaziente di arrivare e mettersi al lavoro, aveva pensato che gli sarebbero serviti un giorno o due per riprendersi dal viaggio, senza tenere conto che non aveva neanche i vestiti adatti per la sua nuova vita. A dire la verità, non era sicuro di poterli trovare a Sydney, ma li avrebbe comunque cercati. Poi, al massimo, si sarebbe affidato a Macklin e gli avrebbe chiesto di accompagnarlo nel paese più vicino alla stazione. Sulla cartina sembrava essere un posto di nome Boorowa; ma una volta, durante il college, si era perso in Kentucky e aveva imparato che le carte geografiche possono ingannare, e che un percorso in linea retta non era necessariamente anche il più veloce.

Per prima cosa, comunque, doveva arrivare in Australia.

Aveva disdetto l’affitto del suo appartamento un mese prima, vendendo la maggior parte dei mobili e impacchettando le poche cose di cui non poteva fare a meno. Alcune erano ancora a casa dei suoi genitori, in attesa di essere spedite in un secondo tempo; il resto era già in viaggio per l’Australia e Caine sperava che arrivasse più o meno insieme a lui. Aveva portato con sé una valigia con i vestiti e altri oggetti indispensabili, ma non era esattamente propenso a separarsi dai libri e dai CD.

Era triste pensare che i suoi dieci anni di vita a Philadelphia non occupassero più di un unico scatolone di libri e CD, ma quelle erano le uniche cose senza di cui non avrebbe potuto vivere. Al momento dei saluti, tutti i suoi amici gli avevano promesso che avrebbero mantenuto i contatti via Facebook o Twitter, ma Caine sapeva che non sarebbe durata. Erano sì amici, ma in un modo piuttosto superficiale, e comunque non abbastanza da trattenerlo a Philadelphia.

L’annuncio dell’imbarco interruppe le sue riflessioni. Si unì alla fila per mostrare il passaporto e il biglietto e prese posto. Aveva deciso di fare una follia e viaggiare in business anziché in classe turistica. La vendita dei mobili gli aveva fruttato piuttosto bene e, una volta in Australia, non avrebbe avuto bisogno di tanti soldi. Da quello che lo zio gli aveva raccontato qualche anno addietro, e da quanto aveva capito dalle più recenti conversazioni con Macklin, escludendo le necessità personali – abiti, articoli da toeletta, ecc. – la stazione forniva tutto il resto. Avrebbe abitato nella casa dello zio e mangiato con gli altri dipendenti, così non avrebbe dovuto né pagare un affitto, né comprarsi del cibo.

Motivo per cui poteva permettersi di stare comodo sull’aereo che lo portava verso la sua nuova vita.

Il volo era completo e l’uomo che sedeva accanto al finestrino non sembrava aver voglia di chiacchierare, né Caine era il tipo da attaccare bottone con degli estranei. Aveva imparato a forzare le sue inclinazioni naturali in caso di necessità, ma la balbuzie rimaneva il suo nervo scoperto e le situazioni nuove continuavano a intimorirlo.

Tre ore dopo atterrarono a Dallas e il giovane, già piuttosto stanco per la fatica del viaggio, si inoltrò nel labirinto dei terminal fino al suo gate. Una volta che lo ebbe trovato cercò di muovere il collo nel tentativo di rilassare i muscoli doloranti, ma non ne ricavò particolare sollievo. Forse l’hotel a Sydney aveva un centro benessere dove avrebbe potuto sottoporsi a un bel massaggio, prima di dirigersi verso la stazione.

O forse avrebbe fatto meglio a scordarselo proprio e cominciare a temprarsi, poiché dubitava ci fosse un massaggiatore a Lang Downs.

Quando salì a bordo del volo successivo, aveva lo stomaco chiuso ed era teso e nervoso mentre si chiedeva cosa potesse mai sperare di combinare un ragazzo di città come lui nel trasferirsi in Australia per gestire un allevamento di pecore. Era cresciuto a Cincinnati, una città non enorme ma neanche piccola, dato che contava più di due milioni di persone, mentre Philadelphia ne aveva più di cinque milioni. Aveva la sensazione di andare incontro a qualcosa di più che un semplice shock culturale trasferendosi a Lang Downs, ma forse gli avrebbe fatto bene. Non era sovrappeso o altro, ma neppure troppo magro. L’attività fisica lo avrebbe irrobustito, reso più forte e sano e lo avrebbe tenuto talmente impegnato da non lasciargli il tempo di rimpiangere le comodità della città. E se il desiderio di visitare un museo o un teatro fosse diventato troppo forte, poteva sempre organizzarsi per un week-end lungo in una qualche città. L’Australia, in fondo, non era terra di nessuno: l’Opera House di Sydney era famosa in tutto il mondo e Caine avrebbe potuto ancora godere di sprazzi di vita cittadina, se avesse pianificato tutto con cura.

Quando l’aereo atterrò a Los Angeles, Caine era ormai riuscito a superare la crisi di panico, anche con l’aiuto di un paio di bicchierini di vodka. Non era ubriaco, ma decisamente più rilassato di quanto ricordasse essere stato da Natale in poi.

Rammentò a se stesso che tutte le e-mail che aveva scambiato con Macklin avevano avuto un tono cordiale, se non propriamente amichevole e, in tutta onestà, riusciva a comprendere le preoccupazioni dell’uomo. Caine aveva ammesso apertamente di non avere la più pallida idea di come si allevassero le pecore; era sicuro di saperne ancora meno dell’ultimo arrivato tra i garzoni, dato che quest’ultimo, diversamente da lui, era di sicuro cresciuto nell’ambiente. Ovviamente, aveva fatto qualche ricerca nel tentativo di imparare termini e tecniche, ma sapeva bene che tutto ciò non avrebbe mai potuto sostituire l’esperienza.

Si era anche documentato riguardo agli altopiani australiani, per cercare di farsi un’idea sul clima che lo aspettava: tardo autunno, molto vicino all’inverno. Aria frizzante, fresca, persino fredda durante la notte, con la previsione di un inverno gelido e asciutto. Almeno, da quello che aveva capito, non avrebbe dovuto preoccuparsi della neve; era decisamente un sollievo dopo l’ultimo inverno che aveva dovuto affrontare a Philadelphia, dove ogni volta che era finalmente riuscito a disseppellire la macchina, aveva nevicato di nuovo. Ma l’inverno in Australia non era ancora arrivato. Aveva controllato le temperature di Sydney, e si aggiravano sui 70°F : più caldo che a casa quindi.

“È Lang Downs la tua casa adesso,” ricordò a se stesso. Se voleva avere la speranza di conquistare la fiducia delle persone che lavoravano per lui doveva tenerlo sempre a mente e, soprattutto, doveva crederci. Crederci sul serio e fortemente, perché era certo che per tutti loro fosse così.

L’assistente di volo da Los Angeles a Sydney sfoggiava un delizioso accento australiano che lo fece sorridere. Gli piaceva come parlavano gli australiani. Sapeva che, una volta a Lang Downs, la sua cadenza americana lo avrebbe fatto spiccare allo stesso modo e sapeva anche che sarebbe passato del tempo prima che si abituasse al modo di parlare delle persone attorno a lui. Si chiese se gli australiani avrebbero apprezzato il suo accento tanto quanto lui apprezzava il loro e si augurò che ciò potesse servire a compensare in qualche modo la sua balbuzie.

Subito dopo che l’aereo ebbe raggiunto la quota di crociera, le assistenti di volo servirono la cena e Caine fu contento di aver scelto di viaggiare in business. Non sapeva se il cibo fosse migliore, ma almeno aveva più spazio per mangiare tranquillamente. Dopo aver finito chiuse gli occhi e cercò di dormire un po’.







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Edited by Pau_7 - 22/9/2014, 21:25
 
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view post Posted on 30/8/2013, 09:11





EREDITARE IL CIELO
Ariel Tachna
Langs Down #1




Due cowboy australiani, sconfinate praterie, gelide notti da riscaldare con la passione, un isolamento da condividere.
Ariel Tachna mette in scena una storia che sa di bisogno, costruita sull’inesperienza ma soprattutto sulla forza, la forza di due uomini che in modi diversi devono crescere per conquistare la loro fetta di paradiso.
Protagonisti di questo romanzo sono il timido Caine e il deciso Macklin, due personaggi molto diversi che non rimangono nei confini dei loro stereotipi, ma si alternano spesso fino ad invertire i proprio ruoli. Entrambi determinati, entrambi vulnerabili, uomini dalla grande dignità e voglia di dimostrare di essere all'altezza di se stessi e dei propri ruoli.
Caine è il cittadino medio che decide di cambiare vita radicalmente e si tuffa nel lavoro di allevatore con umiltà e consapevolezza dei propri limiti e della propria inesperienza.
Balbuziente, insicuro e goffo, ha però una forza d'animo invidiabile, un orgoglio che gli permette di conquistare tutti e di vincere ogni ostacolo.
Macklin è un burbero allevatore che vive in segreto la propria omosessualità e, pur non avendo problemi con ciò che è, preferisce restare nell'ombra. La sua vita è costellata di esperienze vissute fuori casa, nei vicoli scuri e nei bar, ma priva di amore, di tenerezza e dolcezza.
La trama è piuttosto semplice, ma ad essere interessante è la costruzione, la scelta della scrittrice di invertire i ruoli anche se sulla carta sembrano statici.
Caine ha bisogno di Macklin per imparare la vita del ranch, ma nel privato è un uomo sicuro, brillante, spiritoso e ricco di entusiasmo. Determinato a conquistare il ruvido cawboy, non si lascia mai intimidire ed è disposto a qualsiasi compromesso, senza tuttavia lasciarsi mai calpestare.
Un personaggio molto forte, che stupisce e conquista, la cui evoluzione è credibile e ponderata.
Ariel Tachna prende un gattino spelacchiato e lo trasforma in una tigre, in un processo che ha come molla l'amore ma anche la voglia di dimostrarsi all'altezza della vita scelta.
Il protagonista brilla molto più del suo comprimario, che dalla sua ha però l'immancabile affetto del lettore. Come resistere a un burbero dal cuore tenero?
Le sue paure, la sua evidente fragilità nascosta dietro toni autoritari e chili di muscoli, non possono non intenerire e conquistare.
Due bei personaggi, che danno vita a una storia in cui non è tutto rosa e fiori, ma in cui ogni giorno è combattuto e poi vinto.
L'amore nasce lentamente, si sviluppa in modo misurato ma è per questo più forte e sincero, una vittoria di inestimabile valore.
L'autrice non banalizza il suo prodotto, non ne fa un romance stucchevole, cerca di andare oltre e scavare nelle dinamiche di coppia, nelle paure del singolo e nella difficoltà di relazionarsi all'altro.
Il risultato sono dei protagonisti ben caratterizzati e una storia profonda e verosimile.
Rispetto ai suoi precedenti lavori questo libro appare più maturo, meno forte nelle tematiche ma meglio studiato per garantire la comprensione e la condivisione dei sentimenti con il lettore.
Ereditare il cielo si rivela un romanzo estremamente piacevole, soprattutto grazie allo stile scorrevole e preciso dell'autrice e al ritmo sempre in crescendo. La lettura è rapida e coinvolgente, bastano pochissime ore per raggiungere la parola fine.
Questa fluidità di lettura è evidente merito dell'autrice, che ha costruito la storia in modo scrupoloso e attento.
La prima parte di presentazione del personaggio, infatti, lascia il posto allo sviluppo serrato dell'intreccio che ha il suo culmine in un finale molto bello ed emozionante, ma non banale.
Di strada ce n'è da fare e noi non vediamo l'ora di scoprirla insieme ai due magnifici cawboy!



Edited by Pau_7 - 31/1/2015, 01:22
 
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