La nostra identità, di TJ Klune - 20 maggio

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view post Posted on 15/5/2014, 20:31
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Sono fatta così...un enigma avvolto in un indovinello e confezionato in un paradosso!

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LA NOSTRA IDENTITÀ

Seguito di Un insolito triangolo

La famiglia non sempre è definita dai legami di sangue. È definita dalle persone che ci rendono completi, che contribuiscono a costruire la nostra identità.

Bear, Otter e Kid sono sopravvissuti all’estate appena trascorsa con i cuori e le anime intatte. Si sono trasferiti nella Mostruosità Verde e Bear è finalmente capace di ammettere il suo amore per l’uomo che l’ha salvato da se stesso.

Ma non è la fine della loro storia. Come potrebbe esserlo?

I ragazzi scoprono che la vita non si ferma solo perché hanno avuto il loro lieto fine. C’è ancora la battaglia legale per la custodia di Kid. Il ritorno dei genitori di Otter. La prima serata in un locale gay. Kid va in terapia e la signora Paquinn decide che Bigfoot esiste davvero. Anna e Creed fanno… beh, qualsiasi cosa facciano Anna e Creed. Ci sono nuove gelosie, il ritorno di vecchi nemici, pessime poesie e gabbiani misantropi. E in tutto questo, Bear lotta per comprendere come sua madre abbia abbandonato lui e Kid, solo per ritrovarsi a scavare ancora più a fondo nel loro passato condiviso. Quello che trova cambierà le loro vite per sempre e lo aiuterà a capire cosa serve per diventare ciò che sono destinati a diventare.

Traduttore: Rebecca Traduce
Genere: M/M
Editore: Dreamspinner Press in Italiano
Cover Artist: Paul Richmond
Pagine: 400
Uscita: 20 Maggio 2014

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ESTRATTO:
1.

Dove Bear va in guerra





ERAVAMO SUL piede di guerra, io e lui.

Avevo inavvertitamente sparato il colpo d’inizio nel giorno che sarà per sempre conosciuto come Il Grande Trasloco (Era Ora). Non fu intenzionale, ma ho imparato che i primi colpi raramente lo sono. Chiaramente non fu intenzionale, quale persona sana di mente vorrebbe fronteggiare la rabbia del più intelligente bambino vegetariano, ecoterrorista in formazione di nove anni?

Non io. Uomini molto più bravi di me hanno fallito con lui.

Era una delle ultime scatole dell’appartamento ed erano rimaste solo poche cose da impacchettare. Ero andato nella stanza per assicurarmi che avessimo preso tutto, che non fosse stato lasciato nulla. Mi aveva sorpreso, anche se solo per un momento, vedere quanto fosse vuota la stanza: segni sui pavimenti che mostravano dove le gambe del letto avevano appoggiato per anni; segni di poster sui muri; una macchia sull’angolo che sapevo non mi avrebbe permesso di riavere la mia dannata caparra (e non volevo proprio sapere cosa fosse; era di quel blu-verdastro che urlava ‘cattivi affittuari’. Pensai che avrei dovuto almeno cercare di pulirla, ma faceva troppo schifo, perciò lasciai stare). Ero colpito, stranamente, da un senso di tristezza causato dallo spazio vuoto davanti a me. Non mi adeguo molto bene ai cambiamenti, anche se sono una cosa positiva. Erano successe tante cose qui, tante cose che avevano cambiato tutto delle nostre vite, che mi sembrava importante fermarmi e inviare almeno un grazie pieno di gratitudine a chiunque l’avesse ascoltato.

Perciò ero distratto, okay? Giuro che non fu intenzionale.

Notai qualcosa di blu chiaro vicino all’armadio. Una maglietta che in qualche modo era sfuggita. La presi e alzai gli occhi al cielo vedendo la scritta LA CARNE NON VA BENE sul davanti. Non so come diavolo avesse fatto a scordarsela; era letteralmente la cosa più importante per lui. Beh, quella e la collezione di magliette che aveva cominciato a ordinare online con la mia carta di credito (una volta che aveva capito che tutto quello che bastava era inserire i numeri sul sito internet e poteva ordinare quello che voleva, sembrava quasi che Gesù fosse tornato per dirgli che i vegetariani erano il prossimo passo dell’evoluzione umana da quanto era stato eccitato). Un giorno sì e uno no, una nuova scatola si materializzava sulla nostra porta, con magliette dagli slogan vincenti tipo O IL TOFU O LA MORTE, o una con la faccia di Gandhi e la sua citazione: ‘Potete giudicare una società dal modo in cui tratta gli animali’. Quella mi aveva fatto sentire un po’ colpevole. E mi aveva anche inquietato parecchio, perché gli occhi di Gandhi sembravano seguirmi ovunque, come se sapesse, sapesse e basta, che stavo pensando agli straccetti di maiale.

Ma era stato quando era arrivata l’ultima che avevo dovuto mettere un freno al tutto. Immaginate, se volete, di sedervi a colazione una soleggiata e luminosa mattina qualsiasi e il vostro fratellino che entra nella stanza indossando una maglietta con su scritto VOLETE DEL SESSO CHE DURI? DIVENTATE VEGETARIANI! Veramente? Dai, veramente!

Stavo dicendo qualcosa a Otter quando il piccolo bastardo entrò in cucina, fingendo di non vedere me che guardavo lui. Il cucchiaio mi era caduto dalla mano e aveva sbattuto sul tavolo e Otter aveva seguito il mio sguardo mentre il sangue mi defluiva dal volto e mi si spalancava la bocca. E quel gran bastardo mi aiutò? Potete scommettere che non lo fece. Otter cominciò a farsi delle grasse risate e a sbattere quelle sue zampe gigantesche sul tavolo, facendolo tremare e scuotendolo. Lo guardai male per un attimo e poi attesi che Colui Che Stava Per Avere I Suoi Privilegi Di Accesso A Internet Revocati Per Sempre si rigirasse.

Qualcuno avrebbe potuto pensare che Kid fosse il miglior attore nella storia dell’arte drammatica. Con calma, prese una scatola di farina d’avena dal pensile e la appoggiò sul ripiano. Prese una tazza dalla lavastoviglie e la mise accanto alla confezione. Si diresse verso il frigo, tirò fuori la sua acqua filtrata e ritornò verso il ripiano. Aprì la confezione e mise la farina nella tazza. Gettò la confezione nella spazzatura. Tolse il tappo all’acqua e ne versò un po’ nella tazza. Rimise il tappo e ritornò al frigorifero per mettere dentro l’acqua e chiuse lo sportello. Ritornò alla tazza, si diresse verso il microonde e mise il timer a tre minuti. Mentre attendeva, lo guardava in maniera disinteressata, controllandosi le unghie e togliendosi qualcosa dal braccio. Si sistemò i capelli nel riflesso del microonde e prese un cucchiaio dal cassetto. Il timer finalmente suonò e Kid prese la sua tazza e ci soffiò sopra, facendo una smorfia come se fosse stata calda. Afferrò il cucchiaio e si diresse al tavolo. Prese una sedia e si accomodò, mettendosi un tovagliolo in grembo. Domandò educatamente a Otter se aveva finito le prime pagine del giornale. Otter, che in quel momento stava annaspando per prendere aria con le lacrime che gli scendevano lungo le guance, fece un gesto con la mano in direzione di Kid. Kid prese il giornale e mormorò tra sé e sé qualcosa a proposito di qualcos’altro (a seconda del giorno, poteva essere qualcosa sull’economia o sulle leggi sui matrimoni gay e quest’ultimo gli interessava proprio molto, con mio grande orrore) e aprì il giornale. Prese il cucchiaio e girò la farinata per un po’, soffiandoci per farla ulteriormente raffreddare.

E mentre stava succedendo tutto questo, mentre il mio piccolo Marlon Brando stava dando l’interpretazione della sua carriera, quella vena sulla mia fronte diventava sempre più gonfia e la mascella cominciava a farmi male da quanto stringevo i denti. Non avevo mai distratto lo sguardo da lui, non una volta da quando era entrato nella stanza. Sapevo che l’aveva sentito su di sé nel momento in cui era entrato. Sapevo che aveva sentito Otter fare la sua migliore rappresentazione di come si poteva morire dalle risate. E per tutto il tempo, la faccia di Tyson McKenna era rimasta impassibile e inespressiva, come se non fosse consapevole della situazione.

Mi schiarii la gola.

Kid girò una pagina del giornale.

Mi schiarii nuovamente la gola, più forte questa volta, e venne fuori un ringhio.

Lui mangiò un po’ della sua farinata d’avena, sibilando piano come se fosse ancora troppo calda.

Mi schiarii ancora una volta la gola, non come un ringhio ma come se stessi cercando di mettere in moto un tagliaerba senza successo.

Quello tornò a leggere e disse: “Ehi, papà Bear, spero proprio che non ti stia prendendo qualcosa. Specialmente visto che ci siamo quasi con il Grande Trasloco (Era Ora).”

“Kid,” dissi a denti stretti.

Otter guardò prima me e poi lui, con quel sorriso sghembo in bella vista, l’oro e il verde dei suoi occhi che brillavano. Mi annotai mentalmente di ucciderlo più tardi.

“Oh, guarda,” disse Ty. “Newt Gingrich si è fatto passare di nuovo per pazzo. Dio lo benedica. Si potrebbe pensare che ormai sappia che è meglio vederlo e non sentirlo.” Si fermò. “Beh, forse neanche vederlo.”

“Kid,” dissi più forte, con più decisione.

“E il tempo! Ma tu guarda! Le previsioni per i prossimi sette giorni dicono che ci sarà il 40% di possibilità che piova ogni giorno? Mi dovrò ricordare di prendere un ombrello quando ho degli impegni.”

“Tyson James McKenna!” urlai.

Ripiegò tranquillamente il giornale e lo appoggiò sul tavolo prima di intrecciare le mani davanti a sé e guardarmi. “Ho notato,” disse con aria seria, “che quando le persone non hanno niente di significativo da aggiungere a una conversazione, di solito alzano la voce.”

Non la capii, quindi lasciai perdere. Intuii che in qualche modo mi stava insultando. “Cosa… hai addosso… per l’amor di Dio?” riuscii a dire. A voce piuttosto alta.

Spalancò gli occhi in sorpresa mentre guardava in basso e poi di nuovo me. Guardò anche Otter, con un’espressione di leggera confusione sul volto. Potevo sentire Otter che non riusciva più a trattenersi e avevo bisogno che la cosa finisse subito.

“Di cosa stai parlando, Bear?” mi domandò Kid. “Sto indossando dei vestiti. È una cosa che le persone fanno. È una specie di norma sociale.” Si fermò per un attimo, imbronciandosi. “Beh, tranne che per i nudisti. Sapevi che ci sono dei posti dove le persone possono andare in giro nude? La CNN ha fatto un programma di approfondimento su uno di questi posti, qualcosa su come il nudista capo si stava appropriando indebitamente di cose degli altri nudisti o roba del genere e proprio non riesco a vedere la bellezza di tutto questo, perché mi sembra che sarebbe un po’ schifoso dover fissare le parti a penzoloni delle altre persone tutto il giorno, mentre si gioca o si sorseggia un mimosa. Voglio dire, e se volessi mangiare un hot dog vegetariano? Solo il pensiero è sufficiente a farmi star male. E non cominciamo a parlare di altri cibi fallici. Si potrebbe pensare che Madre Natura fosse una ninfomane, con tutti i cibi a forma di pene che ci sono.”

“Tyson…” dissi nuovamente, cominciando ad alzarmi, sapendo che se non avessi messo fine a quella cosa, probabilmente sarebbe andato avanti tutta la giornata.

“Cosa sono gli scambisti?” mi domandò, interrompendomi.

Otter non resse e cominciò ad andare in iperventilazione. Che grande aiuto da lui.

“Sei fuori di testa?” urlai a Kid.

“Ma è vero! Ci sono un sacco di cibi che assomigliano a dei peni!” mi urlò di rimando.

“Non è quello di cui sto parlando!”

“E allora spara! Non sono un veggente, Bear!”

“Non puoi indossare quella maglietta!”

La guardò e poi tornò a guardare me, con un sorriso che gli si allargava lentamente sul volto. “Perché?” mi domandò. “Hai paura che l’anima della mucca che hai consumato ieri sera non ti permetta di raggiungere il tuo pieno potenziale?” Guardò Otter e allungò un braccio per dargli un colpettino sulla mano. “Mi dispiace tanto,” disse sommessamente. “Ora devi essere proprio annoiato. Voglio dire. A letto.” L’ultima parte fu sussurrata.

“Ehi! Anche lui mangia carne!” ricordai arrabbiato a entrambi, mentre Otter assumeva l’aspetto di qualcuno che aveva appena ricevuto il Nobel per la meravigliosità.

“Lo fa,” concordò Kid. “Ma almeno ha il buonsenso di sentirsi in colpa dopo.”

“Vero,” sussurrò Otter. “A volte è difficile per me andare a dormire la sera sapendo che il mattino successivo mi mangerò una pila di bacon mentre piango.”

“Oh, Otter,” sospirò Kid esageratamente, come se avesse il peso del mondo sulle spalle. “Se solo ci fosse una chiesa vegetariana dove tu potessi andare a confessare ed essere assolto per i tuoi peccati carnivori.”

“Come la Chiesa dell’Edamame?”

“La Chiesa del Tofu?”

“La Chiesa di…”

“Che Dio mi aiuti, punirò entrambi!” urlai, ignorando il sarcasmo negli occhi di Kid e la lussuria in quelli di Otter.

“Che c’è dentro quella zucca marcia che non funziona mai?” domandò Kid. Lui e Otter avevano guardato da poco Full Metal Jacket e Tyson pensava che il Sergente Maggiore Hartman fosse Dio. Mi aveva fatto quella domanda almeno sei volte al giorno. Avevo detto a Otter che non avrebbe più potuto scegliere un film. Otter si era limitato a sorridermi e dirmi di stare zitto.

“Non puoi indossare una maglietta che parla di sesso!”

“Chi lo dice?”

“Lo dico io! Hai nove anni!”

“Oh, ti prego. Non la sto indossando perché faccio sesso. La sto indossando perché è un fatto comprovato. E ho nove anni e un quarto. Praticamente dieci. Doppia cifra, papà Bear.”

“Comprovato da chi?” domandai sospettoso.

Mi guardò come se fossi stupido. “Dalla PETA.”

Ero incredulo. “L’ha detto la PETA? L’organizzazione per i diritti degli animali? Tyson, è come se l’associazione per l’uso delle armi dicesse che le armi non uccidono le persone, sono le persone a uccidere le persone. È ovvio che lo dicano!”

“Penso che sia le armi che le persone uccidano le persone,” disse Otter, dando ovviamente un contributo alla conversazione.

Kid mi guardò con rinnovato rispetto. “Questa è stata un’osservazione molto intelligente, Bear,” commentò. “Mi ha sorpreso.”

“Sì, beh,” dissi, arrossendo.

“No, davvero. Sembra che potresti aver veramente letto qualcosa.”

“Beh, c’era questa cosa su internet. Lo sai. Mi ci è caduto l’occhio.”

“Buon per te. È fantastico vedere che stai ampliando i tuoi orizzonti.”

“Sì, e qual era l’altra cosa? Cioè, tutte queste sommosse? Sai, in posti tipo Egitto e Siria e cose del genere? Mi sembrava… brutto… per quelle persone.”

Annuì seriamente. “C’è molta sofferenza dall’altra parte dell’Atlantico. Spero che un giorno possano trovare pace e che tutti i cittadini possano essere liberi.”

Mi sentii sollevato. “Anch’io.”

Batté le mani l’una contro l’altra. “Bene,” disse. “Questa è stata una colazione molto interessante. Sento veramente che abbiamo tutti imparato qualcosa oggi. Adesso, se non ti spiace, ho alcune… cose… da fare online.”

“Okay,” dissi sorridendogli. “Ricordati solo che devi cominciare a mettere in valigia i tuoi libri questa mattina.”

Mi sorrise e fu abbagliante. “Lo so, papà Bear. Non vedo l’ora del Grande Trasloco (Era Ora).”

Il mio sorriso si allargò. “Anch’io.”

Pulì la sua tazza nel lavello e uscì dalla stanza fischiettando.

Risi sommessamente, sentendomi stranamente soddisfatto di me stesso. Avevo tenuto testa a Kid su argomenti di attualità e non ero sembrato un idiota. Di solito non ero uno di quelli che s’interessava a queste cose (voglio dire, dai, chi ne aveva il tempo?), ma questo mi fece venire voglia di saperne di più. Presi il giornale abbandonato da Kid e cominciai a sfogliarlo, volendo leggere delle notizie nuove per parlarne con Kid. Espandere un po’ i miei orizzonti. Mi domandai chi fosse questo Newt Gingrich e perché fosse pazzo e cominciai a cercare il suo nome.

Otter si alzò e cominciò a sparecchiare mentre io ero alla ricerca della conoscenza. Quando alla fine trovai il nome del tizio e cominciai a leggere, si chinò e mi afferrò dolcemente il mento. Portò la mia bocca alla sua e mi baciò dolcemente, con la lingua che mi apriva le labbra e s’intrecciava piano con la mia. Non potei a fare a meno di gemere con le sue labbra calde e morbide sulle mie, impazienti ma non insistenti. Si allontanò dopo qualche istante e toccò la mia fronte con la sua. Fissai quegli occhi dorati e verdi che per me volevano dire così tanto e sospirai felice.

“Bear,” sussurrò. “Sai che ti amo, vero? Con ogni fibra del mio essere?”

Annuii, sentendomi all’improvviso gli occhi lucidi. Ha la tendenza a farmi diventare così.

“E sai che penso che tu sia intelligente?”

Annuii ancora, godendomi il complimento.

“Beh, allora spero che non te la prenderai per quello che sto per dirti.”

Scossi la testa, un po’ preoccupato.

“Kid ti ha fregato alla grande.”

Inclinai la testa.

“Del genere che ti ha seriamente e completamente bistrattato.”

Aggrottai le sopracciglia, sentendo che la mascella mi si contraeva.

“Del tipo che ti ha distrutto.”

Gli occhi mi si strinsero.

“Cioè, al punto che è stato quasi brutale da guardare.”

Il labbro mi tremò dall’indignazione.

Otter sospirò. “Ma, cavoli, ti amo.” Mi baciò la fronte e se ne andò.

“Kid!” urlai.





OKAY, PERCIÒ, quello successe dopo non fu fatto apposta. Dovete credermi. Fu proprio un incidente. Avevo trovato la sua maglietta LA CARNE NON VA BENE buttata in un angolo, forse tralasciata ma non dimenticata. C’erano solo un paio di scatoloni rimasti e immaginai che avrei potuto metterla in uno di quelli per portarla via. Come potevo sapere che in quella scatola c’era anche una bottiglia di candeggina nascosta sotto le cose per pulire? Come potevo sapere che la suddetta bottiglia di candeggina perdeva? Che quando ficcai la maglietta nella scatola senza guardare, finì per cadere nell’angolo della perdita? Non lo feci apposta. Non stavo guardando! Avevo un altro miliardo di cose per la testa!

Ma, mio Dio, la guerra ebbe inizio.

Ero nella cucina della Mostruosità Verde (la nostra nuova casa, la nostra meravigliosa casa, la casa che era del colore più terribilmente offensivo mai conosciuto dall’uomo), quando sentii Kid urlare e l’orrore nella sua voce mi mandò dei brividi lungo la schiena. Lasciai subito le pentole e le padelle che stavo sistemando, le quali caddero sul pavimento mentre correvo. Non posso neanche dirvi quanti scenari possibili mi esplosero in testa mentre correvo verso il mio fratellino, che urlò di nuovo, un suono così prolungato e dolente da farmi star male. Si è fatto male? Quanto è grave? Dobbiamo andare all’ospedale? Oddio, spero di sapere dove sono i fogli dell’assicurazione. Vaffanculo i fogli, posso prenderli dopo. E se si è rotto un braccio? E se ha trovato un teschio umano sotto le assi del pavimento? Non ho mai controllato se questa casa ha qualche omicidio irrisolto avvenuto qua dentro. Perché non ho controllato prima che ci trasferissimo? Oddio, e se ci sono centinaia di corpi morti sotto i pavimenti? E se questa era la casa di quello che sarà conosciuto come il più efferato serial killer del mondo? E se la casa è infestata? Non credo nei fantasmi. È stupido. Non esistono i fantasmi. E se Kid ha visto un fantasma?

Quando senti il tuo fratellino urlare in quel modo, non ti passano sempre per la testa dei pensieri razionali. Penso che potrei andare avanti così un altro po’, ma avete capito il concetto. Nel breve tempo in cui sono stato un fratello-genitore, ho imparato che è fin troppo facile immaginare che sia successo il peggio. Mi aspettavo di vedere sangue o un arto staccato o forse un enorme pitone, attorcigliato attorno al suo corpicino, che lo stava strangolando a morte.

Quello che non mi aspettavo era la furia nei suoi occhi.

Girai l’angolo del nostro nuovo soggiorno, guardandomi attorno selvaggiamente finché il mio sguardo non si posò su Kid. Era davanti a uno scatolone aperto, con qualcosa di bianco/blu che gli gocciolava tra le mani. Corsi da lui e sentii Otter correre dietro di me.

“Cosa è successo?” ansimai. “Stai bene?”

“Chi è stato?” sussurrò, guardando il tessuto tra le sue mani, umido e stinto. All’inizio non riuscii a capire cosa fosse e cominciai a controllare Kid sommariamente per assicurarmi che avesse ancora tutto attaccato. Per quanto potevo vedere, stava bene e mi concessi un breve attimo di relax.

Finché non vidi chiaramente cosa teneva in mano.

Allora capii che una tempesta di merda stava per arrivare.

“Cos’è?” domandò Otter, con tono tagliente e preoccupato. “Stai bene?”

“Chi… è… stato?”

“A fare cosa?” domandai, esasperato, con il cuore che mi batteva nel petto.

Tirò su il tessuto bianco e blu che teneva in mano, le sue piccole dita tremavano. Il tessuto era impregnato di qualcosa e un odore pungente mi pizzicò naso e occhi. Guardai le parole sul davanti della maglietta e sbiancai. Le parole ora dicevano NO BENE.

Oh, cazzo, pensai.

“Non lo so,” mormorai.

Bugiardo, mi fece eco la mia coscienza.

Zitta, replicai.

“Bear, perché non mi guardi?” disse Kid a denti stretti mentre cercavo qualcosa da fissare dall’altra parte della stanza.

“Cosa?” Posai lo sguardo su di lui e poi lo distolsi nuovamente. “Ti sto guardando.”

“Oh-oh,” disse Otter conciso.

“Hai messo questa nella scatola con la candeggina?” mi domandò Kid.

“C’era della candeggina là dentro? Di certo non lo sapevo.”

“Il fatto che la scatola fosse etichettata come roba per la pulizia non poteva essere un indizio?” La sua voce si stava alzando e io feci un passo indietro, solo per incappare nel muro di resistenza che era il mio ragazzo. Il mio solido e stupido ragazzo che non si spostava per farmi correre verso la porta e in un’altra contea. E nemmeno si prendeva la colpa. Otter si rese conto che stavo per correre via e, per assicurarsi che non scappassi, mi afferrò un braccio e mi tenne stretto. Lo guardai male per un attimo. Traditore.

“L’hai fatto apposta,” mi accusò Kid con la voce che gli tremava dalla rabbia. “L’hai fatto per vendicarti della colonia nudista, del cibo a forma di pene e della maglietta sul sesso vegetariano.”

“No!” ribattei indignato.

Kid me la gettò addosso. “Come diavolo faccio a metterla, ora! Non mi lasci comprare altre magliette perché hai paura del messaggio vegetariano e adesso ti metti a rovinare quelle che ho? Voglio un risarcimento!”

Guardai di nuovo la maglietta, leggendo le parole. NO BENE. “Beh, devi ammettere che ora ha un nuovo messaggio,” gli dissi in tono ottimista. “Del genere che se un giorno hai una giornataccia e non ti importa della pessima grammatica, puoi sempre indossarla.” Sentii Otter sbuffare dietro di me e il suo corpo cominciare a tremare mentre cercava di tenere l’ilarità sotto controllo per evitare l’ira di Kid.

Kid strinse gli occhi. Sembrava che non pensasse fosse una cosa divertente. “Un giorno, Bear, e un giorno alquanto vicino,” mi avvisò minacciosamente, “quando meno te lo aspetti, mi vendicherò per questo. Non te ne accorgerai, ma Dio, sarà epico. Sei stato avvisato.”

Si girò e uscì dalla stanza.

Mi girai e diedi un colpo a Otter sul petto. Lui fece una smorfia e borbottò: “E questo per che diavolo sarebbe?”

“Avresti potuto aiutarmi,” ribattei. “Avresti dovuto dire che l’avevi fatto tu!”

Alzò un sopracciglio. “Stai scherzando, vero? Hai visto lo sguardo sulla faccia di Kid? Bear, mi prenderei una pallottola per te, salterei su una mina per te, ma non mi metterei mai tra te e Kid quando è arrabbiato. Sei spacciato, Papà Bear.” Mi fece il suo sorriso da Otter, ma aveva una sfumatura malinconica. “Non so cosa farò senza di te.” Il sorriso svanì e il suo labbro inferiore tremolò. “Mi mancherai così tanto…”

“Stai zitto,” gli abbaiai. “Non mi stai aiutando per nulla.”

Cominciò a retrocedere. “Prometto che farò del mio meglio per crescere Tyson come tu vorresti. In qualche modo, penso che ce la faremo e io…”

Feci un passo minaccioso verso di lui e sibilai: “Cazzate. Non resisteresti un solo giorno senza di me. Ti mancherei troppo.”

“E forse un giorno,” continuò, con gli occhi che gli brillavano sempre più, “sarò in grado di amare di nuovo e sarà come uno di quei romanzi d’amore che legge la signora Paquinn. Dove un uomo vedovo è responsabile di un bambino sveglio e trova un nuovo amore che è un dottore o un pompiere che riesce a penetrare le difese che l’uomo triste ha così frettolosamente eretto e vivranno per sempre felici e contenti come una famiglia. Mio Dio, il cliché della nostra vita sarà enorme e favoloso.”

“Col cavolo,” ribattei. “Se Kid mi uccide, rimarrai da solo per sempre. Nessuno può sopportare le tue cavolate come me.”

“Ah, davvero?”

“Sì.”

“Oh?”

“Solo io,” insistetti. Smise di muoversi e io gli andai addosso, guardandolo negli occhi. Mi sorrise, facendomi bloccare il respiro in gola. Ancora non mi ero abituato al modo in cui ogni tanto mi guardava, quell’attenzione che minacciava di schiacciarmi.

Alzò una mano e la poggiò sulla guancia prima di baciarmi sulla punta del naso, una zona che sa che odio, ma glielo permetto comunque. Non sono proprio bravo a dire no quando si tratta di Otter Thompson. Non si rasava da un paio di giorni e la sua barbetta era meravigliosamente ruvida quando strofinò la guancia contro la mia, come se stesse cercando di trasferire il suo profumo su di me per marchiarmi come suo. Il mio pene cominciò ad alzarsi a mezz’asta e fu quasi sufficiente a farmi dimenticare le minacce alla mia vita da parte di un ragazzino di nove anni.

“Solo tu,” disse Otter prima di baciarmi profondamente.

Sdolcinato bastardo.





STETTI IN guardia il giorno successivo e poco più, finché non dissi qualcosa che fece ridere Kid istericamente; lui mi saltò sulle ginocchia e cominciò a blaterare come faceva sempre. Dopo quello, immaginai che fossimo di nuovo a posto. Era difficile pensare che qualcuno come lui potesse essere così diabolico da prendere in considerazione una guerra psicologica.

Ma fu esattamente quello che fece.

Cominciò con una semplice osservazione. Ero appena tornato dal supermercato, un turno da dieci ore che mi aveva sfiancato. Collassai sul divano mentre Kid entrava, sorridendomi mentre si sedeva accanto a me. Parlammo per un po’ delle nostre giornate mentre Otter preparava la cena in cucina. Poi, quasi distrattamente, Kid si fermò a metà frase e si allungò per togliermi qualcosa dalla spalla.

“Cosa c’è?” domandai, guardando dove erano state le sue mani.

“Solo qualche capello o roba del genere sulla tua spalla,” rispose con una scrollata di spalle prima di continuare a parlare del programma che aveva appena visto sugli effetti dell’avvelenamento da radiazioni. Cercai di mantenere una faccia neutrale, ma poi cominciò a parlare di unghie che si scioglievano e mi venne da vomitare.

“Non riesco a credere che questa schifezza non ti dia fastidio,” gli dissi.

“Perché dovrebbe?”

Il giorno dopo stavamo facendo colazione quando mi passò accanto e mi abbracciò. Ero abituato a quei piccoli attacchi da parte sua, che erano sempre più frequenti, con mio grande piacere. La sua testa rimase sulla mia spalla per un attimo prima che mi guardasse e sorridesse. Poi vidi il sorriso sparirgli dal viso. “Che c’è che non va?” domandai, cercando di non avere un tono preoccupato.

Si allungò e mi tolse di nuovo qualcosa dalla spalla. “Continui a perderne,” mormorò. Poi i suoi occhi mi guardarono la testa e si accigliò un po’ prima di farmi cenno di chinarmi più vicino. Lo feci, tenendo gli occhi fissi su di lui. “Beh, ecco spiegato tutto,” disse sommessamente, serio.

“Che c’è?”

“I capelli che continuo a vedere sulle tue spalle.”

“Che vuol dire?”

Kid sembrò leggermente triste prima di dire: “Stai perdendo i capelli, papà Bear.”

Silenzio.

Poi: “Prego?”

“La tua stempiatura,” spiegò con calma. “Sta cominciando ad aumentare. Tuo padre o tuo nonno erano calvi?”

Risi a disagio. “Zitto, Kid. Stai solo cercando di spaventarmi.”

“Okay,” disse in tono dubbioso. “Allora guardati in uno specchio o qualcosa del genere. Sei ancora troppo giovane per questa cosa. Wow, ti immagini se fosse vero però? Calvo prima dei trenta? Dio, farebbe proprio schifo.”

Uscì dalla cucina.

Lo fissai.

Una volta che fui sicuro che se ne fosse andato, saltai giù dalla sedia e corsi dalla parte opposta, oltre gli scatoloni ancora da sistemare, lungo il corridoio, finché non raggiunsi la camera e mi feci strada verso il bagno; il vapore offuscava il vetro, visto che Otter era sotto la doccia. Potevo vederlo attraverso la tenda e per un momento la bocca mi si seccò al pensiero di Otter nudo, tutto insaponato e bagnato, quelle gambe lunghe, con quelle braccia lunghe. L’acqua che gli scivolava in rivoletti lungo il petto e lo stomaco, lasciando tracce che imploravano di essere leccate. Mi detti una sistemata, il davanti dei pantaloni del pigiama diventò improvvisamente stretto e scomodo.

Ma poi vidi il mio riflesso. I miei capelli.

Tolsi la condensa dalla superficie e li fissai, tirandoli avanti e indietro per vedere se Kid aveva ragione. I miei capelli neri sembravano quelli di sempre, flosci e ondulati, bisognosi di un altro taglio. Ma… non sembrava che la stempiatura fosse aumentata un po’? Non sembrava che stessi perdendo i capelli? Fissai con orrore lo specchio, gli occhi castani del mio riflesso diventarono sempre più sgranati, le mani mi tremavano.

“Porca puttana,” borbottai.

“Bear?” chiamò Otter da sotto la doccia. “Sei tu?”

Non riuscii a rispondere.

Lui tirò la tenda e mise fuori la testa, facendomi un sorriso malizioso. “Cosa stai facendo?” disse con quella voce bassa, quella voce che mi diceva che non gli sarebbe dispiaciuto per niente se fossi entrato sotto la doccia e mi fossi messo in ginocchio per dargli un orgasmo.

“Mi lascerai,” singhiozzai mentre un capello cadeva dalla mia testa sul ripiano bianco.

Rise. “Cosa? Cosa stai guardando, Bear?”

“Lenzuola bianche,” buttai là, rifiutandomi di guardare lui che guardava me.

“Cosa?”

“Voglio lenzuola bianche per il letto,” dissi con decisione per un attimo. “E federe bianche!” Non osai dire ad alta voce che in questo modo avrei visto i capelli traditori che avessero abbandonato la mia testa durante la notte.

“Uh… stai bene?” mi domandò mentre chiudeva l’acqua, tirando completamente la tendina di lato. Gettai un’occhiata e vidi un metro e ottantacinque di glorioso Otter nudo e abbronzato. Il suo pene ondeggiò davanti a lui, implorando di essere afferrato. Sembrava che fosse appena uscito dal set di un film porno, tutto bagnato e scivoloso e pronto. Qualcosa andò in corto circuito nella mia testa.

“Lenzuola bianche!” quasi urlai mentre correvo fuori dal bagno.





COMPRAI LENZUOLA bianche quello stesso giorno (“Assicurati di prendere quelle di puro cotone,” disse quella principessa del mio ragazzo. “Sai che non riesco a dormire su nient’altro”). Corsi a casa, le gettai in lavatrice, camminando avanti e indietro finché il lavaggio non finì; poi le buttai nell’asciugatrice.

Durante quell’interminabile ora e mezza, mi venne in mente una dozzina di scenari diversi, ognuno più realistico del precedente, su come sarebbe stata la mia vita da uomo calvo e ventenne. Perciò, se è vero, se mi sta davvero succedendo, la prima cosa da fare è accettarlo. L’accettazione è il punto chiave, è l’unico modo in cui posso affrontare la cosa. La prima cosa da decidere è: cerco di pettinarli in qualche modo o mi raso la testa? Rasarmi la testa farebbe schifo perché sono abbastanza sicuro che la mia testa sia bitorzoluta e abbia una strana forma. Cercare di pettinarli farebbe schifo perché ogni giorno la mia fronte sembrerebbe diventare un po’ più grande, come se la mia testa stesse crescendo. Okay, quindi diciamo che cerco di pettinarli? Faccio il riporto? Magari li lascio crescere un altro po’ così ho qualcosa in più con cui lavorare? Oddio! E se mi viene quella piccola chiazza pelata dietro la testa che sembra una pista di atterraggio per elicotteri? E se cadono a ciocche e mi restano dei buchi in testa e sembrerà che abbia la lebbra? Le persone si possono ancora prendere la lebbra? Per quanto c’entri, le persone si possono ancora ammalare di peste? Non avevo letto qualcosa sul fatto che qualcuno se l’era presa di recente? Forse era l’antrace. Perché le persone mandano alle agenzie governative polvere bianca dentro le buste? Devono essere dannatamente annoiate. E pazze. Cioè, okay. Diciamo che odiate il fisco. Decidete di essere proprio cattivi e mettete del detersivo in una busta e glielo spedite perché dovete pagare fantamiliardi di tasse arretrate. Si scatena il panico. La cosa peggiore che capiterà è che i dipendenti si beccheranno un giorno di ferie. Ohhhhh, davvero cattivi. Gliel’avete fatta vedere. Quanto siete bravi? Scommetto che proprio le persone che fanno cose del genere sono calve. Oh cavoli, sarò calvo e spedirò detersivo agli uffici governativi e mi lamenterò e mi lagnerò dell’Uomo che ci sta distruggendo, e vivrò in una baracca in mezzo ai boschi. Ecco il mio futuro. Sarò un terrorista calvo del detersivo. Dannata genetica!

Non c’è bisogno di dire che per quando l’asciugatrice finì, ero messo male.

Kid entrò dalla porta aperta della camera e si fermò a guardarmi per un attimo mentre toglievo le vecchie lenzuola e mettevo quelle nuove, mormorando tra me e me. “Lenzuola nuove?” domandò innocentemente. “E bianche addirittura. Molto sterili.”

“Avevamo bisogno di lenzuola nuove,” gli dissi.

Annuì e scrollò le spalle, poi se ne andò, fischiettando una canzone che non conoscevo.

Per allora erano le quattro e mezzo del pomeriggio, troppo presto per andare a dormire, anche se stavo diventando pazzo. Guardai l’analgesico in bagno per un attimo, considerando l’idea di buttarlo giù e andare subito a letto. Ma poi Otter disse che aveva bisogno di aiuto per sistemare il sistema audio-video e gemetti e spensi la luce del bagno, chiudendomi la porta alle spalle.





“SEI STANCO?” domandai a Otter alle otto di quella sera. Eravamo davanti alla tv; Kid era nella sua stanza e stava pianificando la caduta di tutti i carnivori nel mondo. “Io sono stanco. Tu sei stanco?”

Lui inclinò la testa verso di me. “Stai bene? È tutto il giorno che ti comporti in modo strano.” Si allungò per accarezzarmi dietro la testa, ma io sapevo che avrebbe sentito il punto sempre più calvo, perciò mi allontanai da lui.

“Non è vero,” ribattei. “Tu sei strano.”

Alzò gli occhi al cielo. “Bel tentativo. Davvero. Che succede?”

Lo guardai per un momento, cercando di decidere quali sarebbero state le mie parole successive, ma ovviamente la mia bocca si aprì prima che potessi fermarla. “Mi ameresti ancora se mandassi del detergente all’agenzia del fisco?”

Scoppiò a ridere. “Cos’è, uno di quei giochetti che fanno le coppie?” mi domandò mentre ridacchiava. “Del tipo, mi ameresti ancora se avessi dodici dita?”

Lo guardai a bocca spalancata.

“Oh, o tipo: mi ameresti ancora se venisse fuori che sono un famoso rapinatore di banche in fuga dall’INTERPOL?”

“Otter…”

Si stava divertendo fin troppo con lo stupido gioco che aveva cominciato. “Lo so! Mi ameresti ancora se volessi cambiare sesso?”

Lo fissai. “Cambiare sesso?”

Scrollò le spalle. “Sarei sempre la stessa persona.”

“Sì, ma saresti una ragazza.”

Strinse gli occhi. “Sarei sempre io,” borbottò. “E sappiamo tutti che ti piacciono le ragazze.”

Quella cosa era strana. “Vuoi cambiare sesso?” domandai lentamente.

“Sembra che la cosa non si possa neanche discutere perché mi lasceresti! Ti amerei comunque anche se tu fossi un terrorista del detergente, ma tu non saresti in grado di stare con me se avessi una vagina? Non è bello, Bear. Non è proprio bello. Pensavo che mi amassi. Non mi lasceresti neanche essere me stesso se ne avessi bisogno.”

“Quanto cazzo sei stupido?” gli saltai su.

Mi guardò con quegli occhi verdi-dorati e poi li abbassò sulla mia spalla. Si allungò con attenzione e tolse gentilmente qualcosa. “Che c’è?” gli domandai, con il panico nella voce.

Scrollò la testa. “Solo un paio di capelli.”

Oh… mio… Dio.

Prepararsi per andare a letto quella sera fu un incubo, con le lenzuola di un bianco accecante sotto la luce che filtrava dal ventilatore sul soffitto. Si prendevano gioco di me mentre mi mettevo i pantaloncini per andare a letto, dicendomi che quando mi fossi alzato la mattina, sarebbe sembrato che qualcuno avesse rasato un gatto mentre dormivamo. Otter sorrise dolcemente mentre mi passava accanto, togliendosi lo spazzolino dalla bocca per darmi un bacio al sapore di dentifricio. Come poteva sapere della tempesta che si stava preparando dentro di me quella notte? Di come la vita che conoscevo fosse finita, di come ero tanto pieno di rabbia e disperazione che non potevo proprio vedere come andare avanti? Oh, avrei tanto voluto che lo sapesse.

Mi misi a letto, con il cuore che mi batteva in petto. Otter strisciò accanto a me e mi strinse forte a lui, il suo respiro caldo sul collo, le braccia attorno a me, una delle sue lunghe gambe infilate a forza tra le mie. “Ti amo, Bear,” sussurrò dolcemente, mentre si allungava per spegnere la luce.

Divenne buio. Si addormentò quasi subito.

Io rimasi sveglio per parecchio.





“AHH!” PRATICAMENTE urlai la mattina seguente quando aprii gli occhi.

Era proprio là. Proprio accanto alla mia faccia. A prendersi gioco di me.

Un fottuto capello. La mia vita era finita.

Otter grugnì e si girò verso di me, aprendo un occhio annebbiato e sospirando. “Brutto sogno?” mi domandò con la voce gracchiante dal sonno. Di solito, era sexy quando la sentivo così. Di solito, arrivava dritto al mio pene. Ma adesso? Oh Gesù, Giuseppe e Maria, adesso tutto quello che potevo fare era fissare con orrore il cuscino, con quel singolo capello che si muoveva dolcemente nella brezza del ventilatore, come se mi stesse salutando, come se mi stesse dicendo addio.

“Cosa c’è?” mi domandò, un po’ più sveglio.

I suoi occhi seguirono il mio dito e un’aria di confusione gli si stampò in faccia, finché non si rese conto di quello che stavamo fissando. Si allungò e lo strinse tra le dita, mettendolo proprio davanti alla sua faccia, con occhi pensosi e il lato sinistro della bocca che tentava di non sorridere. “Bear,” disse dolcemente, sorridendo. “È solo un filo della tua maglietta. Non è che ti stai facendo impressionare da Kid, vero?”

Sì, ma non glielo potevo dire. Mi ricomposi e ripresi fiato. “Ovviamente no,” protestai. “Non so neanche di cosa tu stia parlando.”

“Uh-huh.”

“Ma…”

“Ma cosa?”

“Lascia stare,” mormorai, tirandomi le coperte fin sopra la testa, nascondendomi in modo che non potesse vedere il calore del fuoco che mi stava bruciando la faccia. Mi seguì al buio e mi si rannicchiò contro, rattrappendo il suo corpo in modo che potesse mettersi a cucchiaio dietro di me. Cercai di resistere, ma… beh, lo sapete. È Otter. Non posso resistergli, non importa quanto io ci provi. Finii per cedere e mi girai su un fianco, guardandolo in faccia, sbattendo le ginocchia contro le sue, sentendo il suo alito mattutino sul volto. Se sapeste di cosa odora, capireste quanto davvero amo quest’uomo per affrontarlo a testa alta.

“Kid è uno stronzo,” borbottai.

“Avresti dovuto stare attento a dove mettevi la maglietta, eh?” disse Otter, allungandosi per strofinare il dorso della mano sulla mia guancia. Non c’era rimprovero nella sua voce, solo una lieve presa in giro, alleggerita dal sorriso che conoscevo tanto bene. Anche là, nell’oscurità, potevo vedere gli occhi verdi-dorati, ora svegli e pronti a scintillare. Cominciai ad avere pensieri impuri sul suo corpo.

“Come no,” dissi, cercando di spingerlo via.

Ma Otter la sapeva lunga; si chinò verso di me e sfiorò le sue labbra sulle mie, un tocco gentilissimo. Lo adoravo, alito pesante e tutto. “Anche allora,” mi disse prima di baciarmi di nuovo.

“Cosa?” esalai, notando quanto stava diventando caldo con noi sepolti sotto le coperte, quanto stava diventando caldo perché le sue mani avevano trovato la via per i miei fianchi e stavano cominciando a strofinarsi contro la mia maglietta, improvvisamente sulla mia pelle. Fu sempre più difficile pensare quando un dito scivolò sotto l’elastico e mi accarezzo il sedere.

“Anche se fossi calvo” disse seriamente.

“Sta’ zitto,” borbottai prima che ridesse e si mettesse sopra di me, azzittendo ogni mia possibile replica. Però andava bene lo stesso. Mi sarei vendicato dopo.





SAPEVATE CHE si può modificare Wikipedia? Pare che sia un’enciclopedia ‘vivente’ che le persone possono aggiornare quando vogliono.

Io di certo non lo sapevo.

Perciò immaginatevi la mia sorpresa quando Kid mi mostrò una pagina di Wikipedia della voce ‘Calvizie’ che spiegava come dei ricercatori nel Regno Unito avessero scoperto che mangiare carne era direttamente collegato alla perdita dei capelli. Immaginate la mia sorpresa, quindi, nel leggere sullo schermo che un certo Dottor Edmund Paddington-Kingsleyshire presso l’Università Britannica degli Studi sui Capelli aveva condotto uno studio esaustivo di sei anni sull’argomento. Kid mi guardò solennemente mentre leggevo le parole, con quella vena sulla fronte grande quanto una canna per l’acqua.

Ora, ascoltate. Siamo onesti. Mi conoscete. Avete sentito la prima parte della mia storia. Se non l’avete fatto e siete una di quelle persone strane a cui piace cominciare una storia da metà, vi do il benvenuto e il buongiorno (ma penso ancora che siate strani). Ma per quelli che mi conoscono? Sapete, e posso dirlo con totale sincerità, che non sono la persona più intelligente del mondo. Mi sono spesso domandato se Dio abbia deciso di non darmi troppo cervello perché sapeva che doveva metterlo tutto da parte per il mio piccolo e maniacale fratellino. Posso ammetterlo tranquillamente. A volte so di essere un po’ stupido (okay, okay, un sacco di volte. Come volete). Perciò è ovvio che credetti al Dottor Edmund Paddington-Kingsleyshire e alla sua chiaramente solida relazione con l’Università Britannica degli Studi sui Capelli. Ovviamente ci credetti perché era su Wikipedia. Sembrava così ufficiale. Come potevo sapere che Wikipedia era piena di bugie? Perché dovreste lasciare che le persone scrivano qualsiasi cosa vogliano in un’enciclopedia?

Fu solo quando Otter mi trovò qualche minuto dopo nascosto nella dispensa della nostra nuova cucina (sembrava l’unico posto per sfuggire da Wikipedia) con la scusa di leggere gli ingredienti su una lattina di pesche sciroppate (doveva sembrare che avessi una scusa per essere là), che capii che forse Internet poteva essere bugiardo. Ingredienti: acqua… zucchero… pesche. Piuttosto semplice. Però l’avevo letto ormai cinquecento volte quando lui aprì la porta della dispensa ed entrò, chiudendosela dietro.

“Cosa stai facendo?” domandò, con un evidente divertimento nella voce.

“Leggo delle pesche,” lo guardai male. Avrebbe dovuto essere evidente. Il ‘ma davvero’ alla fine della mia frase era, ovviamente, implicito.

“Perché leggi delle pesche?” inclinò la testa di lato.

“Sono interessanti,” ribattei.

“Uh. Sai, quando le persone mi chiedono perché stiamo insieme, gli racconto di cose del genere e poi mi guardano in modo strano.”

Sbuffai. “Ti prego,” borbottai. “Sono io che sto cercando di mantenere viva la magia.”

Ridacchiò e mi prese le pesche dalla mano per rimetterle sulla mensola. “Bear, sai cos’è Wikipedia?” mi chiese gentilmente.

“Una stronza,” sibilai.

Poi mi disse cos’era Wikipedia. E come sapeva che Kid aveva un account su Wikipedia. E che probabilmente non avrei dovuto rovinargli la maglietta.

Guerra psicologica.

Quel piccolo bastardo.





ROUND 3: Andai su internet e comprai la mia maglietta con consegna rapida. Era fantastica. Cuccioli, l’ALTRA carne bianca. Otter mi fece notare che l’avevo indossata al rovescio nella fretta di fargliela vedere. Mi ero domandato come mai mi pizzicasse il collo. Vincitore: Kid.

Round 4: Tyson rientrò dopo aver giocato e mi disse che era stato invitato a uscire per un appuntamento con un ragazzo che viveva sulla nostra strada e stava pensando di andarci. Ebbi un infarto e un ictus e rischiai seriamente l’incontinenza. Vincitore: Kid.

Round 5: Dicendogli che mi sentivo in colpa per la maglietta sui cuccioli, gli dissi che potevamo andare a prendere un cane al rifugio ora che avevamo un cortiletto. Invece lo portai dal dentista. Vincitore: Bear “Rock Star” McKenna.

Tempo: Otter prese una delle sue magliette bianche e ci scrisse con un pennarello nero ‘Penso che siate tutti e due stupidi’ e la indossò in giro per la casa (cosa che di per sé non è per nulla divertente, tranne che trovai il suo primo tentativo di scrivere lo slogan nel secchio della spazzatura e all’inizio aveva scritto ‘siete’ al posto di ‘siate’). Io e Kid concordammo che era lui quello stupido. Vincitori: io e Kid (perché Otter non è per nulla divertente).

Round 6: Okay, ammetterò che per il sesto round cominciavo a non avere più idee. Non aiutava avere un sacco di altre cose per la testa. Cazzo, dovevamo preoccuparci del tribunale, delle stupide udienze per la custodia, di far saltare o meno un anno di scuola a Kid. Per quanto sentissi che Kid meritasse quello che gli veniva per via dell’episodio della perdita dei capelli, non ce la facevo più. Perciò, essendo la persona più sensata (e non guardatemi così, ero la persona più sensata), gli ordinai un’altra maglietta uguale. Giuro su Dio che siamo noi la ragione per cui quello stupido sito di abiti per vegetariani fa affari. Perciò, sì. Il pacco arrivò e Kid lo aprì, con uno sguardo di estrema sfiducia sul volto mentre tagliava lo scotch. Ma lo sguardo che ne seguì? Sapete, quello sguardo che mostrava che il sole sorgeva e tramontava con me? Ecco lo sguardo che spero sempre di vedere. Quello per cui vivo. Urlò senza senso come tendeva a fare, si lanciò addosso a me e mi blaterò all’orecchio.

Sentite, siete con me da un po’. So che a volte parlo e parlo… e parlo. Penso troppo alle cose. Faccio errori stupidi che portano ad azioni che potrebbero essere evitate. Sento voci nella testa che mi fanno sembrare pazzo e forse ci ragiono troppo. Okay, okay, decisamente troppo. Mamma mia, lo so, lo capisco. Ma volete sapere una cosa? C’è un motivo. C’è una ragione. C’è un significato. Ho imparato cose negli ultimi anni, cose che non credevo fossero possibili. Non avrei mai immaginato che sarei arrivato dove sono ora, a questo punto della mia vita. È spaventoso. È fantastico. E so che non importa cosa c’è fuori ad aspettarci, anche se forse un po’ sì. Non importa quali dubbi avrò, anche se li avrò comunque. Quello che importa è Kid sulle mie ginocchia, che gioca con le mie dita come un vero bambino. Quello che importa è la mano di Otter sulla schiena che mi accarezza dolcemente mentre guarda le persone che dice che contano per lui più di qualsiasi altra cosa al mondo. Siamo noi, okay? Nel bene e bel male, siamo noi. Con tutti nostri difetti e i nostri pregi, siamo noi.

Ecco chi siamo, la nostra identità.
 
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view post Posted on 17/5/2014, 15:06
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