Capitolo 4, "Archangel's Blade" di Nalini Singh

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Christiana V
view post Posted on 14/10/2013, 12:55




ARCHANGEL'S BLADE




LE NOSTRE TRADUZIONI SONO LAVORI AMATORIALI TOTALMENTE ESEGUITE DAI NOSTRI UTENTI E SENZA SCOPO DI LUCRO.
SONO RISERVATE ESCLUSIVAMENTE AI NOSTRI UTENTI ED E' ASSOLUTAMENTE VIETATO PRELEVARE QUESTE TRADUZIONI, INTERAMENTE O PARZIALMENTE, PENA IL BAN.



Tradotto da Lucy85



Revisione a cura di Christiana V








Capitolo 4



Honor tornò all’Accademia della Corporazione passata la mezzanotte, poggiò la borsa del portatile sul tavolino nascosto vicino al guardaroba del suo alloggio. Il letto occupava la maggior parte dello spazio rimanente. La stanza era adatta, e le bastava – molti cacciatori usavano gli alloggi quando dovevano fare una breve, intensa sessione di allenamento all’Accademia. Honor era lì dal giorno in cui le avevano permesso di uscire dall’ospedale.
Non perché non poteva permettersi di meglio. Viste le tariffe che i cacciatori richiedevano come compenso per il loro lavoro rischioso, e il fatto che lei non avesse avuto molto tempo libero per poter spendere quei soldi, si era messa da parte un bel gruzzoletto prima del rapimento. Nulla era stato preso durante la convalescenza dal momento che la Corporazione copriva le spese mediche di tutti i suoi cacciatori. La verità era che lei poteva trasferirsi in un attico qualora lo avesse voluto. Semplicemente, non le era sembrato che ne valesse la pena. Tranne quella notte, visto che la stanza improvvisamente le sembrava una gabbia. Come aveva potuto essere tanto stordita da non notare i segnali claustrofobici? La consapevolezza della profondità della sua apatia fu come uno schiaffo, uno che le risuonò in testa – ma non abbastanza da farle capire la sua reazione ai muri che la circondavano. Iniziando a sudare, si tolse la felpa e la buttò sul letto, ma non bastava per farla raffreddare.
Acqua.
Qualche minuto dopo, si era messa il suo costume intero nero e un accappatoio che le avvolgeva il corpo. I nottambuli che incontrava lungo la strada per andare alla piscina dell’Accademia si fermavano giusto il tempo di salutarla prima di riprendere la loro strada – e presto si ritrovò immersa nell’incontaminata acqua blu che prometteva solo pace.
Bracciata, bracciata, respiro. Bracciata, bracciata, respiro.
Quel ritmo era molto meglio della meditazione. Dovette fare un’intera vasca prima di iniziare a calmarsi. In ogni caso, la sensazione di soffocamento la colpì nuovamente nell’istante in cui rientrò nella sua camera – ora che aveva notato le sue dimensioni ridotte, non riusciva a toglierselo dalla testa. E non c’era verso che riuscisse a dormire anche costringendosi a mettersi a letto. I suoi incubi – esseri malvagi e graffianti – erano già abbastanza brutti senza aggiungerci anche il panico da claustrofobia.
Dopo aver fatto la doccia in piscina, indossò dei vestiti freschi e prese il portatile. La biblioteca era tranquilla a quell’ora della notte, ma non deserta. C’erano un paio di istruttori che lavoravano su alcuni documenti e una cacciatrice che aveva l’aspetto di una che era appena entrata in servizio. Una sola occhiata ai lucidi capelli scuri e agli stivali logori, che le sue labbra si incurvarono per la gioiosa sorpresa.
“Ashwini?”
La cacciatrice, con quell’immense gambe lunghe, posò il libro che stava esaminando e ruotò sui tacchi. Il volto si aprì in un sorriso che la trasformava in una bellezza mozzafiato, con un urlo eccitato volò sopra al tavolo della biblioteca per avvolgere Honor in uno stretto abbraccio. Non c’era rimasto alcun segno dello scontro con il coltello che l’aveva ferita gravemente non molto tempo prima. Ridendo, Honor ricambiò l’abbraccio – Ash era una delle poche persone che non aveva mai avuto problemi lasciar avvicinare, anche dopo l’aggressione. Forse perché l’altra cacciatrice era la sua migliore amica… e forse perché Ashwini era quella che le aveva strappato la benda e tolto le catene che l’avevano tenuta intrappolata e impotente, il suo corpo ridotto a un pezzo di carne per i rapitori. “Ti ho trovata, Honor – quei bastardi non ti toccheranno mai più.”
“Cosa ci fai qui, pazzoide?” le chiese, focalizzandosi sul fatto che i suoi amici non l’avevano mai abbandonata, piuttosto che sui ricordi più putridi che le inviava la memoria. Ashwini le schioccò un bacio sulla guancia prima di tirarsi indietro. “Sono venuta a trovarti – e siccome non eri nei tuoi alloggi, sono venuta qui ad aspettarti.”
Si stava guardando intorno, quando uno degli istruttori fece “Shhh” a voce alta, alzò gli occhi. “Divertente, Demarco. Non ti avevano chiamato guastafeste alla tua ultima festa?”
Il cacciatore longilineo con i capelli striati di biondo, tipici di un uomo che amava il sole, sorrise e puntò un dito. “Sapevo che eri lì, Signorina Bruciamutande.”
“Questa è una biblioteca, gente,” esclamò l’ultimo uomo nella stanza, con gli stivali sfregiati poggiati sopra il tavolo da lettura e un libro rilegato in pelle aperto sul volto. Ash e Demarco fischiarono. Sì, perché Ransom era l’ultima persona che ci si aspettava di trovare in una biblioteca – eccetto per la voce che diceva che si fosse legato a una bibliotecaria. Questo, pensò Honor, era una cosa da vedere per credere.
Lui si mise il libro in grembo e si appoggiò allo schienale della sedia, le braccia incrociate dietro la testa. “Dovrei informarvi che sto tenendo un corso avanzato su come trattare con la Fratellanza Alata quando è necessario.”
Ashwini si avvicinò per giocare con la stupenda chioma nera di Ransom, tirandola fuori dalla coda per passarsela tra le dita. “Che balsamo stai usando, Professor Ransom? Sto pensando di cambiare marca.”
“Vaffanculo.” Le rispose senza collera mentre fissava Demarco. “Ho fame.”
L’altro cacciatore si fermò per poi annuire con decisione. “Sì, anche io.”
Fu così che Honor si ritrovò seduta in una sala da pranzo altrimenti deserta con tre cacciatori, parlando di stronzate. Non lo faceva da mesi, limitandosi ad allontanare Ash quando la sua migliore amica cercava di farla uscire, e ora non riusciva più a capire il perché. Per la prima volta da quando era fuggita da quel buco infernale dove era quasi morta, si sentiva viva, una persona, invece di un’ombra dimenticata, un’illusione trasparente.
Smettila di mentire a te stessa, Honor.
Si era sentita molto più che reale, più che viva, quando era alla Torre. Raggelata da una paura che le aveva lasciato la pelle appiccicosa di sudore, e dalla sua ossessione ben radicata verso un vampiro che l’aveva guardata con il sesso – del tipo oscuro e urlante – negli occhi, ma non di meno viva.
La mano strinse con forza il manico della tazzina da caffè. Aveva già mangiato un toast al formaggio e una banana, veramente affamata per la prima volta da mesi – anche se il rigoroso regime alimentare datole dal nutrizionista della Corporazione prevedeva che ritornasse al suo peso ideale il semestre scorso. Non aveva mangiato nulla di quelle cose e aveva accettato solo perché era più facile che mettersi a discutere. Lo sguardo di Dmtri aveva messo in chiaro che apprezzava le sue curve, che non aveva problemi che la sua forma naturale assomigliasse più a una clessidra di quanto affermava la moda. Pensò che lui si sarebbe preso ogni squisito piacere nell’accarezzare il corpo di una donna con le sue mani… sempre ammesso che non le volesse far del male.
“Qualcuno di voi ha conosciuto Dmitri?” si ritrovò a chiedere durante una pausa della conversazione, infastidita dal fatto che, pur sapendo al di là di ogni dubbio che non andava bene per lei, non poteva smettere di tracciare leggermente, con gli occhi della mente, la curva del suo labbro inferiore. Un’indulgenza pericolosa, una piccola pazzia.
“Sì.” Ransom ingoiò un boccone di un dolcetto ripieno. “Quando Elena è scomparsa. Figlio di puttana. Non è qualcuno in cui incappare in un vicolo deserto.”
“Una sfida. Ci sto.” Sarebbe stato facile convincere se stessa del fatto che lui stesse solo giocando con lei, divertendosi a sue spese… se non che lei era quasi certa che un uomo non guardava una donna con quel desiderio negli occhi, a meno che non pianificasse di averla nuda e indifesa sotto di se con le gambe aperte.
“Ehi.” La voce di Ashwini, più bassa affinché non coprisse la conversazione di Demarco e Ransom. “Ho saputo che sei stata chiamata come consulente per la Torre. Dmitri?”
“L’ho tagliato,” sussurrò, il ricordo di quell’azione ancora avvolta nelle tenebre.
Il sorriso di Ashwini era feroce. “Buon per te. Il bastardo probabilmente se l’è meritato.”
Fissando la sua migliore amica, Honor iniziò a ridere ed era la prima volta da quando Ash e Ransom l’avevano portata fuori da quel pozzo sudicio, ammaccata, violata e sanguinante per via di tutti quei morsi che le avevano lacerato la carne talmente tanto da costringere i dottori a immergerla in un bagno antisettico, in modo da non mancare nemmeno una ferita.


Non riuscendo a dormire quella notte, Dmitri era in piedi fuori al balcone della sua suite alla Torre quando l’ombra di un paio di ali si piazzò su di lui per poi scendere. L’angelo che atterrò al suo fianco era sia familiare che sgradito.
“Favashi,” disse, avendone previsto la visita. I movimenti dell’arcangelo erano stati seguiti fin da quando, un’ora prima, era stata avvistata sulla costa di Boston. “Sei venuta a rivendicare il territorio di Raphael mentre è in Estremo Oriente?”
Il volto sereno di Favashi non tradiva nulla mentre ripiegava le sue morbide ali color crema. “Entrambi sappiamo che lui è più forte di me, Dmitri. E anche se non lo fosse, tu comandi i suoi Sette. Sarebbe sciocco da parte mia mettermi contro di voi.”
Lui sbuffò, anche se lei aveva ragione. La sua forza come vampiro, unita alla sua intelligenza e alla sua esperienza sul campo da battaglia, faceva sì che nessuna città potesse cadere con la sua vigilanza. E questa città? L’aveva vegliata da molto tempo prima che diventasse un gioiello ambito da molti, e non l’avrebbe mai lasciata cadere in mani nemiche.
“Così sei qua per adularmi?” le fece le fusa, il tono letale come la lama di un bisturi. “Peccato che preferisco che le mani che mi accarezzano non appartengano a una puttana dal sangue freddo.”
Il fuoco negli occhi, uno scorcio del potere malvagio nascosto dietro la facciata da amabile principessa Persiana, elegante e benevola.
“Sono ancora un arcangelo, Dmitri.” Gli ricordò con una frustrata di arroganza, ma subito le sue labbra s’incurvarono. “Sono stata una sciocca e questa è la mia ricompensa. Potrai mai perdonare l’ambizione di una giovane donna?”
Dmitri fissò quest’arcangelo che gli aveva fatto credere, per un solo momento, che avrebbe potuto strisciare fuori dall’abisso per immergersi nuovamente nella luce. Con i capelli di un seducente color visone, gli occhi della stessa calda tonalità, la pelle come l’oro liquido di Persia, e il corpo di una dea, Favashi era una regina e come tale appariva.
Gli uomini avevano combattuto per lei, erano morti per lei, adorandola. Le donne le vedevano una grazia che mancava a Michaela, la più bella tra tutti gli arcangeli, e così la servivano con mani benevole e cuori leali, senza mai capire che Favashi era spietata come i suoi fratelli all’interno del Quadro. “L’ambizione,” le rispose, “ha un prezzo.”
Spiegando le ali, come se volesse esporle alla languida carezza della notte, Favashi si voltò per osservare quel paesaggio notturno tempestato di diamanti che era Manhattan. “Un posto incredibile, ma così complicato. La mia terra è più semplice.”
“Un uomo può bruciare nel tuo deserto senza essere mai trovato.” Non aveva dubbi che Favashi avesse sepolto numerosi corpi sotto quelle dune di sabbia. Non era un problema per lui – lui stesso ve ne aveva sepolto qualcuno. Ciò che lo infastidiva era il fatto che lei non solo lo aveva ingannato in modo da indurlo a credere in lei, ma che si aspettasse di tenerlo al guinzaglio come suo personale cucciolo assassino.
Una volta, una vita prima, Dmitri era stato trasformato in una cosa da poter essere usata. Non sarebbe successo mai più. “Perché sei qui?”
“Sono venuta a trovarti.” Una risposta semplice, ma la sua voce aveva un che di esotico, di soffice, da trasformarla in un invito. “Lasciamo che il passato riposi nel luogo cui appartiene. Vorrei corteggiarti ancora.”
“No.” Le prese il polso nel momento in cui alzò la mano per toccargli il viso, stringendola così forte che le avrebbe spezzato le ossa se fosse stata umana. “L’ultima volta che un angelo ha cercato di corteggiarmi,” sussurrò, chinandosi per parlare con le labbra che le sfioravano il collo, “lei è finita in pezzi così piccoli che ho poi dato in pasto ai suoi segugi.”
Era lui che aveva corteggiato Favashi prima – o almeno era quello che lei gli aveva fatto credere, che fosse lui a condurre le danze. L’unica cosa buona che aveva ottenuto da quella esperienza era che non bisognava mai fare lo sbaglio di credere alle dolci bugie di una donna.
Lasciando scorrere le labbra lungo il lato sensibile del suo orecchio, glielo succhiò leggermente, consapevole di renderla più debole, mentre strofinava il pollice sulla pulsazione del polso che aumentava sempre di più. “Ho visto i cani nutrirsi,” mormorò, passando le dita della mano libera lungo la curva delle ali come la più intima delle carezze, “e ho desiderato averle dedicato più tempo con la lama.”
Favashi strattonò via il polso e indietreggiò di un passo. Poco importava – i suoi occhi erano dilatati, la pelle arrossata. Lui sorrise e deliberatamente toccò con il dito la pulsazione rapida del suo collo. “Il letto non è lontano se desideri essere servita, mia Signora Favashi.”
Nessuna reazione di fronte a quell'appellativo beffardo. Dopotutto, lei era un arcangelo. Ma il suo tono aveva una nota preoccupata che un tempo lo avrebbe ingannato, facendogli credere che tenesse a lui. “Non sei più quello di un tempo, Dmitri. Non vorrei avere un uomo come te nel mio letto.”
“Peccato. Ho in mente così tante cose divertenti da farti.” Nessuna delle quali aveva a che fare con il piacere. “Ora,” iniziò, avendone abbastanza dei giochi, “dimmi il vero motivo della tua presenza qui.”
Una ciocca di capelli le si posò sul viso prima che il vento la spostasse via.
“Ho detto la verità.” Il viso, perfetto di profilo, osservò un gruppo di angeli in un angolo discendere verso un balcone più in basso, le ali incurvate verso l’interno in modo da ridurre la velocità di planata. “Sia Raphael che Elijah hanno delle consorti e sono stabili, diversamente dagli altri nel Quadro. Ho deciso che è tempo di unirmi a loro – e tu eri l’unica scelta che mi sembrava accettabile.”
Il freddo calcolo di un immortale. “Che mi fidi o meno di te nel mio letto, l’invito rimane. Considera quanto potere avresti in qualità di mio consorte.”
Detto ciò, distese le ali che una volta lui aveva accarezzato mentre lei si arcuava nuda sotto di lui, e si gettò dal balcone. Dopo aver fatto una chiamata per assicurarsi che Favashi fosse controllata fino ai confini del territorio, Dmitri offrì il viso alle freddi brezze notturne, che intrecciavano i rami del fiume Hudson con il frenetico e selvaggio battito di una città viva fatta di acciaio, vetro e cuore. Favashi non capiva e fortunatamente non lo avrebbe mai fatto. Il fatto era che Elena era debole, troppo debole per essere la consorte di un arcangelo, eppure Raphael l’amava. Mentre Dmitri, come capo dei Sette di Raphael, non poteva accettare alcuna debolezza, il mortale che era stato un tempo, quello che aveva amato una donna con una bocca grande e occhi marroni a mandorla… quell’uomo sapeva che un amore così profondo era una bellissima follia.


Un caldo torrido.
Carni carbonizzate.
Urla.
Parole che lei doveva capire ma che non poteva.
Un dolore, bruciante, accecante… ma sopraffatto dall’angoscia.
“No, no, no.”
Emergendo fuori dall’incubo al suono della sua stessa voce, Honor si toccò il viso, trovando una sola lacrima che le rigava la guancia. Si allarmò. Il più delle volte, quando sognava dello scantinato, si svegliava paralizzata dalla paura, la nausea che le rivoltava lo stomaco. Qualche volta si risvegliava in preda alla rabbia, la mano esangue attorno a un’arma. L’unica cosa che non aveva fatto, non da quando era stata liberata, era piangere. Né quando era sveglia né quando dormiva. Strofinando la manica sull'umidità per cancellare ogni traccia della sua perdita di controllo, rivolse uno sguardo consapevole alla biblioteca. Era deserta, e un’occhiata all’orologio le spiegò il motivo – erano le cinque del mattino. Ashwini e Demarco avevano lasciato lei e Ransom poco dopo l'una, e ricordava di aver borbottato un “Ciao” all’altro cacciatore quando anche lui se n'era andato a letto dopo circa un’ora.
Ora, rimettendo a posto il portatile e le fotocopie che aveva fatto da qualche testo, si diresse verso la sua stanza. La sua piccola, soffocante prigione – esausta o meno, sapeva che andare a dormire era impossibile. Immaginando che Ashwini fosse sveglia, visto che se n’era andata dopo aver ricevuto una chiamata per una caccia locale, tirò fuori il cellulare.
“Honor, hai bisogno di qualcosa?”
“Puoi parlare?”
“Sì, sono appena tornata a casa dopo aver preso quell’idiota di un vampiro.”
“Di già?” Sarebbe stato una specie di record.
“Aveva avuto la brillante idea di – senti questa – nascondersi dalla madre. Come se non fosse il primo posto dove andare a guardare.”
Erano momenti come questi che obbligavano Honor a ricordare che i vampiri una volta erano esseri umani. Le abitudini potevano impiegare decenni prima di svanire… anche se era certa che Dmitri non ne avesse più nessuna. “Avevi detto qualcosa su un appartamento libero nel tuo edificio l’ultima volta che sei stata qui,” disse, arrabbiata con se stessa per non essere capace di smettere di pensare alla letale, sensuale creatura che l’aveva guardata con occhi pieni di desideri proibiti. “Pensi che lo sia ancora?”
“No. Perché ci ho messo il tuo nome sopra.”
Honor cadde di peso sul letto. “Lo sapevi.”
“È a giorno,” disse Ashwini, invece di rispondere alla domanda implicita. “Vetri ovunque, e anche se questo rappresenterebbe una falla nella sicurezza in un piano più basso, sarai al trentunesimo piano. Potrei tipo forzare la tua unità d'immagazzinamento e trasferire tutte le tue cose in una settimana, ma se lo dici a qualcuno dirò che lo hanno fatto i folletti.”
In qualsiasi altro momento, con qualsiasi altra persona, Honor si sarebbe arrabbiata, ma questa era Ash, che aveva compreso che il suo bisogno di fuggire prima ancora che ne fosse consapevole lei stessa. “Ti devo un favore.”
“Vuoi che ti venga a prendere? Ho ancora la macchina che mi era stata assegnata per la caccia.”
Honor diede un’occhiata alla stanza. “Dammi un paio d’ore per fare i bagagli.” Non aveva molto, ma era una regola non detta che il letto dovesse essere cambiato, il pavimento spazzato e buttata la spazzatura, prima di partire.
“Ti aspetterò di fronte al cancello.”
“Honor?”
“Sì?”
“È bello riaverti tra noi.”
 
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view post Posted on 14/10/2013, 22:12

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Che bello adoro Ash e ache ransom mi piace molto non vedo l'ora di and ygav ti co il rapporto tra Dmitri e honor!
 
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_CallMe*Simo
view post Posted on 21/10/2013, 19:14




questo capitolo mi ha ucciso, non si può finire così!
 
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view post Posted on 2/11/2013, 15:54
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Park Hee Ra

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spero che Ashwini abbia una parte importante nella storia
grazie mille per il vostro lavoro
 
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4 replies since 14/10/2013, 12:55   100 views
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