Deanira, di Simona Liubicich - Ed. 2014

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AnitaBlake
view post Posted on 30/5/2014, 12:09




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Vaticano, anno domini 1587. Una bellissima donna vi trascinerà in una storia d'amore e magia.
Ecco per voi "Deanira" di Simona Liubicich!



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PROLOGO

Vaticano, anno domini 1587

«Sarà compito vostro trovare la donna e portarla al mio cospetto. Molte sono le storie che si narrano sul suo conto e con quello che tra poco si scatenerà in tutto il territorio e oltre, temo per la sua incolumità. L’unico modo di trarla in salvo è farla fuggire dal suo paese. Qui sarà al sicuro e avremo modo di verificare personalmente quei “doni” di cui tanto ho sentito narrare. Pensate di poterlo fare, amico mio?»
«Non ho sempre soddisfatto appieno ogni vostra richiesta?» rispose l’uomo guardandolo dritto in viso.
«Proprio per questo ho domandato nuovamente di voi. Questo è un incarico delicato e solamente voi avrete la forza necessaria per sottrarla al grave pericolo che incombe su di lei, mettendola a conoscenza dell’esistenza del sottile velo che divide il nostro mondo con ciò che a molti altri non è dato sapere. Deanira non è un essere umano qualunque ma una creatura particolare, una fenice prigioniera in un covo di lupi. L’Ordine continua a occuparsi di quella parte di creato parallelo che vive ai nostri confini terreni ed è grazie a voi che riusciamo ancora a combattere il male che dilaga come una serpe venefica.»
«Consideratelo già fatto. Porterò qui la ragazza al più presto.»
Il cavaliere s’inchinò con deferenza all’alto prelato vestito di porpora e, girando sui tacchi degli stivali, lasciò l’enorme sala del Vaticano, i passi che rimbombavano sordi sul marmo…

CAPITOLO I

Triora, agosto 1587

Il sole stava tramontando dietro l’orizzonte e un'altra giornata estiva volgeva alla fine. La palla infuocata sembrava sprofondare nella distesa del mare tingendo il cielo di rosso, le prime stelle che si affacciavano timidamente alla notte. Attraverso gli oliveti e i filari di vigne, la vista era impagabile: il paese era arroccato in cima a un’irta collina, tutt’intorno boschi di castagni a creare una cortina pressoché impenetrabile ai foresti. Sembrava un nido d’aquile e non si riusciva a comprendere appieno come l’uomo potesse essere giunto sin lassù e aver addirittura pensato di edificare un borgo di pietra, passaggi e ponti su baratri, con muraglie di cinta che lo circondavano quasi totalmente a difesa degli attacchi nemici. Certo, doveva esser stata una gran fatica ma adesso, da lassù, chi vi abitava poteva esserne soddisfatto.
Il tramonto trasmetteva un senso di solitudine profonda, talmente intenso da sembrare un triste inno alla vita che si spegneva al crepuscolo. La luce morente abbracciava la vallata sotto la rocca di Triora e una giovane donna, seduta sullo sperone di roccia che sporgeva sull’orrido del Diavolo, i piedi scalzi ciondolanti nel vuoto, osservava l’ameno panorama. La caligine dello scirocco increspava le onde del mare in una densa schiuma e le scompigliava i capelli color rame, che scendevano in onde morbide sin oltre la vita. Lo sguardo era perso all’orizzonte, un sorriso enigmatico a fior di labbra, i lineamenti delicati. Seguiva il volo dei gabbiani che si libravano alti nel cielo. Ne invidio l’assoluta libertà mentr’essi gridano inseguendosi l’un l’altro, pensò. Deanira adorava quel posto appartato e immerso nella solitudine: ci si recava ogni giorno sin da quando era poco più di una bambina. La rocca a strapiombo sul burrone si affacciava a ridosso dei campi di frumento, strappati all’acredine della terra da mani e schiene spezzate. Tra profumi di ginestre e pitosfori, solo lo stridere incessante delle cicale, che si chetava all’imbrunire.
La logora veste di cotone, di un colore ormai tendente più al marrone che al rosso, le arrivava sopra le caviglie: lisa e rammendata in più punti, si tendeva sul busto schiacciandole il seno ormai alto e abbondante. Era stata di sua madre ma Deanira l’aveva superata da mo’ in altezza oltre che sepolta, povera donna. La sua anima si era ricongiunta al Signore sei mesi addietro in seguito a una febbre polmonare che l’aveva strappata via alla vita a soli trentadue anni. Lucia Cavalleri si era spenta in un grigio pomeriggio di gennaio, intanto che la neve scendeva silenziosa come la sua dignitosa sofferenza, ammantando tutto in una gelida quiete. La donna aveva categoricamente rifiutato le cure di Deanira poiché desiderava morire in pace con Dio. Non aveva voluto che le mani “fatate” della figlia e il loro potere potessero divenire motivo di accusa nei confronti della giovane. Lucia aveva amato quella creatura sin da quando l’aveva stretta tra le braccia per la prima volta, trovandola nei pressi della Fonte Boschiva, nel mezzo della foresta, una mattina che si apprestava a raccogliere artemisia e bardana per i suoi infusi. Deanira non era sua figlia legittima e molte volte la donna le aveva raccontato quella strana e complicata storia che le legava in maniera così affettuosa.
In un lontano giorno di diciassette anni prima, una lettera scritta in bella grafia su una pergamena preziosa, accompagnava il fagotto avvolto in una coperta ricamata finemente, dentro un cesto di vimini. Lucia, che non sapeva ne leggere né scrivere, aveva raccolto l’infante insieme alla lettera e l’aveva portati a padre Gregorio, su alla canonica del paese. Aveva confidato in lui perché era un uomo di chiesa, colto e dall’animo gentile. Ma non appena egli aveva letto le poche righe che accompagnavano la bambina, si era mestamente segnato con la croce.
«Che accade padre?» aveva domandato Lucia.
Il sacerdote, divenuto improvvisamente pallido, era arretrato di qualche passo guardando la neonata con palese timore. «Unica figlia di nobile discendenza ma segnata dal marchio del diavolo.»
«Il marchio del…diavolo? Ma è solo una povera creatura abbandonata! Come si può accusarla di cotanto peccato?»
«Taci donna! Tu, preda della tua stessa ignoranza, non conosci le infinite forme in cui può manifestarsi il maligno! Guarda la sua gamba, osserva il marchio!»
La giovane contadina non aveva fatto caso a quella cosa alquanto singolare: su una caviglia spiccava un marchio color porpora, vistoso, dalla forma di una croce rovesciata. Lucia si era segnata, portandosi una mano alla bocca, in preda al panico. Padre Gregorio aveva preso l’acqua santa e asperso la piccina, la quale era scoppiata immediatamente in un pianto disperato.
«Vedi? L’acqua benedetta di nostro Signore la disturba. Lei incarna il maleficio di una

fornicazione demoniaca!» Il prete aveva iniziato a straparlare, intavolando una litania in lingua latina volta alla povera creatura, della quale la contadina non aveva capito nemmeno una parola. Lucia aveva rivestito e preso in braccio la bimba, seppur con un poco di timore, ma lei si era subito quietata tra le sue braccia, sprofondando nel sonno. Secondo me questa povera piccola ha solo una gran fame..., aveva pensato mentre la cullava e si perdeva in quel viso angelico dagli occhi smeraldini. Padre Gregorio le aveva intimato di sbarazzarsi al più presto di lei se ci teneva a conservare pura la sua anima e Lucia, abbandonata la chiesa, era sprofondata nella prostrazione. Che fare di quella creaturina? Si era recata così dalla vecchia Argene, la più anziana del villaggio. Desiderava un buon consiglio, così le aveva raccontato la strana storia e la reazione del prete.
«Affogala come i gatti!» le aveva risposto la megera, sghignazzando e mettendo in mostra una fila di denti marci e anneriti.
Con un singulto, Lucia era fuggita insieme alla neonata verso l’unico posto che in quel momento le sembrava sicuro: la sua casa, quella catapecchia di Cabotina fuori le mura del paese. Le aveva dato del latte di vacca diluito con acqua, servendosi di una sacca artigianale fatta con le interiora di un agnello, che la bambina aveva succhiato avida sino a saziarsi e riaddormentandosi beatamente poco dopo, adagiata nella cesta vicino al focolare.
E tu saresti una figlia del diavolo?, aveva sorriso Lucia, tornando alle sue faccende. Dopo una notte trascorsa insonne, la giovane lattaia aveva preso una decisione. Era sola al mondo, un’orfana senza alcun parente e non possedeva neppure un aspetto leggiadro. Una donna povera e brutta che viveva di stenti, destinata a rimanere sola sino alla fine dei suoi giorni. Avrebbe tenuto con sé la piccola, e in qualche modo, con o senza l'aiuto di Dio, ce l’avrebbero fatta…

Deanira si destò dai suoi pensieri al suono di un’improvvisa voce stridula alle spalle. Un gruppo di giovinastri si trovava a poca distanza da lei e la osservava con disprezzo. Solo uno di loro, il più grosso e che lei riconobbe come Gaetano, la guardava con lascivia, mettendole addosso un fastidioso senso di nausea. Il prepotente figlio del Potestà di Triora, grasso e sporco come un montone, fece un paio di passi verso di lei, un sorriso malevolo sul viso pieno di pustole.
«Che fai, strega, ti vuoi gettare di sotto?» domandò.
«Non morirebbe, le streghe volano, si sa» incalzò l’amico smilzo da dietro la sua spalla, guardingo.
«Andatevene» mormorò Deanira.
«Perché, sennò cosa ci farai? Ci lancerai un sortilegio, strega?»
«Puttana del diavolo!» gridò un altro, lanciandole all’improvviso contro una pietra che aveva raccolto da terra. Deanira si voltò di scatto e prima che il sasso la raggiungesse, con un secco gesto della mano lo deviò, facendolo esplodere in mille frammenti prima di precipitare a terra. I suoi occhi verdi ora fiammeggiavamo d’ira: come osavano quei mocciosi puzzolenti di piscio apostrofarla con simili epiteti?
«Avete visto cosa ha fatto? Avete visto?» gridò Gaetano, indicandola col dito indice mentre lei si alzava in piedi di colpo e muoveva un passo verso di loro, minacciosa. Non arrivò al secondo perché i tre fuggirono a gambe levate come conigli piscioni, scomparendo tra le ginestre in un brusio esagitato.
«Non ritornate mai più qui o ve la vedrete con me!» gridò loro appresso intanto che sparivano nella boscaglia, pur sapendo di aver commesso un’imprudenza. La madre le aveva sempre raccomandato di non abusare di quei doni che possedeva, sin dalla più tenera età…Era vero, lei era una creatura speciale. Aveva all’incirca sei anni quando aveva iniziato a manifestare strane doti che andavano al di là della conoscenza del medio intelletto del periodo e considerando che si trovavano in un paese popolato per lo più da contadini e rozzi bifolchi, le conclusioni erano state sin troppo affrettate. La figlia di Lucia la lattaia era una strega, una creatura maledetta da Dio. Era da tenere alla larga e della quale avere grande timore. Lei aveva il potere di spostare gli oggetti con la forza della mente e con una semplicità sorprendente. Se poi il suo livello di ansia o ira aumentavano all’improvviso, l’energia esplodeva impazzita rischiando di diventare davvero pericolosa. In ogni caso, non era il solo dono che portasse dentro sé poiché qualcosa di molto più grande e profondo avvolgeva il suo essere, la sua essenza. Le sue mani sprigionavano un benefico calore che aveva il potere di guarire quasi ogni malanno o ferita. Nonostante la diffidenza di molti villici che guardavano a lei con spregio e si segnavano al suo passaggio, altrettanti erano quelli che si recavano a farle visita, specialmente dopo il crepuscolo, quando le ombre della notte si allungavano ad avvolgere le case e il paese si immergeva nell’oscurità. Allora Deanira li accoglieva nella sua modesta dimora, offrendo loro una tisana corroborante e imponendo le mani sulle loro ferite e gotte, calli e dolori, guarendoli in pochi istanti. Non aveva mai chiesto denaro in cambio dei suoi favori, ma gli abitanti di Triora che le erano fedeli, la ripagavano con carne secca, quando ve ne era disponibilità, verdure fresche e uova. Così, lei e sua madre avevano campato sino a pochi mesi addietro, almeno fin quando una grave carestia aveva colpito la zona distruggendo tutti i raccolti, gettando la popolazione nella disperazione e nella fame più nera. Era l’estate del 1587: la sventura non aveva risparmiato questo piccolo angolo di terra e la caccia ai presunti responsabili stava per scatenarsi.

CAPITOLO II

Sul finire dell’estate dell’anno 1587, la popolazione di Triora si trovò sull’orlo del tracollo poiché il raccolto, di solito prospero e abbondante, da ormai due anni era stranamente diminuito sino a quasi scomparire, preda di attacchi di locuste e terra improvvisamente fattasi arida, poco feconda. La carestia aveva causato fame, infiammando gli animi dei contadini che non trovando sostentamento alcuno, avevano iniziato a cercare la causa di tutto questo scempio, anche se poteva sembrar assurda, per altre strade.
Quel maledetto pomeriggio dei primi di settembre, il Consiglio di Triora si riunì nella piazza principale del paese e proprio in quell’occasione divamparono lo scontento e l’ira recondita. Un paio di grasse comari, mogli di personaggi di “spicco” della piccola comunità, come il Potestà, osarono fare il nome di alcune donne della Cabotina, il quartiere povero fuori le mura, adducendo a strane riunioni notturne nei boschi e a presunti comportamenti non rispondenti alla volontà di Dio. La plebaglia iniziò a mormorare sommessamente sinché i bisbigli divenirono urla e la parola che si iniziò a ripetere alla nausea fu “strega”. A nulla valsero i tentativi dei pochi che ragionavano usando un poco d’intelletto per cercare dissuadere la folla inferocita; la colpa della carestia era da attribuire alle bagiue, quelle donne che ballavano la notte completamente nude attorno ai falò nel bosco, rapivano bambini per mangiarseli vivi, usare il loro grasso per volare e fornicavano con Satana.
Deanira era appostata seminascosta in un vicolo angusto e puzzolente che si affacciava sulla piazza e ascoltava orripilata gli insulti, gli improperi e le accuse che venivano lanciati a persone che conosceva benissimo, lei compresa, che peggio delle altre era stata apostrofata con epiteti irripetibili. Le mani artigliavano il muro e lo sguardo si soffermava incredulo sugli accusatori.
«È colpa di Deanira Cavalleri!» gridò Eufemia Torti, la moglie del Potestà. «Quella donnaccia, l’ho vista sapete? Era nuda nel bosco e vaneggiava a voce alta, parlava con qualcuno ch’io non vidi affatto! Uno spirito errante o peggio, un demone. Codesto doveva essere poiché era invisibile ai miei occhi! Sapete bene che non mento mai e ciò che dico anche questa volta corrisponde a verità! Quella povera demente di Lucia la lattaia la trovò nel bosco, partorita da qualche strega per arrecare danno alla nostra comunità. Tutti sono a conoscenza dei suoi poteri e dei malefici che compie. Mio figlio Gaetano mi ha riferito di certi fatti che in cuor mio non posso ripetere dinnanzi a voi per timore di Dio, ma che farebbero rizzare i capelli in testa a chiunque! La sua bellezza è opera del demonio e tutti voi uomini, poveri stolti, ne siete soggiogati! Oh, vedo bene con qual cupidigia la ammirate quando passa per il paese: lei vi ammalierà e vi condurrà alla follia!» Era paonazza in volto, la pappagorgia tremolante. In molti annuivano con la testa.
Questo è davvero troppo!, pensò Deanira, uscendo dal vicolo a passo di soldato mentre sguardi esterrefatti la guardavano e la folla si apriva al suo incedere, intimorita. Deanira era bella, anzi, asserire bella era fin troppo poco per descrivere il suo aspetto. Flessuosa e morbida, possedeva occhi color smeraldo e capelli ramati, lunghi e corposi, che tanto facevano parlare di lei. Il corpo, avvolto nella consunta veste da contadina, si muoveva con eleganza innata, come se quel mondo non le appartenesse affatto, come se non ne avesse mai fatto parte. Il mento sollevato e la pelle di porcellana appena spruzzata di efelidi, si diresse a pugni chiusi lungo i fianchi in direzione del palco dove si trovavano il Potestà e pochi accoliti, tutti uomini. Non li temeva, e peggio ancora, mal sopportava le calunnie. Giunta sotto l’impalcatura, li guardò con aria sprezzante intanto che il prete si faceva nuovamente il segno della croce alla sua presenza. Deanira lo guardò e scosse lentamente il capo in segno di disapprovazione, senza staccargli gli occhi di dosso.
«Come potete calunniare delle povere donne senza disporre di alcune prove? Streghe? E chi sarebbero codeste streghe? Donne che vivono di stenti e si procurano qualche cosa da mangiare preparando impiastri e decotti contro i malanni, beveraggi dei quali tutti voi» disse indicando la folla col dito, «usufruite! Siete dei maldicenti! La gente di Cabotina è innocua, viviamo in pace e non abbiamo mai arrecato disturbo a nessuno. La carestia che ci ha colpito è solo frutto di un susseguirsi di eventi disgraziati: la siccità e gli insetti hanno arrecato grave danno ai nostri raccolti ma non certo delle donne innocenti!»
La calca di gente che presenziava nella piazza rimase in silenzio. Nessuno osava guardare dritto negli occhi la bellissima giovane che, lo sguardo infuriato, sentiva dirompere dentro sé la violenza dei suoi poteri, cercando di controllarsi mentre le mani iniziavano a tremare e un calore vibrante come il fuoco la pervadeva.

«Donnaccia! Strega!» eruppe velenosa la moglie del Potestà. «Mio figlio giura che cerchi sempre di adescarlo, come fai d’altronde con tutti gli uomini del paese. Ma non metterai i tuoi luridi artigli sul mio ragazzo, non lo insozzerai toccandolo. E voi, pusillanimi, non avete nemmeno il coraggio di parlare?» abbaiò verso il palco dove il marito la guardava, un misto di timore e riverenza sul volto ossuto.
«È una menzogna, donna Eufemia, e voi più di tutti lo sapete bene! Vostro figlio non perde occasione per offendermi e più volte ha tentato di allungare le sue mani su di me insieme ai suoi compari di scorribande. Non sono la sola ad aver subito le molestie di vostro figlio. Tutto il paese conosce la sua vena violenta e la prepotenza con la quale s’impone sulla gente inerme.»
«Certamente perché tu lo hai provocato, in fondo è un uomo» rispose la matrona, guardandosi attorno per cercare consensi tra i volti dei paesani. «Il mio Gaetano è un ragazzo d’onore, sei tu che lo vuoi nel tuo letto per qualche sordido maneggio e visto che non ti dà adito, allora lo calunni, diffamandolo con storie che non esistono. Io pretendo giustizia su questa donna!»
Deanira conosceva, al contrario, molto bene la reputazione di Gaetano Torti. Era uno schifoso che profittava della posizione del padre per spadroneggiare nella zona. Aveva notato più volte gli sguardi lascivi che lui le rivolgeva quando attraversava gli acciottolati del paese. Insieme ai suoi amici aveva tentato anche un paio di volte di sbarrarle la strada per importunarla ma un solo suo sguardo era bastato a tenerli tutti indietro. La temevano, sapevano dei suoi poteri e la sera prima gliene aveva dato un’ottima dimostrazione. Avrebbe potuto spezzare un braccio o molto peggio a quell’arrogante ammasso di lardo, usando la sola forza del pensiero, ma in quel momento aveva ben altro a cui dedicarsi. Deanira era a conoscenza di diverse violenze commesse dal giovane a danno delle fanciulle della Cabotina. La povera Caterina Marcenaro era una di quelle. Era stata stuprata da quel maledetto e nessuno aveva alzato un dito per aiutarla perché lei era solo una randagia, un’orfana senza un tetto dove stare, quindi senza diritto. Ma era bella, molto bella, così quel porco le aveva messo gli occhi addosso sin che non era riuscito nel suo intento nefando. Caterina aveva solo quindici anni ed era rimasta scioccata dall’accaduto, chiudendosi in un muto silenzio. Come inebetita, camminava alla deriva attorno la zona di Triora parlando da sola e cantilenando, tanto da guadagnarsi ben presto il titolo di “scema del villaggio”. Quando Deanira e altre donne si erano recate per chiedere giustizia al Potestà, avevano ricevuto in cambio una risata di scherno.
«Chi vorrebbe mai quella povera idiota? Certo non mio figlio. Ora andatevene, prima che decida di punirvi per le vostre infamie» aveva loro risposto Torti, tirandosi indietro dalle proprie responsabilità pur di difendere quel depravato del suo erede. Da quel giorno, Caterina era controllata a vista e non veniva mai lasciata sola; le ferite che portava nella mente, oltre che nel corpo, non potevano essere curate nemmeno da Deanira. Chissà se si sarebbe mai ripresa, si chiese la giovane, prima di ritornare con la mente a quella gente che la circondava.
«Non starò qui ad ascoltare le vostre accuse prive di fondamento. Noi abitanti di Cabotina siamo poveri e forse indegni di rivolgere la parola a molti di voi, ma una cosa è certa: non siamo responsabili degli accadimenti di questa gravosa estate. Vi prego di cercare altrove i colpevoli, se mai ce ne fossero, oltre alla natura» sentenziò Deanira, voltandosi subito dopo e allontanandosi sulla stradina che portava al varco murario, mentre un brusio concitato si sollevava dietro le sue spalle.
Scese lungo il crinale, attraversando il ponte in pietra sopra il ruscello e arrestandosi poco dopo nei pressi del bivio che conduceva al villaggio. Esso era incrociato dalla strada che conduceva al bosco. Deanira aveva bisogno di riordinare le idee, calmarsi e raccogliere qualche erba medicinale, poiché le scorte a casa andavano esaurendosi. Era ancora chiaro seppur fosse quasi ora di cena, così si diresse senza esitazioni verso la foresta a passo lesto. Voleva rientrare prima che facesse buio e rinchiudersi nella pace della sua casa. Bagiua…Ma come era venuto in mente a quei villani di attribuire la colpa di una carestia a quattro povere disperate? Non sapevano davvero dove attaccarsi, stolti… Lei, Caterina, Marta e Rachele erano giovani donne che desideravano solamente vivere in pace. Probabilmente non si sarebbero mai sposate e sarebbero invecchiate assieme. Era anche vero che qualche volta si erano recate nel bosco e avevano ballato attorno alla Fonte Boschiva, ma era solo un gioco privo di secondi fini, tantomeno equivoco. E quando quella pettegola maldicente di Eufemia Torti l’aveva scorta nuda nel bosco era solo perché stava entrando nel ruscello per lavarsi, a differenza sua e dei familiari che non conoscevano l’uso dell’acqua e del sapone. Se mai ci fossero state delle bagiue, erano da ricercare all’interno del paese tra le rappresentanti più in vista delle famiglie di Triora, non certo a Cabotina…
Deanira fu distratta all’improvviso da un’ombra che comparve sul sentiero boschivo. Lo

sguardo della giovane mise a fuoco una sagoma enorme, nera come la notte che si stagliava di fronte a lei, un cavaliere possente ma che non riuscì a inquadrare chiaramente perché arretrò di colpo atterrita, lanciando in avanti le mani e scaricando un campo di energia che scaraventò l’uomo lontano da lei. Deanira rimase per un attimo attonita di fronte alla scena, talmente priva di forze che si accasciò sulle ginocchia, incapaci di sorreggerla come tutte le volte che esauriva di colpo tutta la sua forza. Pochi attimi dopo, si rese conto di ciò che aveva appena fatto, vedendo che il cavaliere non dava segno di vita. Mio Dio Onnipotente, l’ho ucciso…pensò terrorizzata e con la voglia di fuggire a gambe levate. Ma come sempre, la ragione prevalse sul suo istinto e lei si avvicinò cauta al corpo esanime a terra. Si sentiva attanagliare dal terrore ma doveva vedere con i suoi occhi quell’uomo che non le aveva fatto nulla e che lei aveva abbattuto con la sola forza della mente. Era disteso sulla schiena ed era…bellissimo…pensò. Non aveva mai visto un uomo così bello in vita sua. Pareva un dio, indossava abiti ricercati e aveva gambe lunghe, muscolose sotto le brache. Lunghi capelli lisci color ebano erano sparsi attorno al suo volto e per un attimo Deanira fu tentata di sfiorarlo, prima di accorgersi della vistosa ferita che aveva alla gamba. Doveva essersi tagliato con il ramo di un albero quando era precipitato a terra. Santa Maria, era tutta colpa sua e ora doveva rimediare…Poggiò entrambe le mani sulla ferita e chiuse gli occhi, lasciando che la poca energia rimastale penetrasse dentro lui.
«Non funzionerà con me.»
Le parole, pronunciate con un ringhio sordo, la fecero sussultare e balzare all’indietro, tanto che cadde con un tonfo sul terreno umido. L’uomo aveva gli occhi aperti e la stava guardando da sotto le lunghe ciglia scure. Ciò che la colpì fu il colore delle sue iridi: non aveva mai visto una sfumatura così in natura, perlomeno non tra gli umani. Erano sorprendentemente…gialli, quelli di un predatore notturno, di un animale. E la sua lingua non era del posto anche se la parlava perfettamente. Era francese.
«Che cosa avete detto, messere?» domandò Deanira, cercando di drizzarsi sulle gambe e massaggiandosi il fondoschiena dolorante.
«Che i vostri poteri non avranno alcun effetto su di me, ho bisogno di un medicamento vero» mormorò, prima di svenire di nuovo…

CAPITOLO III

La luce soffusa della candela rischiarava la piccola stanza spoglia. Un comodino e un crocifisso appeso al muro erano le uniche suppellettili presenti. Quando aprì gli occhi e mise a fuoco l’ambiente, l’uomo vide di fronte a sé la donna più affascinante che gli fosse capitato di incontrare in tutta la vita. Era china sulla sua gamba: aveva tagliato le brache con un coltello e stava applicando una medicazione sul taglio profondo della coscia sinistra. La ferita era stata detersa con pezze di cotone che ora giacevano in un mucchio sanguinolento ai piedi del letto. Al riverbero del cero, la fanciulla possedeva una cascata di ricci corposi color rame e occhi verde oltremare, grandi e profondi, laghi in cui un uomo avrebbe desiderato perdersi, rischiando di lasciarvi completamente il senno.
«Come mi avete portato qui?» mormorò, intanto che Deanira sobbalzava nuovamente alle sue parole.
«Vi divertite a spaventarmi, messere? Non mi ero accorta foste sveglio.» Gli sorrise, un poco inquieta e osservandolo di traverso con quello sguardo penetrante. «Siete svenuto nel bosco e quando mi sono avvicinata per soccorrervi, ho dovuto chiedere aiuto ad alcune amiche per trasportarvi sin qui. Siete a casa mia, alla Cabotina, fuori le mura di Triora.»
Il cavaliere si voltò e su una sedia notò una ragazza giovanissima, i lunghi capelli biondi arruffati a incorniciare un volto d’alabastro, gli occhi enormi color cobalto sgranati su di lui. Le si leggeva addosso il terrore e si teneva con le braccia le ginocchia raccolte al petto, controllando ogni suo minimo movimento.
«Lei è Caterina, un’amica» continuò la donna dai capelli di rame. «Si è offerta di tenermi compagnia mentre vi prestavo soccorso, così non ci saranno dicerie in giro, se qualcuno per caso ci avesse scorto.»
«Sembrerebbe terrorizzata.»
«In effetti è proprio così, messere, lo è. Diciamo che i suoi rapporti con i gentiluomini non sono stati…cordiali» rispose, guardandolo dritta negli occhi e provocandogli uno spasmo allo stomaco. Come vi chiamate?» incalzò, sicura.
«Balthazar Blanchard» rispose lui con quella voce rauca che a Deanira provocò inaspettati brividi. «E voi, madamigella, voi siete…»
«Deanira Cavalleri.»
Balthazar già sapeva chi si era trovato di fronte quando l’aveva scorta per un fuggevole attimo nel bosco. Non aveva fatto in tempo a proteggersi, nonostante avesse percepito la sua presenza da diversi minuti. L’intensità della sua energia era a dir poco sconvolgente: mai aveva visto sprigionarsi una forza così grande da una donna e probabilmente non aveva ancora visto nulla, ne era sicuro. Doveva scrivere subito al cardinale per comunicargli l’avvenuto contatto con l’obiettivo e portarla via da quel posto prima che l’inferno si scatenasse sulla terra…
«Che cosa avete fatto alla mia gamba, madamigella?»
«Non chiamatemi madamigella, messere, ve ne prego. Sono solo una contadina. Deanira, questo è il mio nome.»
«Allora, voi mi chiamerete Balthazar» sussurrò mentre passava lo sguardo lungo la snella figura della giovane, dal viso sino alle caviglie nude, soffermandosi poi nuovamente sul seno che tirava da sotto la tunica.
Deanira arrossì quando incontrò gli occhi color ambra dell’uomo e abbassò lo sguardo, cambiando subito discorso.
«La ferita era piuttosto profonda. L’ho ripulita con acqua e panni puliti. L’ho ricucita e ho applicato sopra un impiastro di erbe medicinali raccolte nel bosco, mescolate a grasso di maiale. Adesso dovete tenerla fasciata per almeno due giorni, poi dovrò controllarla ed eventualmente ripetere l’operazione. Dovrete rimanere a riposo, messere. Non vi consiglio di lasciare il paese a meno che la vostra destinazione non sia Triora.»
«Dove avete imparato a curare le ferite?»
«Lo faccio sin da bambina. Io sono sempre stata piuttosto abile in queste cose e trascorro le giornate nei boschi qui attorno per raccogliere erbe e radici che servono per i miei preparati. Ne ricavo unguenti, impiastri e tisane per aiutare chiunque ne abbia bisogno.»
Balthazar la studiò con attenzione. Le informazioni che aveva ricevuto su di lei erano estremamente più complesse. Non si trovava di fronte a una semplice giovane donna con la destrezza del manipolo delle erbe mediche, ma una creatura che aveva poteri potentissimi di guarigione e chissà quant’altro oltre quell’energia che riusciva a sprigionare. Pensò fosse troppo particolare per essere semplicemente umana. Chiunque conoscesse la sua vera identità, come lui, se ne poteva accorgere all’istante.
Deanira intanto stava evitando di affrontare il discorso dell’accaduto nel bosco. Non sapeva chi fosse quel gigante dall’aspetto divino e truce allo stesso tempo, ma era pervasa da un senso di quiete e sicurezza da quando l’aveva incontrato. Non si era mai sentita così in tutta la vita. Osservò Balthazar sollevarsi sui gomiti e in quell’istante Caterina balzò sulla sedia, gridando. Deanira si precipitò da lei, afferrandole con dolcezza le mani, intanto che vedeva la giovane tremare quasi fosse preda di convulsioni.
«Va tutto bene, tesoro. Il signore si sta solo sollevando per mettersi un poco più comodo» le disse, la voce calma ma ferma. «Non temere, siamo al sicuro e non permetterò che ti accada nulla.» Povera ragazza, pensò mestamente, ridotta a poco più di una larva per colpa di quel bastardo e dei suoi compari.
«Che cosa accade a quella fanciulla? Perché è così spaventata dalla mia presenza?»
Deanira alzò il viso e guardò intensamente Balthazar negli occhi. In quel preciso momento, le immagini delle violenze, dei soprusi e dello stupro di gruppo invasero la mente del cavaliere come un miasma fetido e putrescente, dandogli il voltastomaco. Impallidendo, Balthazar imprecò sommessamente.
«Maledetti vigliacchi, meritano la morte.»
Deanira sgranò gli occhi. Lei non aveva detto nulla, dalle sue labbra non era scaturita una sola parola. Come era possibile che lui avesse compreso ogni cosa?
«Caterina, puoi lasciarci soli per un attimo?» domandò gentilmente. «Mettiti vicino al focolare e controlla, per favore, che la zuppa non si attacchi al fondo. Io ti raggiungerò tra poco.»
La giovinetta si alzò e, barcollando come ubriaca, uscì dalla stanza.
Fu Balthazar a parlare per primo. «Nel bosco…so che siete stata voi a farmi volare giù dal destriero. Sono un esperto d’armi e mai nella vita mi era capitato di venire scaraventato a distanza senza nemmeno riuscire a imbracciare la spada. Vi ho vista per un attimo, sembravate animata da forza ultraterrena.»
«Vi sbagliate, messere, io…» cercò di dissimulare lei.
«Deanira…» mormorò Balthazar, sollevandosi a sedere completamente sul giaciglio, il viso a pochi centimetri dal suo. «So che siete una donna speciale, perché io sono qui per voi.»
Deanira trasalì. Che cosa significava tutto questo? Chi era quest’uomo che sembrava conoscere tutto di lei? Non riusciva ad averne paura ma non si sentiva nemmeno al sicuro. Sapeva solo che qualcosa di molto grande e pericoloso stava per scatenarsi da lì a poco. Lo avvertiva come una sensazione di formicolio alla nuca.
«Siete nel giusto, ancora una volta, Deanira» le sussurrò Balthazar.
Di nuovo! Signore onnipotente, pensò. Lui riusciva a leggerle la mente!
«Sì, io posso vedere tutto ciò che passa nella vostra testa; i vostri pensieri, le vostre emozioni, le paure e le angosce. Sono dotato di questo dono da sempre, almeno fin da quando io riesca a ricordare. Per questo, più di chiunque altro sono in grado di comprendere ciò che vi angustia: il vostro enorme potere, Deanira. Non ho mai visto sprigionare una forza devastante come la vostra e so che non è l’unico dono di cui siete dotata. In paese vi chiamano “strega”, ma sono solo un’orda di ottusi. Io so cosa siete in realtà e posso aiutarvi.»
Deanira passò le mani nervosamente sulla logora stoffa della veste che indossava, lo sguardo basso. Doveva proteggersi, ma come? Quell’uomo, quell’affascinante estraneo le metteva addosso un senso di agitazione ma anche di quiete allo stesso tempo, ma poteva fidarsi davvero di lui? Poteva riporre la sua fiducia in quel volto d’angelo armato di spada che diceva essere li per lei?

«Siete qui per me, messere? E per quale motivo, se mi è dato saperlo?»
«Deanira, non sono un grande parlatore tantomeno un diplomatico. Sono un uomo d’armi e d’onore. Mi è stato commissionato un incarico e devo portarlo a termine nel migliore dei modi. Non ci sono mezze misure per ciò che sto per rivelarvi, quindi donna, aprite bene le orecchie e ascoltatemi. Siete in grave pericolo.»
«Che dite?»
«Che dobbiamo andarcene via da qui al più presto.»
Deanira lo guardava come attraverso un sogno, probabilmente un brutto sogno. Il suo sguardo già strano, adesso brillava di luce propria, come se al suo interno divampasse un fuoco. I sensi della giovane si acuirono all’istante: l’energia era palpabile nell’aria, densa come bruma. Sentiva Balthazar percepire la sua forza e ne fu spaventata, ma lui si alzò e si avvicinò sino a porsi di fronte a lei, a pochi centimetri dal suo viso.
«Che cosa significa che sono in pericolo?» gli chiese, la voce ridotta a un filo.
«Significa che sono stato mandato qui a prendervi e condurvi al sicuro prima che i vostri poteri vengano fraintesi e si metta a repentaglio la vostra vita.»
«I miei poteri…Messere, io…»
Balthazar serrò la mascella per il dolore alla gamba e si impose di resistere. Non voleva esternare debolezza dinanzi a quella donna. La sovrastava con la sua immensa statura ma lei non si spostava di un centimetro, il mento sollevato verso di lui.
«Deanira, ascoltami» le disse, passando a un tono intimo che la scosse dai suoi pensieri. «Che tu abbia dei poteri molto particolari l’ho già appurato sulla mia pelle. Sai anche che Lucia non era la tua vera madre e non puoi avere nessun ricordo della tua infanzia se non quella trascorsa qui a Cabotina. Quando lei ti trovò eri solo una neonata e quel marchio che hai sulla gamba, la croce rovesciata, è il segno che ti contraddistingue.»
Il volto arrossato, le mani tremanti, Deanira osservava quella specie di gigante asserire cose che solo lei poteva conoscere. Oltre il prete e la sua madre adottiva, nessuno aveva mai visto quel marchio purpureo che possedeva, quello che la povera Lucia chiamava “l’errore di Satana”. Sì, perché in fin dei conti anche lei l’aveva considerata diversa e sbagliata in un qual modo. Un errore del diavolo che non era riuscito a marchiarla del tutto con il suo putridume. Deanira era cresciuta con quella consapevolezza, di essere un mostro a metà, di avere un piede poggiato nelle acque dello Stige, nella melma dove galleggiavano le anime dannate da Dio.
Balthazar si avvicinò ancora di più, gli occhi due fari fiammeggianti. Ora era talmente vicino a lei da sentirne il respiro del suo alito caldo, così inebriante.
«Che…cosa sei tu?» gli chiese Deanira in un soffio, sollevando il viso verso di lui.
«Un diverso, come te. Ma aiuto coloro che tengono indietro le forze del male perché non tutti gli individui dotati di poteri speciali come noi, sono per forza malvagi, Deanira. Io sono un cavaliere templare, faccio parte di un ordine antichissimo al servizio di Dio. I Pauperes commilitones Christi templique Salomonis, dal 1096 combattono al fianco di Cristo. Ufficialmente siamo stati soppressi venerdì 13 ottobre 1307 per ordine del re di Francia Filippo IV. Dopo averci torturati e costretti ad ammettere eresie alle quali eravamo totalmente estranei, ci arsero al rogo condannandoci a morte e dichiarando l’Ordine estinto da parte di Clemente V. Ma non riuscirono a prenderci tutti: fummo aiutati proprio da quella parte della Chiesa che credeva in noi e in ciò che facevamo. Restammo nascosti per parecchio tempo e abbandonammo il beauceant, il vessillo che ci contraddistingueva, nonché la nostra divisa crociata di rosso. Lavoriamo sotto copertura da quella volta per mantenere chiuso il portale dei dannati.»
«Ma tu, Balthazar, come puoi essere stato reclutato nell’Ordine se…» incalzò Deanira intanto che un impossibile verità si faceva subdolamente spazio nella sua mente.
«Il giorno che, dinnanzi alla cattedrale di Notre Dame a Parigi arsero vivi l’ultimo maestro templare, Jacques de Molay e Geoffrey De Charnay, precisamente il 18 marzo 1314, io ero nascosto tra la folla. Ho ancora nelle orecchie il rimbombo delle grida straziate e il puzzo di carne bruciata.»
Deanira arretrò di un passo, sgranando i grandi occhi. «Non può essere, tu dovresti…»
«Io vivo dai tempi della prima crociata in Terra Santa, ho più di mille anni e sono pressoché immortale. Sono a capo della Sacra Confraternita della Croce e sono stato incaricato da quella parte del Vaticano che si occupa della difesa delle creature di Dio, di portarti al loro cospetto.»
Balthazar le era pericolosamente vicino ed emanava un’aura così seducente da farle tremare le ginocchia. Deanira lo guardava affascinata. Profumava di limone e quei capelli sembravano essere stati rubati alla pece infernale, un liquido denso e nero che lo avvolgeva come un manto. Poteva percepire l’attrazione che si sprigionava tra di loro come una massa fluida, calda e terribilmente eccitante, mentre sentiva reagire il suo corpo per la prima volta al desiderio fisico. Balthazar allungò una mano a prendere una ciocca di quei serici capelli che scendevano sino alla vita e la rigirò tra le mani. Deanira tremava, incapace di sussurrare una parola. Lui era un immortale, una creatura ultraterrena ed era l’uomo più bello che avesse mai visto. Un dolore sordo si era impadronito della sua anima, del suo ventre e il bustino del consunto abito sembrava tirare ancora di più.
Balthazar le infilò entrambe le mani nei capelli, sulla nuca, attirandola a sé dolcemente, contro il suo corpo massiccio. Perdio, pensò l’uomo, più la guardo e più rischio di perdermi in lei. Dopo anni, decenni trascorsi a combattere per la difesa del bene, non aveva avuto molto tempo da dedicare al piacere personale, alla vicinanza di una donna. Ma adesso, dinanzi a lei vacillava inesorabilmente. Lei era bella, intelligente e indomita per passare inosservata agli occhi di qualsiasi uomo, tantomeno a lui. La bocca carnosa e tumida era socchiusa e gli occhi sembravano immense pozze di giada. Sentì che Deanira cercava di costruire una barriera di pietre mentali per non farlo penetrare nella sua testa. Non voleva che sapesse ciò che pensava di lui, che lo riteneva bellissimo e che il solo guardarlo in viso le provocava uno strano frullio allo stomaco e la faceva vergognare di sé stessa. Lui sapeva che non era mai stata avvicinata da un uomo che non avesse intenzioni dignitose, come quel porco di Torti ed i suoi compari. Ma lui, adesso, la guardava con sguardo diverso, indugiava sul suo viso con quegli occhi così speciali e profondi.

CAPITOLO IV

Tutto accade nella frazione di un istante e Deanira non tentò nemmeno di fermarlo. Balthazar la strinse tra le braccia in un’atmosfera carica di tensione, mentre le loro energie si scontravano intrecciandosi e fondendosi assieme. Deanira gli poggiò le mani sul torace, trasmettendogli un calore dirompente che non fece altro che aumentare la sua già crescente eccitazione sessuale. Lui seppellì il volto tra i suoi capelli di rame, respirandone il delicato profumo di erba e tirandola di più verso di sé. Quando alzò la testa, la guardò con occhi da lupo, sprofondando in quei laghi e dandosi del pazzo. Lei era la sua missione ma qualcosa gli sussurrava nella mente che la cosa stava assumendo una piega differente. Non si era aspettato di trovare una ragazza così avvenente, così coraggiosa e dall’animo gentile. Deanira aveva aperto una crepa nella sua corazza e ora non sapeva se sarebbe riuscito a tirarsi indietro. Era chino su di lei e, prendendole il viso tra le mani, finalmente la baciò. Una scarica improvvisa si dilagò attraverso il corpo di Deanira. Mai nella vita le era successa una cosa così sconvolgente. Le labbra di Balthazar la sfioravano delicate guardandola negli occhi e quando lui approfondì il contatto, invadendole la bocca con la lingua, lei dovette aggrapparsi a quel collo possente, circondandolo con le braccia. Con inaspettata meraviglia, lei scoprì che un bacio non era solo una semplice pressione tra due bocche come aveva visto fare molte tra un uomo e una donna: la lingua di lui si muoveva con grazia intrecciandosi alla sua, in una danza erotica che risvegliò in lei qualcosa di primordiale. Balthazar approfondì l’attacco istintivo, sollevandola letteralmente tra le sue braccia e diventando quasi violento. Ma Deanira non avvertì che una sorta di stordimento sensuale che la costrinse ad avvinghiarsi a lui sempre più, a chiedere qualcosa di sconosciuto e così improvvisamente necessario. Ma lui si staccò da lei, seppur con riluttanza, sciogliendo quel contatto intimo e passionale che si era instaurato tra loro.
«Se non mi fermo, domani ci pentiremo di quello che sarà accaduto» mormorò, il viso distorto. Deanira lo guardò, confusa dalle sue stesse reazioni e scosse la testa, facendo danzare i ricci ribelli.
«Dobbiamo prepararci adesso. Lasceremo Triora stanotte stessa» aggiunse, ritornando pienamente padrone delle proprie facoltà mentali. Dio, pensò, l’avrebbe presa anche sul pavimento, per terra davanti al camino acceso. Mai gli era capitato di rischiare di perdere la ragione durante una missione. Quella ragazzina metteva a dura prova la sua resistenza.
«Non scapperò come una codarda.»
«Allora proprio non vuoi capire! Sta per scatenarsi una guerra. Una persecuzione indetta da rappresentanti dello stesso Vaticano. L’Inquisizione prenderà in custodia tutte le donne sospettate di comportamenti o qualunque cosa possa far pensare che siano streghe. Le interrogheranno con la tortura costringendole ad ammettere la loro relazione col maligno e le bruceranno sul rogo! Deanira, io ho il preciso compito di condurti al sicuro.»
«Al sicuro? A Roma, dove è stato ordito questo piano assurdo, dove le stesse persone di cui parli si stanno adoperando per distruggere delle vite innocenti.»
«Non sono tutte innocenti. Il maligno esiste, io l’ho visto, l’ho combattuto e purtroppo solo io e pochi altri abbiamo il potere di riconoscerlo. Gli Inquisitori faranno una strage.»

«Non puoi permettere che accada una cosa del genere!» gli gridò in viso.
«Non posso impedirlo, ma posso salvare te.»
«Non m’importa, io resterò.»
Perdiana, pensò Balthazar, la ragazza era cocciuta come un mulo e avrebbe dovuto ricorrere alle maniere forti. Gli occhi, fino a quel momento di un color ambra inteso, assunsero una sfumatura rossastra, diventando presto come tizzoni infuocati.
Deanira arretrò. «Che…cosa fai?»
«Ti porto via da qui!» rispose, un ringhio basso che gli proveniva dal centro del torace.
«Che cosa sei?»
«Una creatura di mezzo, Deanira. Mezzo uomo e mezzo demone! Io sono uno dei figli di Bael.»
Bael! Un demone! Balthazar era un demone. L’energia irradiò dal suo corpo facendo tremare i muri della casa: alzò le mani per colpirlo ma lui all’improvviso sparì dalla sua visuale. Dov’è andato? Si era mosso con una velocità tale che nemmeno l’aveva scorto.
«Sono proprio dietro di te, cocciuta femmina» le sussurrò vicino all’orecchio, facendola sobbalzare. La porta si aprì proprio mentre lui le immobilizzava i polsi: nel trambusto non si erano resi conto di ciò che stava loro accadendo intorno. Gli occhi di Balthazar ritornarono immediatamente della sfumatura consueta mentre si voltava a guardare gli uomini che erano appena entrati nella stanza.
«Bene, mio prode cacciatore» disse una vocetta squillante e dall’accento malevolo. «Siete giunto proprio in tempo per aiutarci a catturare questa creatura dannata.»
Per tutti i demoni dell’inferno, sono già qui. Il cardinale mi aveva riferito che non si sarebbero mossi prima di un mese, invece hanno anticipato la loro opera per metterci in difficoltà, maledizione. Balthazar teneva salda Deanira per le braccia. Deanira, ora ascoltami, te ne prego, le parlò mentalmente, certo che lei potesse sentirlo. Questi sono gli Inquisitori di cui ti parlavo poc’anzi. Fa esattamente ciò che ti dico e stammi molto, molto vicino se ci tieni a vedere l’alba di domani.
La sentì tremare contro il suo torace.
«Messere, posso sapere il vostro nome?» gli chiese Balthazar.
«Sono il facente veci del vicario, mi chiamo Gioacchino Passalacqua. Sono stato inviato sin qui da Genova per precedere l’arrivo delle autorità inquisitorie, in seguito al ricevimento di diverse lettere di denuncia da parte del potestà di questo paese. Da diverso tempo le condizioni di Triora sono degenerate in modo alquanto strano e nessuno sembra potersi dare una spiegazione plausibile agli accadimenti. Non fosse che la moglie di Gaetano Torti, donna dalle virtù inconfutabili e provate, abbia suggerito la presenza di alcune donne che operano in questa zona strani riti e fatture che avrebbero condotto alla rovina del paese. Donne che secondo lei detengono un legame con il maligno e delle quali "lei", disse indicando Deanira con un dito accusatore, è la guida spirituale!»
«Che idiozie andate cianciando?» gli vomitò addosso Deanira, prima che Balthazar prendesse parola. Il prete la fissò con astio, repulsione e una strana luce negli occhi. Reproba.
«Ditemi, padre, avete prove inconfutabili della colpevolezza di queste presunte…streghe, posso dunque in tal modo apostrofarle?»
Il prelato alzò il mento sfuggente e con i piccoli occhietti neri squadrò Deanira dalla testa ai piedi. Balthazar poteva sentire tutto ciò che gli passava per la testa.
Appena questa puttana giungerà alla badia di Sant’Andrea le farò vedere io chi sono…Ci sarà da divertirsi con una bellezza come lei e mi divertirò a possederla tra quelle cosce ripetutamente mentre sarà legata. «Sì, le prove ci sono. E io sono qui per eseguire il volere di Dio.»
Gli occhi di Balthazar si strinsero sino a divenire due fessure: doveva tenere sotto controllo i suoi poteri perché in quel momento aveva voglia di prendere quell’omuncolo per il collo e farlo volare fuori dalla finestra. Gli parve persino che lui avesse quasi capito le sue intenzioni, poiché indietreggiò di un passo, mettendosi di fianco alle tre guardie che lo accompagnavano. Fuori la porta, una terrorizzata Caterina ritornata sulla sua sedia, dondolava meccanicamente cantilenando una nenia inquietante. Il prete si voltò verso di lei, guardandola con ribrezzo.
«Che fa quella donna? Cosa sta vaneggiando? E’ forse una fattura quella che sta lanciando?»
«No!» gridò Deanira. «Vi prego, è solo una giovane che ha subito violenze inaudite dal figlio di coloro che reputate cotanto brave persone.»
«È una grave accusa, la vostra. Puntare il dito contro cittadini che hanno sempre dimostrato d’essere puliti e sinceri, mentre voi…voi danzate nuda nel bosco, mi è stato riferito» sibilò, uno sguardo lascivo che a Deanira diede i brividi. «Ma non m’importa della mocciosa, non per adesso. Ciò che voglio siete voi, Deanira Cavalleri, pertanto in nome della Santa Inquisizione io ordino il vostro arresto immediato e il trasferimento all’Abbazia di Sant’Andrea a Genova, dove verrete interrogata riguardo le vostre strane abitudini.»
E sorrise, viscido.
Improvvisamente, Balthazar, rimasto immobile e in silenzio sino a quel momento, sentì l’onda dell’energia di Deanira farsi spazio nella stanza. La giovane stava di fianco a lui, gli occhi puntati su Passalacqua, le braccia lungo il corpo irrigidite, le mani chiuse a pugno. Un soldato fece per avvicinarsi ma fu scaraventato con un’invisibile forza, sovrumana, contro la parte, ricadendo come un sacco vuoto a faccia in giù, immobile.
«Che cosa avete fatto? Bagiua! Prendetela subito!» gridò il prete con quell’insopportabile vocetta stridula, ma le due guardie non reagirono. Erano paralizzate, immobili, gli sguardi persi nel vuoto. Dietro di lui, Caterina, la schiena appoggiata al muro, gli occhi rovesciati rivelando solo il bianco delle sclere, continuava la sua nenia, a voce più alta…
Per la barba del profeta, anche la ragazzina possiede poteri soprannaturali, pensò Balthazar. Ora poteva sentire anche il suo fluido scorrergli addosso come acqua tiepida.
Deanira la fissava sbigottita. «Dio, non sapevo che anche lei…»
«Questo posto ha qualcosa di magico che apre il portale del limite soprannaturale. È come se il confine tra ciò che è umano e ciò che non lo è fosse attenuato. Chiunque possieda poteri che vanno oltre il limite, qui a Triora rivela la sua vera natura. La foresta è il passaggio e la Fonte Boschiva il portale d’accesso. Dobbiamo andarcene, Deanira, ma non posso portare Caterina con noi, ho bisogno di rinforzi poiché lei non era prevista.»
«Non lascerò Caterina alla mercé di questi uomini, non di nuovo» rispose sicura, gli occhi che fiammeggiavano d’ira.
Balthazar chiuse gli occhi intanto che sembrava concentrarsi su qualcosa. Una nube scura iniziò a materializzarsi nella stanza, invadendola quasi del tutto: Deanira osservò il pavimento, sembrava stesse liquefandosi in una pozza oscura mentre una mano seguita da un braccio e da un corpo ripiegato su sé stesso si faceva strada dal profondo dell’abisso. Un uomo…no, non poteva essere umano, pensò subito dopo, stava uscendo dal varco che si stava lentamente richiudendo sotto di sé, dissipando la bruma. Alto almeno come Balthazar, i capelli biondi lunghi oltre la schiena e bello in maniera non certo normale, la fissava con sguardo seducente.
«Mi hai chiamato, fratello?» chiese rivelando una voce rauca, rivolto al cavaliere.
«Valefar, ho bisogno del tuo aiuto. Devi portare al sicuro la ragazza bionda, prima che qui suonino le trombe dell’Inferno!»
Colui che Deanira inquadrò come un demone, si voltò, tediato, scoccando una sfuggevole occhiata a quel fagotto di stracci riverso nuovamente sulla sedia. Inarcò un sopracciglio, perentorio, osservando le due guardie inebetite e il prete schiacciato contro la parete. Una pozza di liquido giaceva ai piedi della tonaca. Era terrorizzato da ciò che appena aveva visto e mormorava parole sconnesse, lo sguardo vitreo.
«Abominio…creature di Satana, Deus damnati, precipio vobis ut redeamus ad inferos!» pronunciava con voce incrinata dall'orrore, sollevando un Crocifisso verso di loro.
«Umani…» mormorò Valefar, la voce schifata. «Ti fai sempre fregare, Balthazar.» A velocità sorprendente si parò davanti al prete, strappandogli di mano la croce e conficcandogliela nella testa, sfondandogli il cranio. L’uomo si accasciò sul pavimento, una pozza di sangue scura che si allargava ai suoi piedi. Quando si voltò, si leccò il sangue dalle dita, sorridendo inquietante verso Deanira, che credette per un attimo di svenire mentre stranamente, Caterina si era tranquillizzata. Ora la giovane bionda osservava Valefar quasi incuriosita, i profondi occhi blu incollati alla sua figura maestosa. Appariva come ripresa dalla catalessi nella quale era sprofondata da tempo. Era vigile, attenta. E bellissima.
«Spiegami perché, Balthazar, ti cacci sempre in questi guai di lotte tra bene e male, pur sapendo che siamo parte della stessa guerra e che perseguiamo i medesimi fini.»
«Non ho bisogno di prediche in questo momento, ma di aiuto, fratello. Non posso smaterializzarmi con due ospiti e la ragazzina è in serio pericolo. Ha poteri forti che ancora non si rende conto di possedere.»
Valefar guardò Deanira, che lo osservava, ancora sbigottita. Quella cosa, pensò, è spietata, un assassino senza ritegno alcuno…Pensò, mentre il demone le sorrideva sfrontato.
«Mmmm…sento l’attrazione tra voi due. Scorre come miele caldo tra te e la creatura di mezzo. Deanira, se non sbaglio...» E sorrise, mefistofelico.
«Penserò io a spiegarle tutto. Tu, adesso, occupati di Caterina.»
Valefar sbuffò, seccato. Detestava gli umani, così fragili, semplicemente idioti.
«E va bene fratellino, la porto via. Ma mi devi un favore.»
«Sapevo l’avresti detto» mormorò, alzando gli occhi al cielo mentre l’altro si apriva in un sorriso che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi donna sulla terra. Si avvicinò lentamente a Caterina, che continuava a fissarlo, quasi ipnotizzata.
«Non le farà del male, vero?»
«No, nel modo più assoluto.»
«Ma è un…»
«Demone, Valefar è un duca degli inferi e comanda dieci Legioni Infernali. Un purosangue.»
Valefar squadrò la ragazzina che aveva di fronte, sondando nei meandri della sua mente. Aveva subito violenze da un gruppo di giovani umani pervertiti ed era sconvolta dall’orrore e dalla paura. Il demone inclinò la testa da un lato, lasciando ricadere la massa serica dei suoi capelli chiari e le sollevò il viso con due dita mentre occhi color del mare profondo, enormi e tristi si fissavano nei suoi di giaietto. Era dannatamente bella. Una mezzosangue figlia di un demone, interessante, pensò, intanto che la sollevava tra le sue braccia come una piuma. Si sarebbe aspettato una reazione di disgusto invece il contatto gli provocò un brivido caldo al bassoventre mentre lei gli allacciava le braccia al collo e poggiava la testa nell’incavo della sua spalla.
«Chi sei?» gli chiese, la voce un flebile soffio.
«Uno che sta facendo un favore a suo fratello, nulla più» rispose, seccato dalle sue reazioni a quell’esile corpo. Era abituato a donne spregiudicate, vestali consenzienti e dee di lussuria: che ci stava a fare là, con una ragazzina mezza demone tra le braccia? E perché lei gli provocava quella strana sensazione addosso? Ripensò ai volti dei suoi aguzzini, quelli che aveva scorto nella sua testa. Un impeto improvviso di furia lo travolse, una rabbia senza freni, tipica del suo carattere. Non seppe darsi una spiegazione, ma le immagini che aveva visto avevano tirato fuori il peggio di lui. I tre, ormai, erano scolpiti a fuoco nella sua testa e quando Valefar puntava qualcuno o qualcosa, nulla e nessuno osava distoglierlo dalle sue intenzioni, di qualunque tipo fossero. I tre erano già carne putrida e ci avrebbe pensato subito dopo aver messo al sicuro Caterina.
Il varco nel pavimento si riaprì con un improvviso ondeggiare dell’aria, caldo e denso. Il demone sprofondò lentamente nella melma oscura con Caterina tra le braccia mentre Deanira, preoccupata, assisteva alla scena. Quando il portale si richiuse sotto i loro piedi, Balthazar si voltò verso di lei.
«Dobbiamo andare, ora.»
«Ma… dove, dove andremo?» chiese la giovane.
«Posso trasportarti lontano da qui, dove incontreremo la persona che mi ha mandato da te.»
«Balthazar, io…» Ma non c’erano parole in quel momento, le loro anime stavano bruciando e lui si stupì piacevolmente dell’ondata di desiderio che lo travolgeva quando lei gli stava vicino. La sua anima la reclamava, il suo corpo la bramava e non sapeva per quanto avrebbe potuto resistere. Deanira era come essenza di vita per lui e quando le prese il volto tra le mani, lei socchiuse gli occhi, attendendo che lui la saggiasse nuovamente. Invece si limitò a posarle dolcemente le labbra sulla nuca, lasciandola interdetta.
«Dobbiamo andare ora, non abbiamo tempo per il resto ma ti prometto che presto noi due saremo molto intimi» le mormorò tra i capelli con voce suadente.

CAPITOLO V

Deanira non sapeva se ce l’avrebbe fatta, troppe cose erano accadute quel giorno. La sua vita, già non priva di difficoltà, era stata totalmente sconvolta dall’arrivo di Balthazar, dell’Inquisizione e di Valefar. Cominciava a chiedersi che cosa fosse lei: forse un mostro di una particolar specie? Osservò di sottecchi Balthazar mentre recuperava i suoi vestiti. Le due guardie erano ancora lì, imbambolate. Si chiese se sarebbero restate per sempre così e si chiese anche quali poteri possedesse Caterina per avrele ridotte in quello stato catatonico.
«No, se tu non vorrai» esclamò Balthazar all'iprovviso. Continuava a leggerle la mente. «Per come la penso io, sarebbe meglio eliminarle, ma posso anche fare in modo che non ricordino più nulla, nemmeno il motivo per il quale si erano recate qui. Non sapranno più chi siamo e non potranno descriverci a nessuno.»
«Va bene la seconda» rispose Deanira. Il cadavere del sacerdote, afflosciato in un angolo della stanza come un sacco vuoto, la fissava con occhi vitrei, spenti di qualunque barlume. La pozza di sangue si era annerita e ora emanava un odore acre, peggiorato dal calore del fuoco che ardeva nella stanza. La morte non l’aveva mai impressionata: aveva visto trapassare molta gente, uomini, donne e bambini senza poter fare nulla per aiutare, o perlomeno non ci aveva mai provato. Resuscitare i morti era contro natura e non ci avrebbe provato a meno che non costretta. Ma l’assassinio di Valefar l’aveva impressionata. Dalla testa del facente veci del vicario spuntava la croce, il segno benedetto che l’aveva ucciso sul colpo, infertogli dal demone. Il crocifisso non lo aveva bruciato né gli aveva dato il minimo fastidio. Immaginava a quel punto che probabilmente nemmeno l’acqua benedetta gli avrebbe causato problemi. Chissà come stava Caterina…
Balthazar si avvicinò alle due guardie che parevano di sale e toccò con la mano la loro fronte per qualche attimo, lo sguardo di brace che si rifletteva nei loro occhi. Si afflosciarono a terra entrambi, svenuti.
«Ecco fatto. La loro memoria è stata cancellata.»
«Balthazar…»
«Non adesso, dobbiamo saltare.»
«Saltare? E dove?»
«Salteremo nella dimensione spazio-temporale per passare da un luogo all’altro.»
«Ovvero, senza cavalli?»
«Esatto.»
«Voleremo?»
«In un qual modo…sì.»
Deanira, a quell’idea si sentì eccitata come una bambina. Volare? Come i gabbiani, libera…
«Non è proprio così, mia diletta» le lesse nuovamente nel pensiero.
«Che significa?»
«Ora vedrai. Stringiti a me e non mollarmi nemmeno per sogno.»
«E’ pericoloso?»
«Se mi lascerai, sì.»
Deanira obbedì. Si strinse aderendo col suo corpo a quello del mezzo demone. Balthazar la afferrò in una morsa di ferro mentre la sua energia si espandeva e avvolgeva entrambi i corpi in un’esplosione di luce. Un’improvvisa costrizione al torace la schiacciò, come fosse imprigionata in una trappola mortale. Non riusciva a respirare e il vuoto sembrava inghiottirla mentre precipitavano come sassi dentro un cono luminoso, accecante. Non è come volare…è tremendo, pensò Deanira intanto che il dolore le attanagliava il petto. Resisti Deanira, ci siamo quasi. La voce di Balthazar le infondeva sicurezza, la tranquillizzava nonostante la dolenza. Per tutta risposta si abbarbicò a lui ancora di più, percependo il calore divampante della sua pelle sotto i vestiti. Il cono iniziò a stringersi e poco dopo la luce si affievolì sino a scomparire del tutto. Deanira non capì dove si trovavano, era buio tutt’attorno e sentiva l’umido penetrarle nelle ossa. Aveva il fiato corto e il torace le doleva.
«È stato tremendo» gracchiò, spossata.
«Imparerai a farlo anche tu e con l'abitudine non sarà più doloroso.»
«Dove siamo?»
«In Vaticano. Lui sta arrivando.»
«Lui chi?»
«Il cardinale Evangelisti. È lui che mi ha mandato da te.»
«Come sa che siamo arrivati?»
«Lo sa. Può sentirmi, proprio come te.»
La donna voltò lo sguardo, attratta dal rumore di una porta che si apriva. Una sagoma ne riempì il vano: un uomo abbigliato con una tonaca bianca e porpora, un lume in mano, entrò nella stanza. Era alto e longilineo, leggermente ricurvo sulle spalle. I capelli bianchi illuminavano un volto sereno, solcato da rughe e gli occhi verdi, vigili e intelligenti, vagavano attraverso la stanza.
«Siete giunti, finalmente. Ero preoccupato.»
«Genova aveva già inviato gli Inquisitori e Deanira non era la sola donna dotata di poteri a Triora. Ho dovuto nascondere un’altra ragazza.»
«Chi l’ha tratta in salvo?» domandò, portandosi subito dopo una mano alla fronte. «Non dirmelo…Valefar.»
«Mio fratello era l’unico che poteva aiutarmi.»
«Già…Quanti ne ha ammazzati stavolta?»
«Solo uno, ma meritava di crepare. Era un porco che approfittava di donne inermi e bambini. Sono felice che sia stecchito, non se n’è accorto neppure, un vero peccato» ringhiò Balthazar.
«Chi era?»
«Gioacchino Passalacqua, il facente veci del vicario genovese. Ho sentito i suoi pensieri putridi. Valefar ha reso un favore alla Chiesa.»
Il cardinale sbuffò: era evidente a Deanira che il cardinale non approvava i metodi di Valefar, senza contare che un alto rappresentante della chiesa stava parlando, come nulla fosse, con un mezzo demone.
«Volete spiegarmi che cosa sta succedendo?» domandò, visibilmente contrariata. «Tutte le mie credenze religiose si stanno sgretolando miseramente guardando voi due. Tu, un mezzo demone e lui, un cardinale. State parlando come foste vecchi amici!»
«Noi siamo vecchi amici, Deanira.»
Il cardinale sorrise e fu in quel momento che lei si accorse di provare qualcosa di molto forte per Balthazar, un sentimento che stava divampando nella sua anima. Le aveva salvato la vita, l’aveva baciata senza ritegno e tratto in salvo la povera Caterina. Certo, era quasi un demonio, ma il suo cuore non era affatto nero.
«Deanira, è ora che tu sappia la verità.»
La ragazza sobbalzò a quelle parole pronunciate dal cardinale Evangelisti, uscendo dalle sue riflessioni amorose. L’alto ministro di Dio si avvicinò a lei: sembrava agitato e la guardava con attenzione.
«Deanira Cavalleri, trovata vicino a Fonte Boschiva il 16 agosto del 1571 da una giovane lattaia. Pochi attimi prima e avrebbe scorto tua madre, Laya.»
«Laya, mia madre?»
«Sì, la donna più bella che avessi mai incontrato. Lei era un angelo.»
A Deanira per un attimo girò la testa.
«Laya era un angelo, uno spirito del cielo facente parte dell’esercito divino, un intermediario tra Dio e il mondo. Era un angelo della Giustizia, una guerriera, proprio come te. Commise l’errore di innamorarsi di un umano, un cavaliere, un essere inferiore che non fu capace di tenere a freno i suoi bisogni corporei e la rovinò. Se egli l’avesse lasciata andare, forse lei si sarebbe salvata. Invece, nel suo egoismo, volle tenerla per sé, pensando che il loro amore li avrebbe salvati. Che errore commise, povero stolto! Laya fu giudicata dall’Alto tribunale dei Cieli e condannata a morte. Fu Raffaele a eseguire la sentenza e quel giorno l’umano, dopo aver pianto ogni sua lacrima e chiesto perdono a Dio, pose l' anima nelle sue mani misericordiose e diventò un suo servo. Il cavaliere templare si trasformò in un uomo di Dio e dal quel giorno non ha mai smesso di pensare a lei. Per questo decise di affidarti a Lucia. Quella povera donna era un cuore puro, buona e disinteressata e ti ha amato come una madre.»
Deanira, guardandolo negli occhi, si accorse improvvisamente di vedere dentro i propri. Non c’era bisogno di chiedere altro: ora sapeva anche chi era suo padre.
«Mi dispiace, Deanira, nessuno voleva causarti del male.» Il cardinale non stava mentendo, il suo cuore sanguinava, era triste e lei avvertiva l’affetto che provava nei suoi confronti. «Sei identica a tua madre.»
«Davvero?»
«Sì, e ne hai ereditato anche il carattere battagliero. I doni che lei ti ha lasciato, il potere di guarigione e l’energia del Cielo sono estremamente preziosi. Dovrai imparare a usarli al meglio, se vorrai aiutarci nella nostra missione.»
«La vostra…missione?»
«Ti sto domandando di unirti a noi, di diventare un membro della Confraternita della Croce.»
Deanira era stupefatta: questo era dunque. Figlia di un angelo, non strega maledetta, donna a metà con un piede nel cielo, anima pura scambiata per putridume. Guardò Balthazar, quella montagna di muscoli fatta per il peccato, che le sorrise. Diventare una guerriera. Non ci aveva mai pensato e in fin dei conti, fino a poche ore prima era stata solo una contadina disperata, chiusa in un mondo che non le apparteneva. Ora le si stava aprendo un orizzonte nuovo, un futuro incerto ma ricco di novità e …Si voltò verso il suo demone. Sì, lui era suo, ora lo sentiva sin dentro l’anima. Balthazar l’aveva stregata e fatta innamorare. Adesso il suo unico desiderio era restargli accanto: ma lui…l’avrebbe voluta? Un mezzo angelo e un mezzo demone. Deanira si concesse di sorridere.
«Credo funzionerà.» mormorò una voce alle sue spalle, facendola arrossire.
«Oh, sei uno spregiudicato! Non sta bene spiare i pensieri altrui.»
«Mi piace spiare i tuoi pensieri.»
Matteo Evangelisti li osservava, un sopracciglio inarcato e le braccia conserti al petto, tamburellando con un piede.
«Bè, cos’è questa storia?»
«Io l’amo, eminenza» proruppe lei in un soffio che il demone sentì benissimo.
«Sai chi è in realtà?»
«E’ il figlio di Bael, un demone maggiore. E io lo amo» ribatté, ancor più convinta delle parole.
«Non sarà facile.»
«Lo decideremo strada facendo, Matteo.» Questa volta era stato Balthazar a parlare, fermo alle spalle di Deanira.
Matteo Evangelisti sospirò, rassegnato.
«Vi manderò a chiamare quando Deanira dovrà iniziare l’addestramento. Ora devo andare, non posso scoprirmi per troppo tempo. Veglia su di lei, Balthazar.»
«Lo farò a costo della mia stessa vita.»
Il cardinale guardò ancora una volta la ragazza, ricordando con una fitta al cuore l’amore che l’aveva trascinato nella distruzione ma felice di rivedere sua figlia dopo sedici anni di esilio. Uscì dalla porta, richiudendola alle sue spalle; il buio li avvolse un’altra volta mentre lui la stringeva tra le braccia.
«Deanira, angelo mio.»
«Balthazar, il mio demone.»
«Una ben strana coppia» sussurrò lui prima di insinuarsi nella sua bocca, prepotente. Pensò che Deanira fosse l’essenza del piacere. La sentì stringergli le braccia intorno al collo mentre il cono di luce si riapriva dinanzi a loro.
«Dove mi stai portando?» gli mormorò a fior di labbra.
«Nel mio letto» le rispose, prima di ricominciare a baciarla e balzare attraverso il portale spazio temporale.



L'autrice
 photo liubicich_zps184035b1.png<b>Vivo in Liguria in una casa affacciata sul mare, tra gelsomini, mimose e ortensie, i miei fiori preferiti; una vita molto tranquilla, almeno nei week-end. Ho fatto un percorso di studi in lingue straniere e in seguito un diploma in infermieristica pediatrica. Amo i libri, tutti, dai grandi classici ai super moderni d’oggi. Ho una passione per i romanzi “passion” dove l’erotismo la fa da padrone, e per i paranormal; demoni e vampiri, questi affascinanti personaggi mi attraggono come un’ape sul miele!. Ascolto musica rock: Guns N’ Roses, Angra, Skid Row, Iron Maiden e Velvet Revolver sono i miei preferiti. Quando scrivo in sottofondo c’è sempre, e ripeto sempre, della musica perché fa parte di me, ogni testo mi ricorda qualcosa, un attimo particolare della mia vita, un momento speciale. Canzone preferita? “Sucker train blues” dei Velvet Revolver, ma ce ne sarebbero anche molte altre…Non guardo quasi la tv, ormai per quel che mi riguarda c’è ben poco da vedere eccetto qualche documentario o film. Sono una nottambula, soffro d’insonnia e adoro la notte, il cielo illuminato dalle stelle, il silenzio che mi circonda come un mantello. Amo anche il freddo, glaciale, nevoso, più gelo c’è meglio mi sento. Rifuggo l’estate ma la devo affrontare per amore di mia figlia che adora il mare; se potessi scapperei in Alaska a primavera e tornerei in autunno! Sono pignola e talvolta logorroica, intransigente con me stessa e col prossimo. Ho pochissimi amici che conto sulle dita di una mano, amici veri che non mi hanno mai delusa. Ho un carattere difficile, intollerante a molte cose, permaloso e troppo duro, forse dovrei ammorbidirmi un poco, ma si sa che con l’età si peggiora..!! Mio papà e mia mamma sono profughi giuliani, facenti parte dei circa 40.000 emigrati italiani che lasciarono la loro casa dopo l’avvento di Tito. Ci tengo a dire che Fiume, nell’anno in cui essi nacquero, era di appartenenza italiana, noi siamo italiani veri. Più tardi, nel 1947, la bellissima città del golfo del Quarnero è stata tolta all’Italia e annessa alla Jugoslavia. I miei genitori hanno dovuto lasciare tutto quello che possedevano scegliendo il nostro paese e ricominciare una nuova vita lontano dalla loro città natale che ancor oggi amano, seppur perduta. Sono abbonata alla rivista “La voce di Fiume” e sono orgogliosa di dichiararmi “mula fiumana”



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view post Posted on 31/5/2014, 17:50
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… la vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare …

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Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti

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Ok... questo racconto intriga parecchio!!!
Mistero, avventura, un demone (anzi due :P ) con i controfiocchi, tanto amore... e chi può resistere?!?!
Io no di certo!!!
 
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masterbook
view post Posted on 8/6/2014, 16:17




Oh mio dio!!! Me ne sono innamorata la prima volta che l'ho letto e ora ancora di più, vorrei fose un romanzo intero!!! Bellissimo, conplimenti!!!
 
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2 replies since 30/5/2014, 12:09   214 views
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