La Musa, di Anita Borriello Ed. 2014

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AnitaBlake
view post Posted on 12/8/2014, 09:30




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"Il volto di un uomo è la sua autobiografia. Il volto di una donna è la sua opera di fantasia."
Oscar Wilde

Un volto, una vocazione, l'amore di una vita nel racconto "LA MUSA" di Anita Borriello.


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Ogni giorno indossiamo una maschera, la maggior parte di noi lo fa inconsapevolmente creando una proiezione di quello che vorrebbe essere per farsi accettare dagli altri. È soltanto quando incontriamo qualcuno a noi simile che la togliamo perché quando si conosce la persona giusta bisogna essere onesti e mostrare chi siamo in realtà o rischiamo di perderla.
E feci proprio così quella sera, le mostrai il vero Gustav, quello che in pochi conoscevano perché lei, per qualche congiunzione astrale o piano divino, era lì per rendermi un uomo migliore di quel che ero diventato negli ultimi anni. Era innegabile: il successo e il denaro mi avevano trasformato travolgendomi in una vita che non mi piaceva e che non sentivo appartenermi.
Arrivai a Villa Szeps in ritardo, avevo perso la cognizione del tempo; dalla morte di mio padre e di mio fratello, avvenute qualche mese prima, non riuscivo più a dipingere. Il dolore bloccava sia la mente che la mano. Stavo colorando la maschera per il veglione serale quando l’immagine di un albero, un albero della vita per la precisione, irruppe nella mia testa portando con sé quella voglia di creare che credevo ormai di aver perso.
«Finalmente! Ci stavamo preoccupando» mi disse Arthur appena mi avvicinai al divanetto dove erano seduti. Lui e Sigmund erano i miei migliori amici, completamente agli antipodi per carattere, vivace ed estroverso il primo, serio e introverso il secondo.
«Non è da te ritardare a Villa Szeps» confermò Sigmund. Eravamo tutti e tre degli assidui frequentatori della casa; Berta, la proprietaria e figlia del più famoso editore di tutta l’Austria, organizzava spesso feste per pochi eletti e noi eravamo fra questi. Ci eravamo guadagnati tutti, per motivi differenti, un po’ di celebrità ed era obbligatorio che partecipassimo a certi eventi.
«Sì, scusate» tagliai corto. Non mi andava di dire loro il motivo del mio ritardo, un po’ era per scaramanzia, non parlavo mai a nessuno delle mie creazioni prima di terminarle, e un po’ perché in generale non era da me dare spiegazioni.
«Bah, non ti sei perso molto. La moglie del generale ci prova come al solito con il giovane Albert sotto gli occhi del marito, gli Schmidt si lamentano della nuova istitutrice, Sophie racconta il suo ennesimo viaggio a Parigi e gli altri sembrano dei morti viventi.» Arthur fece il sunto di cosa mi ero perso, nulla di interessante.
«Potresti scriverci un libro» commentò caustico Sigmund.
«In realtà ci stavo pensando, l’ambientazione carnevalesca potrebbe anche andar bene, è solo che dovrei cambiare totalmente i personaggi per dargli un po’ di brio e mistero.»
«Potresti prendere spunto dalla moglie del generale e il suo tradimento, quella donna non riesce proprio a distinguere il sogno dalla realtà» sentenziò Sigmund.
Arthur rifletté qualche attimo sulle parole del nostro amico per poi rispondere: «Interessante, potrei prendere spunto da qualcuna delle tue teorie sui sogni e chiamarlo proprio Novella del Sogno oppure Doppio Sogno.»
Seduto sul divanetto accanto a loro esclusi l’udito perché conoscendoli avrebbero parlato per ore dello stesso noiosissimo argomento; iniziai ad ammirare il salone in cui ci trovavamo, i mobili erano stati spostati per creare una vera e propria pista da ballo nello spazio centrale della stanza. In un angolo dei musicisti si guadagnavano da vivere suonando pezzi tipici della nostra tradizione e facendo ballare le persone più influenti della città. Il valzer andava per la maggiore e sebbene non tutti conoscessero i passi erano in molti a provarci.
Riconobbi la maggior parte dei partecipanti alla serata oltre le maschere che indossavano, era una sorta di dono che avevo. Ai tempi della scuola d’arte mi era stato insegnato di osservare attentamente i dettagli e con l’esperienza ero diventato talmente bravo a farlo che veniva quasi naturale.
«Gustav cosa ti succede stasera? Ci sono molte signorine che ti guardano per esser invitate a ballare.»
Anche Sigmund, per la professione che svolgeva, era un attento osservatore. Ultimamente mi recavo al civico 19 di Berggasse non solo per prendere una tazza di tè con lui ma anche per parlare del mio blocco.
«Non ne ho molta voglia, e poi ho già ballato con la maggior parte di loro e non sono un granché» risposi svogliatamente perlustrando con lo sguardo quell’insieme di pizzo, parrucche e abiti voluminosi.
E fu proprio in quell’istante che la vidi per la prima volta.
Di primo acchito mi colpì la sua maschera, non era come tutte le altre, nessun nastro di raso la bloccava dietro la nuca. Era dipinta e la tecnica sembrava notevole ma ero troppo distante per carpirne i segreti.
«Vado a prendere qualcosa da bere, torno subito» dissi ai miei compagni nel lasciare la postazione. Dovevo avvicinarmi di più.
Con nonchalance mi appoggiai, bicchiere alla mano, a una delle colonnine che delimitavano le scale, le ero a pochissimi metri di distanza.
Era alta circa quanto me, corporatura formosa ben fasciata dal bustino, capelli castano scuro acconciati secondo la moda del momento e abito blu che metteva in risalto un fantastico decolté. In quel mare di perbenismo e austerità era un’onda anomala, di quelle che ti travolgono togliendoti il fiato.
Stava parlando con Berta e sua sorella Sophie, dovevo approfittarne per avvicinarmi.
«Complimenti Berta, magnifica festa», attaccai bottone rivolgendomi alla proprietaria di casa, quest’ultima avrebbe seguito l’etichetta e mi avrebbe presentato quella splendida creatura.
«Oh grazie Gustav, sono felice che sia riuscito a venire. Le mie feste non sarebbero le stesse senza di lei» rispose l’adulatrice. Berta, come suo padre, era molto brava nell’amalgamare parole e retorica per imbonirsi gli altri.
«Troppo buona» le dissi con finto imbarazzo.
«Già conosce mia sorella Sophie, vero?»
«Sì, certo. Incantevole come sempre» mentii nel baciarle la mano facendole avvampare le gote. Sophie era una ragazza nella media che di certo non si ricordava per la sua bellezza.
«Non credo che conosca invece Fräulein Emilie Flöge, cara amica di mia sorella.»
“Emilie.”
«No, infatti. Piacere, Gustav Klimt.»
Ufficializzammo la conoscenza con un baciamano così come voleva il cerimoniale. La sua pelle profumava di spezie afrodisiache ed era così morbida da suggerire che non avesse mai lavato un solo piatto in vita sua.
Quando rialzai il busto mi accorsi che gli occhi le brillavano ed era diventata tutta rossa in viso, conoscevo molto bene quel genere di sguardo. Non le ero indifferente.
«Berta, è arrivato l’ambasciatore francese, dovremmo fare gli onori di casa» disse miracolosamente Sophie tirando via la sorella per un braccio. Forse si era accorta anche lei dell’effetto che facevo all’amica.
«Certo. Con permesso.»
Rimanemmo soli.
Emilie non doveva avere più di diciotto anni, era molto giovane. Lo sapevo bene perché avevo visto molti corpi femminili e il suo aveva la tonicità tipica di quell’età.
Ora che le ero a un passo potevo osservare meglio la maschera che si era dipinta sul volto.
“Ingegnoso.”
Aveva appoggiato sul viso del merletto e aveva tinto gli interstizi vuoti della trama con della pittura dello stesso colore dell’abito che indossava. In alcuni punti era un po’ sbavato ma la realizzazione era tutt’altro che approssimativa. Mi sembrò un ottimo spunto di conversazione visto il mestiere che facevo.
«Fräulein Flöge...»
«La prego, mi chiami Emilie.»
«Come desidera, Emilie», deglutii nervosamente.
“Che mi sta succedendo?” Non era da me innervosirmi davanti a una donna.
«Volevo farle i miei complimenti per la sua maschera, è la più bella di tutte stasera» ammisi con estrema sincerità. Doveva aver trascorso molte ore nel realizzarla, era giusto che qualcuno le rendesse giustizia.
«La ringrazio Herr Klimt...»
«Mi chiami Gustav» la interruppi.
«Va bene Gustav» mi disse abbassando il capo con disagio, era molto timida. «Detto da lei, è un vero onore» continuò con un cenno di sorriso.
Emilie aveva dei tratti somatici singolari che raramente avevo visto nelle donne viennesi: capelli ricci, labbra rosso fragola e naso aquilino. Ero stanco di disegnare sempre gli stessi soggetti e lei aveva tutte le carte in regola per diventare la prossima musa.
C’era qualcosa in quella giovane donna che mi ipnotizzava e non riguardava soltanto il suo aspetto fisico. Aveva il portamento di un’aristocratica ma a vedere la scarsa quantità di gioielli che indossava non doveva esserlo. Emilie era dannatamente seducente, così tanto che nella mia mente iniziai a figuramela avvolta solo in una stola di seta troppo piccola per contenere tutta la sua nudità.
“Nessuna fede al dito”, notai con sollievo ed eccitazione.
«Nell’amore ci accorgiamo per lo più troppo tardi se un cuore ci è stato dato solo in prestito, se ci è stato donato oppure se ci è stato addirittura sacrificato» ci interruppe Arthur.
“Maledetto paroliere!”
Il mio caro amico era molto amato dalle donne non solo per il volto d’angelo che la natura gli aveva donato ma soprattutto perché aveva il potere di conquistarle con pochissimi vocaboli scelti con sapienza. Questa volta però non gli avrei permesso di rubarmela.
Conoscevo Emilie da un battito di ciglia eppure una parte di me, quella governata dal puro istinto, mi diceva che fosse proprio lei la donna che cercavo fra le lenzuola di tutta Vienna.
«Quanto piacevole può esser il sacrificio se fatto con passione» proseguì Sigmund; per lui l’amore era solo una giustificazione per il sesso. Durante la nostra ultima seduta terapeutica aveva ribadito più volte che fossi pieno di sensi di colpa per le stragi di cuori che facevo e che i miei incubi erano un evidente campanello d’allarme.
“E meno male che sono i miei migliori amici!”
Con la spavalderia che li contraddistingueva da tutti gli altri uomini presenti alla festa si presentarono baciandole la mano senza esser introdotti da qualcuno. Guardavo con gelosia quelle bocche così familiari appoggiarsi su quella pelle che tanto desideravo avere soltanto per me.
Proprio mentre stavo per dire qualcosa di sgarbato per allontanarli Emilie risolse inaspettatamente la situazione: «Gustav, le andrebbe di ballare?»
E fu in quella fredda notte di Carnevale, fra maschere e sfarzo, che la mia musa mi scelse per tutta la vita.

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L’autore:
 photo Immagine_zpse4814515.png Anita Borriello è nata nel 1981 in provincia di Napoli, cresciuta in Maremma e attualmente residente a Roma. Diplomata come Ragioniere e Perito Commerciale, intraprende la carriera universitaria con la facoltà di Lingue e Letterature Straniere presso l’Ateneo di Pisa per poi cambiare corso di studi in Informatica Umanistica.
Nel 2003 inizia a lavorare come WebWriter Freelance creando contenuti editoriali e grafici per la rete.

Nel 2011 esordisce con il romanzo Brûlant, primo volume dell’omonima quadrilogia esoterica.

Nel settembre 2012 avvia il progetto “Elements Tales”, un’antologia urban fantasy scritta assieme alle autrici: AllegraBellini, Giulia Borgato, Christiana V e Paola Scamuzzi. L’antologia è composta da cinque racconti che richiamano i cinque elementi all’interno del pentacolo: spirito, acqua, terra, fuoco e aria. Il racconto di Anita Borriello, Gocce di Memoria, è il secondo in ordine di apparizione; l’autrice ha voluto unire il mito della Lorelei tedesca, rifacendosi alle teorie Paracelsiane degli esseri elementali, alla leggenda del nazismo esoterico che ruota attorno al castello di Wewelsburg. Il racconto è arrivato secondo classificato al voto del pubblico durante il Premio Selvaggia 2013 organizzato dall’Associazione culturale “Soliloquiamente”.
Nell’ottobre 2013 vince il primo posto del concorso “Antologia viaggi stregati” con il racconto: Il ballo della luna blu, racconto che verrà pubblicato in formato ebook e scaricabile gratuitamente.
Infine, nel dicembre 2013 esce il secondo volume della saga Brûlant intitolato Indigo.
 
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view post Posted on 13/8/2014, 05:34
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