Dall'Odissea al Ritorno di Ulisse

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view post Posted on 21/1/2015, 14:11
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… la vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare …

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Nuovo articolo di Maria Teresa Siciliano!
Dall'Odissea a Il Ritorno di Ulisse, un'operazione riuscita?






Nel 1979 uscì I guerrieri della notte di Walter Hill. Parlava delle bande giovanili di New York che si riunivano nel Bronx per trovare un accordo fra loro, ma qualcuno non aveva interesse alla pace e quindi nel corso della riunione il promotore veniva assassinato. I Guerrieri, accusati ingiustamente dell’omicidio, intraprendevano un lungo viaggio di ritorno verso Coney Island con la metropolitana e, qua e là, a piedi, combattendo contro agguati di ogni genere da parte delle altre bande.
Le enciclopedie del cinema ci dicono che il film traeva spunto dall’Anabasi di Senofonte, ma il critico di Repubblica, mi pare, sostenne che il punto di riferimento più adatto era l’Odissea (e per questo io lo andai a vedere): in effetti, durante la lunga notte travagliata, il protagonista ed i suoi incontrano strani gruppi in cui si possono riconoscere via via in forma moderna i Ciclopi, le Sirene, Circe e infine gli abitanti dell’Ade. I nostri combatteranno tutta la notte, con in mente solo la determinazione di tornare a casa. Ce la faranno in massima parte, ma alla fine avranno preso atto che appartengono alla classe sociale più diseredata e che Coney Island non è la terra promessa, la patria, ma un luogo brutto e desolato.
Mi piacciono molto le opere che si rifanno al mito, per quanto a prima vista choccanti. Ad esempio sono fra quelli che hanno apprezzato Troy, che pure si prende molte licenze rispetto alla tradizione greca, con la sua rilettura in chiave pacifista dell’Iliade. Quindi capirete che non potevo perdermi Il ritorno di Ulisse (serie televisiva andata in onda su Rai 1) ed ero pronta ad una rivisitazione in chiave moderna.
Su Wikipedia ho scoperto che l’edizione trasmessa in Italia è stata pesantemente censurata, togliendo soprattutto, o riducendo, le scene di sesso e di violenza (di uno stupro è rimasto solo qualche secondo). La fiction inizia dalla seconda parte dell’Odissea, lasciando fuori viaggi e mostri. E questo va bene, visto il titolo. Ma poi sono arrivate strane sorprese: innanzitutto il numero dei Proci viene ridotto a una ventina (cioè meno di un quinto del numero tradizionale); dei capi è rimasto solo Antinoo, mentre per ragioni sconosciute se ne inventano di sana pianta altri. La resa dei conti viene anticipata nella seconda puntata ed è piuttosto sbrigativa. Cosa ci sarà negli altri due episodi, mi sono chiesta.
In realtà tutto viene concentrato sulla figura di Ulisse: l’idea, in sé non malvagia, è quella di reinterpretarlo nella chiave del reduce, che è stato pesantemente segnato dalla violenza subita ed inflitta. I massacri compiuti lo hanno reso un uomo instabile e irrazionale, un pazzoide violento e sanguinario, un tiranno che non si fida più neanche della moglie e del figlio, che pure lo hanno aspettato per vent’anni, e delle persone più care sopravvissute. Per cui la fiction è una serie di morti e di pire, stranamente senza fuoco ma fumanti, in cui vengono via via bruciati i corpi dei vari personaggi. La vicenda viene complicata da una doppia storia d’amore di Telemaco con una schiava troiana e poi con la moglie Nausicaa, l’unico personaggio proveniente da una tradizione greca, sia pure secondaria.
Tralascio l’inserimento della Sparta di Menelao, reinterpretata in chiave vagamente nazista. Un po’ sprecato il personaggio del giovane Omero, che riceve dalla diretta voce di Ulisse il racconto, puramente verbale, delle sue avventure e che diventerà cieco nel corso della vicenda: l’unico particolare innovativo che mi è sembrato interessante, anche se solo accennato. La fiction si conclude con l’instaurarsi ad Itaca di una specie di monarchia liberale intorno a Telemaco e alla schiava Cleia, diventata regina (!).
Insomma una fiction piuttosto irritante. Imparagonabile con il film di Camerini, che pure all’epoca suscitò molte polemiche.
Niente a che vedere con il personaggio omerico, prototipo dell’uomo moderno: Ulisse, come diciamo noi (perché Omero parla ovviamente di Odysseus), è l’anti-Achille, che si affida all’astuzia piuttosto che alla forza (anche se è pur sempre un eccellente guerriero), che vaga da dieci anni per il Mediterraneo, perseguitato dall’ira di Posidone, dio del mare, e ama alcune donne, ma sempre desiderando ritrovare sua moglie. Per lei, che pure nel frattempo è invecchiata, e per la sua Itaca rinuncia all’immortalità che gli viene offerta dalla ninfa Calipso, innamorata di lui, e dice che gli basterebbe perfino vedere solo il fumo che sale in cielo dai tetti della sua isola e poi morire. Quasi nulla in comune con l’eroe dantesco della conoscenza (o almeno della conoscenza come la concepiva il medioevo).
Dopo il ritorno in patria, lo sterminio dei Proci e l’accordo con i nobili del suo regno, che sembra prefigurare il passaggio dalla monarchia alla repubblica aristocratica, Ulisse dovrà ripartire questa volta verso il continente. Qui penetrerà nell’entroterra con un remo sulla spalla, finché qualcuno gli chiederà: “Perché porti quel palo sulla spalla?”. Sarà il segnale che è arrivato fra genti che ignorano la navigazione. Allora si fermerà e costruirà un altare a Posidone. E il dio allora gli concederà di tornare ad Itaca, alla sua reggia e a sua moglie. E lì condurrà una lunga vita serena e pacifica. E a suo tempo una morte dolce gli verrà dal mare.
Per me incomprensibile che gli sceneggiatori del Ritorno di Ulisse non abbiano pensato ad un finale su questa falsariga, che si sarebbe conciliato bene con la loro reinterpretazione del personaggio.
 
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