Promesse fatte, di Amy Lane - 2° Libro della serie "Promesse" - 5 novembre

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view post Posted on 1/11/2013, 09:49
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Sono fatta così...un enigma avvolto in un indovinello e confezionato in un paradosso!

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PROMESSE FATTE

p83fIl più grande desiderio di Shane Perkins è essere un eroe. Ma dopo aver preso la decisione di lottare fino alla morte mentre la sua carriera viene distrutta, Shane torna a casa dall’ospedale e trova quattro mura vuote, un mucchio di soldi e un desiderio bruciante di avere qualcuno che sentirà la sua mancanza la prossima volta che verrà ferito compiendo il suo dovere. Finisce a fare l’agente di polizia nella piccola cittadina di Levee Oaks e, ossessionato dalla promessa di una famiglia, fa uno sforzo per riconciliarsi con sua sorella, volubile e inquieta. Kimmy si guadagna da vivere ballando e il suo partner toglie il fiato a Shane dal primo istante.
Mikhail Vasilyovitch Bayul balla come un angelo, ma il suo passato è tutto tranne che celestiale. Da quando ha lasciato la Russia, ha fatto solo due promesse: di stare alla larga dalla strada, di rimanere pulito e di portare sua madre in qualche bel posto prima lei che muoia. Fare promesse a chiunque altro è fuori discussione, però Mikhail non ha mai conosciuto nessuno come Shane. Serio, coraggioso, con la tendenza a sminuirsi, Shane sembra parlare il suo linguaggio e nessuno è più sorpreso di Mikhail nello scoprire che il miglior talento di Shane è quello di mantenere le promesse.

Genere: M/M
Editore: Dreamspinner Press
Pagine: 392
Formato: eBook
Uscita: 5 Novembre 2013


La serie "Promesse" è così composta:
1 - Promesse mantenute
2 - PROMESSE FATTE
3 - Living Promises
4 - Forever Promised



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LEGGI UN ESTRATTO:
Prologo





Just when you think you got it down…

“Promises in the Dark”—Pat Benatar





SHANE PERKINS non aveva mai avuto un uomo come amante prima di allora. Non conosceva il protocollo, ma era abbastanza certo che due agenti di zona che facevano sesso nello spogliatoio di una stazione di polizia di Los Angeles ne stessero violando parecchi articoli.

“No,” disse in tono fermo quando il suo compagno, ancora completamente vestito, gli circondò con le braccia il petto nudo e massiccio.

“No?” Brandon Ashford assomigliava più a un modello da calendario che a un poliziotto. Era alto, robusto come un salice, coi muscoli del petto scolpiti. Aveva anche capelli biondo scuro, occhi blu, rughe sottili agli angoli della bocca e un paio di fossette grazie alle quali uomini e donne gli erano sempre caduti ai piedi fin dal giorno in cui era nato.

“No” era una parola che Brandon non era abituato a sentire.

“Ci beccheranno. Non mi piace il Top Ramen. Preferisco mangiare hamburger.”

Shane udì il respiro confuso alle sue spalle e sospirò. Ancora una volta, aveva parlato saltando un paio di passaggi logici all’interno della conversazione. Nella sua testa aveva senso: se fossero stati scoperti, li avrebbero licenziati. Senza lavoro non avrebbero avuto soldi, e senza soldi sarebbero finiti a mangiare Top Ramen invece che gli hamburger al loro banchetto preferito nel quartiere spagnolo.

Brandon scosse la testa, frustrato. “Sì, vabbè Shane.” Alzò le braccia per circondargli le spalle e appoggiò il corpo snello alla sua schiena. “Non sto parlando del pranzo, amico, sto parlando di… sai…” Brandon abbassò la bocca all’orecchio di Shane, e Shane amava quando qualcuno gli sussurrava nell’orecchio. Era così che Brandon l’aveva convinto ad andare a letto con lui la prima volta. Quella che era iniziata come una punzecchiatura innocua e occasionale, era cresciuta improvvisamente d’intensità quando Brandon aveva bisbigliato nell’orecchio di Shane.

“Mangiare…” sussurrò Brandon, e la sola parola fece scattare in Shane un’erezione che avrebbe potuto ammaccare l’armadietto davanti a lui.

“Qualcuno potrebbe…” rispose Shane, impotente. In realtà voleva soltanto piegarsi e offrirgli il sedere. Non ci teneva particolarmente a stare sopra o sotto. Brandon era dietro di lui, sarebbe stato più semplice in quel modo.

“Non verrà nessuno,” disse Brandon, sorridendo. Aveva vinto, lo sapeva. Armeggiò con l’asciugamano di Shane che cadde a terra, rivelando il corpo grosso e massiccio dell’uomo. L’unica volta in cui Shane si era sentito aggraziato e minuto era stato nel letto di Brandon, nella magia delle sue mani. Quelle mani erano sulle sue cosce adesso e stuzzicavano la fitta peluria bruna del suo inguine.

“Non hai mai pensato di fare la ceretta?” mormorò Brandon dolcemente e Shane piegò la testa all’indietro poggiandola sulla sua spalla.

“No,” borbottò, incerto se stesse rispondendo alla domanda sulla ceretta o a quella sullo scopare al lavoro.

“Ti rende più accessibile,” Brandon lo baciò dolcemente sul collo, sulla clavicola e infine sulla spina dorsale, nel punto in cui i suoi capelli ricci e corti erano rasati dietro al collo. Lo mordicchiò e Shane piegò di nuovo la testa in avanti, sentendosi impotente. Non era giusto. Brandon poteva metterlo in subbuglio a quel modo; invece, per quanto ne sapesse, nulla di quello che lui gli diceva aveva alcun effetto.

“Essere accessibile è una cosa buona,” grugnì Shane e Brandon si sporse sul fianco per afferrargli il pene, che era diventato duro senza bisogno del suo permesso. “È…” gli venne meno la voce perché Brandon glielo aveva appena accarezzato e strizzato e il suo piccolo cervellino era esploso. “Appro… appropria… cazzo!” Shane si appellò al suo senso pratico e al suo amor proprio e si scostò, girandosi per dire a Brandon di tenere sotto controllo i suoi ormoni.

Quindi, quando entrò il capitano, Shane era quello nudo con un’erezione in un luogo pubblico e Brandon quello completamente vestito che sembrava sul punto di essere molestato sessualmente.

Brandon sorrise nel suo solito modo affascinante e alzò le mani. “Ehi collega, carino da parte tua pensare a me, ma sai, io non sono omosessuale!”

Ripensandoci in seguito, Shane aveva capito che gli sarebbe bastato dire qualcosa di arguto, qualcosa che rendesse la situazione talmente assurda da far alzare gli occhi al cielo al loro comandante e fargli pensare che stessero solo facendo gli scemi, o qualcosa del genere.

Ma Shane non era un tipo disinvolto. Non era spiritoso. Quello era Brandon. Shane aveva un cervello che tendeva a saltare a piè pari i dettagli e che si bloccava su dei concetti che avevano bisogno di una tesi di laurea per essere spiegati. Rivolse al capitano uno sguardo di totale, miserabile impotenza, mentre il suo dannato uccello si sgonfiava e afflosciava e lui arrossiva dappertutto.

“Titanic,” disse senza riflettere. Niente di più vero.

Il capitano si limitò a guardarli prima di girarsi e uscire dallo spogliatoio, senza dire una parola. Brandon gli volse le spalle disgustato, sbuffando come un genitore che rimprovera il figlio.

“Gesù, Shane, puoi cercare almeno una volta di non comportarti come uno psicopatico?”

“Titanic,” sussurrò ancora Shane, perché di certo quell’episodio li aveva affondati entrambi.

In realtà si sbagliava. Non li affondò entrambi. Trascinò Shane all’inferno, ma Brandon la fece franca.

Avrebbe dovuto capirlo quando Brandon fu riassegnato. Non era sicuro se fosse stata un’idea del capitano o di Brandon, ma poiché quest’ultimo si rifiutava di parlargli nella sala comune, nello spogliatoio e anche al telefono, si convinse che fosse sua. Passò una settimana orribile in attesa di una telefonata dagli Affari Interni, ma la notte che fu spedito tutto solo nei dintorni dell’Università della California del Sud, capì che quella chiamata non sarebbe mai arrivata.

Quindi, prima di uscire dall’auto della polizia e avventurarsi da solo nel peggior quartiere della città, con colpi di arma da fuoco che riecheggiavano tra le strade buie a causa dei lampioni spaccati, la fece lui una telefonata agli Affari Interni, specificando a che ora aveva chiesto rinforzi.

Poi lasciò un messaggio sulla sua segreteria di casa come ulteriore assicurazione.

Poi uscì dall’auto, solo, e si identificò ad alta voce prima di ripararsi dietro lo sportello della vettura e pregare.

Un mese dopo si stava ancora riprendendo dalle gravi ferite interne che aveva riportato a causa dei troppi proiettili che avevano colpito il suo giubbetto in Kevlar a distanza ravvicinata. Mentre l’avvocato lo portava fuori dall’ospedale in sedia a rotelle, il suo amichevole agente degli Affari Interni era lì ad attenderlo con un assegno, per tenerlo buono.

Shane guardò l’assegno, chiedendosi se tutti quegli zeri fossero davvero macchiati di sangue o se fosse solo la sua immaginazione.

“Allora cosa farai?” gli chiese quella sera Brandon al telefono. Non era mai andato a trovarlo in ospedale. Shane si era odiato per averlo sperato. Invece no, solo quella goffa, patetica telefonata che lui voleva finisse il prima possibile.

“Me ne andrò lontano,” disse Shane piano. “E troverò un posto dove poter ancora essere un poliziotto.”

Brandon veniva da una famiglia di poliziotti da quattro generazioni, ma aveva sempre pensato di essere sprecato per quel lavoro. Sapeva di essere bello e viveva a Los Angeles, aveva cose migliori da fare col suo tempo. Sbuffò disgustato sentendo la risposta di Shane. “È proprio da te, Shane. Hai soldi a sufficienza per andartene in giro per il mondo. Per fare qualsiasi cosa! Perché non usi un po’ di immaginazione?”

Shane conservava un ricordo molto vivido, che gli era balenato davanti agli occhi quando si era arruolato all’accademia, che lo aveva sostenuto durante le lunghe ore di studio e di lavoro per pagare un minimo di affitto e comprarsi del Top Ramen. Era lì ad accoglierlo quando aveva finito il corso, e a far sì che ne fosse valsa la pena.

Aveva otto anni ed era insieme a suo padre sul sedile posteriore di una limousine Lincoln. Suo padre era impegnato a lavorare su alcuni documenti, mentre l’auto viaggiava proprio nella zona in cui avevano sparato a Shane. In quel periodo suo padre era rettore dell’università. Non che questo l’avesse reso più o meno impegnato o più o meno distante di prima, ma i passaggi che gli dava per lasciarlo a scuola erano di certo più interessanti.

Erano fermi a un semaforo quando Shane aveva visto due poliziotti che inseguivano un tizio armato. L’uomo stava scappando, era nervoso e irrequieto e indossava un migliaio di strati di vestiario. (Anni dopo, quando si ritrovò ad avere a che fare con una situazione simile, Shane capì che quell’uomo era sotto l’effetto del crack, anche se adesso erano le metamfetamine ad andare per la maggiore.)

I poliziotti erano stati… straordinari.

Shane li aveva guardati con gli occhi spalancati mentre si lanciavano all’inseguimento per la strada, non con le pistole ma con la loro dedizione. Il poliziotto davanti aveva atterrato il cattivo (Shane lo aveva identificato così, allora) con una spazzata decisa e lo aveva ammanettato in modo efficiente senza usare alcuna violenza. Shane era sbalordito mentre si rialzavano da terra e si allontanavano, portando via il prigioniero.

Avevano fatto qualcosa di vero.

Shane era perlopiù un ragazzino calmo e paffuto. Gli piaceva vivere nel suo mondo popolato di cavalieri e draghi, dove il bene e il male erano distinti e senza sfumature. Gli piacevano gli ideali. Sua madre era all’altro capo del mondo, suo padre era distante e sua sorella gemella era talmente votata alla danza che non sembrava neanche vivessero nella stessa casa. Era cresciuto con quei libri, gli avevano instillato tutti quei valori in cui credeva, guadagnati col sudore della fronte.

E adesso eccoli lì. Cavalieri dall’armatura scintillante in carne e ossa, che compivano veri atti di coraggio per uccidere draghi tossicodipendenti e salvare principesse prostitute.

Shane voleva essere uno di loro più di ogni altra cosa.

E lo voleva ancora, anche adesso, a dieci anni dall’accademia e, tecnicamente, a pochi mesi dall’ottenere il distintivo di detective. Era ancora un tipo strano. Viveva più nella sua testa che sulla terra. Aveva imparato che la linea che divideva i buoni dai cattivi non era poi così assoluta: tanti “cattivi ragazzi” erano semplicemente smarriti, dipendenti e affamati. Aveva imparato che molti “bravi ragazzi” erano dei bulli, eccitati dall’usare il potere semplicemente perché potevano farlo.

Ma il principio di base era sempre lì, nitido, immacolato e bellissimo. Era un brav’uomo. Poteva fare la differenza. Tutte le stronzate stravaganti nella sua testa potevano diventare reali quando era per strada ad aiutare le persone.

“È la sola cosa che ho sempre voluto fare, Brandon,” disse, tra le mura buie del suo appartamento asettico. Dovrei avere qualcosa, pensò oziosamente. Se se ne andava lontano, forse avrebbe potuto comprarsi una casa, prendere un cane o qualcosa. Era stato via un mese e non c’era nulla ad aspettarlo, neanche un pesce rosso morto.

Brandon fece una risatina. “È proprio da te, Shane. Fammi sapere dove te ne andrai.”

“Non penso proprio,” replicò Shane. “Anzi, penso che tu sia la dimostrazione pratica di chi non voglio entri a far parte della mia vita.”

Riattaccò. Era la battuta migliore che avesse mai detto.





Capitolo Uno





And if I build this fortress around your heart…

“Fortress Around Your Heart”—Sting





ANCHE se Benny Francis aveva una bambina, in quel momento sembrava esserlo lei stessa, eccitata e con gli occhi che brillavano.

“Vai alla Fiera del Rinascimento autunnale? Davvero? Ooooooohhh…. ho amato quella estiva a Fair Oaks!” Si volse verso Andrew, il giovane soldato che suo fratello Crick aveva conosciuto in Iraq. Adesso lavorava per Deacon, il ragazzo di suo fratello, nel loro allevamento di cavalli di Levee Oaks, ed era parte della famiglia tanto quanto Benny o sua figlia, o tutte le persone che gravitavano attorno al Pulpito come pianeti attorno al sole. “Drew ti ricordi? Mi ci hai portata a giugno.”

Andrew annuì sobriamente ed evitò, con uno sforzo di volontà, di sfoggiare il sorriso abbagliante che illuminava il suo volto di colore. Ovviamente ricordava qualcosa di divertente riguardo quella giornata che Benny non avrebbe approvato.

Shane annuì verso Benny sopra alla sua fetta di torta alla crema di cioccolato e cercò di non comportarsi in modo bizzarro. Gli sarebbe piaciuto dire Oh vorreste voi, mia signora, narrarmi le gesta dei cavalieri di un tempo!, con un finto accento inglese e tutto, ma gli piaceva passare la domenica sera lì al Pulpito e non avrebbe mai voluto che Deacon, Crick o Benny, o una delle persone che si riunivano lì a cena una volta a settimana lo guardassero come lo aveva guardato Brandon quel giorno nello spogliatoio. Stava davvero cercando di non essere troppo psicopatico.

“Oh dimmi mia signora, vai in estasi vedendo i cavalieri sui loro destrieri che si impennano?”

Le parole, così simili a quelle nella testa di Shane, furono pronunciate con un tremendo accento inglese e il poliziotto cercò di non guardare male Jeff, il migliore amico di Crick.

Jeff era talmente gay da far sembrare la Easter Parade un funerale, ma era anche spigliato, arguto e divertente, e in grado di fare la battuta sulla signora del castello senza problemi, al contrario di Shane, che avrebbe fatto la figura dell’idiota o di quello bizzarro e socialmente ritardato. Per quanto bramasse di appartenere a quel luogo, col grosso tavolo di legno rovinato, in quella casa in stile ranch, quello non era affatto giusto.

Benny alzò gli occhi al cielo, poi guardò Jeff e disse: “Se volessi un cavaliere dall’armatura scintillante, o mio buffone di corte, Deacon, Jon o Shane sarebbero perfetti per quel ruolo.”

Jeff era magro e aggraziato in modo quasi comico. Era quel tipo di persona che poteva sculettare mentre camminava e trillare quando parlava, e poi diventare di botto dannatamente sobrio ed essere preso sul serio. Aveva i capelli dello stesso color castano lucente di Shane e l’uomo sospettava che avesse anche i suoi stessi ricci ribelli, ma Jeff aveva un taglio sofisticato e un qualche gel miracoloso con cui riusciva a sistemarli e a farli stare a posto.

Jeff poteva avere tutti gli amici che voleva. Sembrava ingiusto che volesse proprio lo stesso gruppo di amici che voleva Shane, perché lui non aveva una gran fortuna in ambito sociale. O nell’ambito degli amici. O in quello della famiglia.

Ma aspetta un attimo. “Io sarei un cavaliere dall’armatura scintillante?” chiese a Benny e lei gli sorrise attraverso i capelli bruni e ricci della bimba che portava in braccio. La piccola stava mangiando la torta della madre con tale soddisfazione e determinazione da suscitare l’ammirazione di Shane. Non aveva mai visto qualcuno leccarsi via la panna dai capelli aggrovigliati.

“Ma certo che sì, Shane! Guardati… al posto del destriero hai un’auto di grossa cilindrata, per te aiutare gli altri è una cosa naturale e nessuno potrebbe mai dubitare delle tue buone intenzioni. Sì,” concluse allegramente, dando il penultimo morso alla torta sul piatto. “Un cavaliere dall’armatura scintillante senza alcun dubbio!”

“E io cosa sarei allora?” chiese Andrew, con un pizzico di vero dispiacere mischiato a finto sdegno. Anche Shane aveva capito che, a dispetto della differenza d’età, Andrew voleva essere il solo cavaliere di Benny.

La ragazza riservò ad Andrew un sorriso più caloroso e intenso, cancellando il suo dispiacere. “Tu sei uno scudiero, sei come un cavaliere in addestramento. Alla fine avrai gli speroni.”

“Sarai la mia Lady?” chiese Andrew e Benny si trasformò in un batter d’occhio da ragazza incantata a tentatrice di vecchia data.

“Forse,” lo provocò, poi si girò verso Shane, senza vedere Andrew che si portava una mano al dardo immaginario che gli aveva trafitto il cuore. “Allora, ti comprerai un costume?”

“Un costume?” disse senza capire e lei annuì. Andrew alzò gli occhi al cielo.

“Già, sai… sono tutti in costume. Di solito i costumi veri da cavaliere sono riservati ai tizi che montano i cavalli, ma ci sono dei bellissimi costumi da contadino e da mercante e…” Guardò teneramente la sua bambina. “Abbiamo comprato i capi base, ma c’erano anche ali, cappelli e tutto.”

Non aggiunse altro, ma i suoi occhi guizzarono verso il punto in cui suo fratello Crick e il suo ragazzo stavano lavando i piatti. In effetti era Deacon, il fidanzato, il proprietario dell’allevamento di cavalli e Shane sapeva che l’attività era nei guai. L’omosessualità di Deacon era stata resa pubblica in modo spettacolare, con un pestaggio per opera di un agente di polizia locale cui aveva fatto seguito un processo piuttosto drammatico. Come risultato, il ranch aveva perso gran parte dei clienti nelle vicinanze. Quando Crick era tornato dall’Iraq a maggio, ferito e impossibilitato a lavorare per guadagnare qualche extra, era un eufemismo dire che fosse difficile mantenere l’allevamento.

Poi era successo qualcosa che gli aveva concesso del tempo. Shane sapeva che aveva qualcosa a che fare con la decisione di Crick di non andare al college dopo il suo ritorno (una cosa che feriva Deacon, ma di cui Crick non si preoccupava per niente), ma ciò non cambiava il fatto che le finanze fossero ancora precarie. Una volta al mese la famiglia si riuniva, e Shane era molto onorato di far parte di quegli incontri adesso, e Deacon illustrava quanti soldi avevano perso e quanti ne avevano ancora, e che tipo di fattoria potessero permettersi in un’altra parte dello stato o addirittura del Paese. Tutti sapevano che l’avrebbe ucciso rinunciare al Pulpito. Suo padre aveva messo su il ranch dal nulla e Deacon lo amava solo un po’ meno di quanto amasse Crick. Ma Deacon era irremovibile, la famiglia aveva la precedenza. Benny e Parry Angel dovevano avere la miglior educazione possibile e vivere al meglio delle loro possibilità: se questo significava spostare l’allevamento prima di perderlo, amen.

Rimanevano tutti col fiato sospeso durante le riunioni mensili, aspettando di sapere se avevano ancora qualche mese a disposizione per dare al ranch la possibilità di rimettersi in sesto. Deacon era magro e trasparente. Jon, il suo migliore amico, aveva istituito una sorta di “pesata di Deacon” che si teneva durante gli incontri, in modo che la famiglia potesse essere al corrente delle sue condizioni di salute. Shane guardò con aria triste il punto dove era in piedi Deacon; il suo metro e ottanta sembrava rimpicciolirsi vicino ai dieci centimetri in più di altezza di Crick. L’ultima volta pesava quasi settantatré chili. Meglio di quando Shane era andato là la prima volta (lo avevano chiamato perché la folle famiglia di Crick e Benny aveva deciso che era tempo di piantare un casino e portar via la bambina alla giovane mamma), ma non abbastanza da farlo sembrare forte e in salute e Shane aveva bisogno che lui lo fosse.

Shane prestava servizio nell’unità di polizia locale in quel periodo. Avrebbe dovuto essere un nemico dopo tutto quello che aveva passato Deacon, invece l’avevano invitato a far parte della loro famiglia come un amico. Non aveva mai avuto una famiglia tanto calorosa. Aveva bisogno che l’allevamento di cavalli restasse lì a Levee Oaks. Aveva bisogno che quella famiglia stesse bene.

Guardò con aria pensierosa Deacon che cercava di impedire a Crick di appoggiarsi col mento appuntito sulla sua spalla per fargli mangiare una fetta di torta. Un maschio alfa di un metro e ottanta, scheletrico e determinato, nascosto dietro un sorriso timido. Non avrebbe mai negato nulla a Benny o a Parry Angel. Era probabile che Benny si fosse trattenuta volontariamente dal fare shopping sfrenato alla fiera per fare la sua parte e tenere Il Pulpito dove stava adesso.

Shane tornò a guardare la ragazza. Quel mese aveva i capelli arancioni e i suoi occhi, di un bel blu e della stessa forma di quelli di Crick, erano malinconici e sognanti. Benny poteva essere la cosa più vicina a una damigella in difficoltà che Shane avrebbe mai potuto salvare.

“Che cosa volevi comprare?” chiese, invitandola a fare conversazione. Per fortuna aveva messo in funzione il suo cervello da investigatore in modalità “registrazione”. Saltò fuori che una ragazzina di sedici anni, con in braccio la sua amata figlioletta, poteva fare un sacco di sogni da principessa dopo una sola visita alla fiera.

Dopo qualche minuto Benny portò via la bambina per farle il bagnetto, che si trasformò in un evento collettivo, visto che erano lì anche gli amici di Deacon, Jon e Amy, e che avevano deciso che anche la loro piccola Lisa di quattro mesi avesse bisogno di una lavata al culetto. Dopo che metà delle persone presenti lasciò la stanza per il bagnetto-evento, Deacon chiese chi volesse portare gli avanzi della cena ai maiali e Shane quasi rovesciò la sedia per proporsi come volontario.

Il porcile si trovava al buio oltre la stalla, ma a Shane non dispiaceva camminare. Anche se erano i primi di ottobre, la serata era calda abbastanza da indossare dei bermuda e una maglietta a maniche corte; la brezza pungente che spazzava il delta e la valle suggeriva l’arrivo di novembre. Era una serata piacevole per star fuori, ed era un bene, perché aveva qualcosa da fare mentre era lì sotto le stelle.

Tornando, girò attorno al fienile, trovò la pila di balle di fieno sotto la luce che illuminava l’edificio, tirò fuori il suo piccolo taccuino con una penna e iniziò a scrivere. Era così assorto nel suo compito che, finito di annotare tutti i desideri di Benny, fu sorpreso di scoprire che Jeff era uscito sul portico ed era lì in piedi a fumare una sigaretta.

Shane mise via carta e penna, afferrò la ciotola di plastica dove prima c’erano gli avanzi e cercò di tornare verso la casa come se non avesse fatto nulla di cui si dovesse parlare.

Jeff non gliela fece passare liscia.

“Ti ricordavi la fragranza della crema per le mani che voleva?” gli chiese non appena raggiunse gli scalini.

Shane arrossì. “Camomilla-lavanda, con un pizzico di vaniglia” disse piano e Jeff inarcò le sopracciglia mentre inalava. “Ti fanno male,” disse, cercando di cambiare argomento.

“Per questo ne fumo solo una al giorno,” disse Jeff freddamente, buttando fuori il fumo. “Alla fine pare che l’esercito abbia pagato la nuova elegante protesi di Andrew, dello stesso colore della sua pelle.”

Shane provò a fare il finto tonto. “Pare? Perché pensi che non l’abbia fatto?” Non arrossire non arrossire non arrossire non arrossire.

“Tanto per cominciare, Benny ha passato solo un giorno al telefono per sistemare l’assicurazione. Sappiamo tutti che già questa è una favola per bambini, vero?”

“Cosa ti fa pensare che sia successo qualcos’altro?” Shane cercò di mantenere sul suo viso un’espressione più neutrale possibile.

Jeff guardò con tristezza la sigaretta consumata e la spense sotto la suola della scarpa. “Mmmm… non lo so. Forse le chiacchiere che girano in ufficio riguardo al ‘grosso poliziotto enorme’ che è venuto a pagare il nuovo arto di colore di Andrew e che ha chiesto di non dire nulla? È un indizio bello grosso questo, non credi? Lavoro nella clinica per i veterani, Shane, pensavi che sarebbe rimasto un segreto?”

Shane si sentì estremamente a disagio e sì, come temeva, la sua pelle chiara fu invasa dal rossore. “Per favore non dirglielo,” lo pregò alla fine “Tutti hanno un proprio orgoglio, sai?”

“Non ti chiederò perché l’hai fatto,” disse Jeff dopo un istante, “perché sappiamo entrambi che ci sarebbero voluti dei mesi altrimenti; probabilmente l’avrei fatto anch’io, ma non ho i soldi.”

Shane guardò in basso e il silenzio si protrasse. Jeff scese gli scalini per buttare il mozzicone della sigaretta in uno dei bidoni all’estremità della casa. Tornò indietro, spruzzandosi la mano con dell’alcool da una bottiglia che teneva in tasca.

“Allora, sei pronto per dirmelo?” gli chiese, strofinando le mani una sull’altra in modo deciso. Shane fece spallucce. “Senti, ragazzone, manterrò il tuo segreto, a meno che tu non mi dica che vai per strada a battere, okay?”

Shane riuscì a ridacchiare su quell’ultima battuta. “Divertente.”

Jeff fece spallucce. “Già, ho una boccuccia di rosa.”

“Non per come l’hai detto, proprio l’idea che qualcuno mi vorrebbe. Si spaventerebbero per le mie stranezze, come una specie di malattia che si trasmette col sesso.”

Jeff inspirò e lo sbirciò nell’oscurità. “Questa famiglia ti ama, Shane. Anzi, penso si preoccupino per te. Se sei strano, è perché te ne stai troppo nella tua testa, e ti basta guardare Deacon per capire come questo tipo di comportamento possa ferire una persona. Ora: mi vuoi dire da dove prendi i soldi, o devo andare a spifferare di come passi il tempo a fare Babbo Natale senza farlo sapere a nessuno?”

Ahio. Shane guardò male Jeff. “Neanche ti piaccio.” Era vero… Jeff si era rivolto a lui con epiteti malevoli fin dal suo arrivo. “Ragazzone” era un miglioramento rispetto a “Yeti”, “Piedone” e (dopo che aveva rivelato la sua omosessualità a tavola) “Shane, il succhiatore peloso”.

“Non è vero,” protestò Jeff senza neanche battere ciglio. “Mi piaci. Ero geloso di te, ma penso che tu sia un tipo okay.”

“Geloso.” Battito di ciglia. “Di me?”

Jeff alzò le spalle. “Arrivi qui per rispondere a una chiamata e loro ti invitano a cena? Diavolo, ho dovuto lavorare sul braccio di Crick come Gesù stesso col tocco guaritore per avere quell’invito!”

“Mi ha invitato Jon,” brontolò Shane. “Quando è arrivato, ha fatto un po’ il coglione con me. Si sentiva in colpa.”

“Davvero?” Jeff si rincuorò. “Quindi è stato per compassione? Eccellente. Nessun rancore, giusto ragazzone?”

Perché avrebbe dovuto portargli rancore? Era Jeff che gli aveva offerto il ramoscello d’ulivo. Shane fece spallucce. “Nessuno.”

“Bene, allora: dimmi dove hai preso i soldi, così posso dire a Deacon di smetterla di preoccuparsi, e questo sarà il nostro piccolo segreto.”

Shane si accigliò, sentendosi uno schifo. “È stato Deacon a dirti di chiedermelo?”

Jeff fece un gesto con la mano. “No, stava per farlo lui. Ma il pensiero di voi due qui fuori a non parlare era tale da far sentir male anche la bambina. Quindi, parla o lo saprà tutta la famiglia. Loro sono la nostra famiglia, giusto?”

Merda. Sì. “Il distretto di polizia di Los Angeles mi ha fatto cadere in un agguato. Quando il mio culo di finocchio non è saltato per aria, mi hanno dato dei soldi per mettere tutto a tacere.”

Jeff spalancò gli occhi e spinse in su in modo teatrale la sua mascella. “Mi stai prendendo per il culo?”

Shane si strofinò il petto, dove poteva ancora sentire sotto la maglietta le cicatrici lasciate dall’operazione. “Nah. Sai, quando le costole ti perforano i polmoni attraverso la camicia, e devono toglierti la milza e tutto… beh direi che lo scherzo è andato un po’ oltre.”

Non si aspettava che Jeff lo colpisse alla mascella, né che gli facesse così male. Atterrò sul sedere e guardò in alto verso Jeff con gli occhi pieni di puro stupore.

“Ma che cavolo…?” Era del tutto confuso.

“Fai ancora quel lavoro!” disse Jeff, sconvolto. Stava scuotendo la mano… e a ragione, dannazione; gli aveva fatto male.

“Allora…” Shane sbatté gli occhi. “Lo ripeto? Ma che cavolo fai?”

“Brutto stronzo!” ruggì Jeff. Deacon uscì in quel momento e cercò di fare il punto della situazione.

“Che diavolo succede?” Deacon tese la mano mentre lo chiedeva e Shane la prese, ancora confuso.

“Deacon, mi ha colpito!”

E Jeff era furioso con lui. “Deacon, vuoi sapere da dove vengono i suoi soldi?”

“Mi avevi promesso di non dirlo!” Qualcosa in quella conversazione gli sembrava al tempo stesso strano e familiare. Shane non riusciva a capire cosa fosse e ciò rese quel momento ancora più surreale.

“Prima di scoprire che stai cercando di suicidarti facendo il poliziotto!” ringhiò Jeff; Shane lasciò andare la mano di Deacon, sbattendo di nuovo il sedere contro la veranda.

“Io, cosa?”

“Ti sparano a Los Angeles perché sei un grosso e stupido bastardo d’un finocchio, e poi tu vieni qui dove picchiano anche i civili per questo! E non lo dici a nessuno… ti presenti a cena di domenica come se dovessi fermarti per un po’ da queste parti e nessuno qui sa che sei un fottuto bersaglio che cammina!”

“Io non sono un bersaglio che cammina,” disse Shane, alzandosi pesantemente sulle ginocchia e accettando nuovamente la mano che Deacon gli offriva con pazienza. “E magari stessi fottendo qualcosa.”

Deacon Winters aveva un volto straordinariamente bello, a forma di ovale squadrato con una mascella pronunciata, una bocca angelica e deliziosi occhi verdi. E ora quegli occhi stavano guardando i due uomini nello stesso modo in cui Shane l’aveva visto guardare Crick e Benny quando litigavano. Fu allora che comprese.

Lui e Jeff stavano litigando come fratelli. Lo guardò di nuovo. L’uomo stava controllando la manicure della mano con cui lo aveva colpito come se fosse qualcosa di prezioso. Okay, stavano litigando come fratello e sorella. Quello che era. Fratelli.

Shane arrossì e disse la verità, perché glielo doveva. “È bello che tu ti preoccupi per me,” disse piano e Deacon lo guardò inarcando un sopracciglio, come se dovesse aggiungere altro. “Seriamente?” chiese, rispondendo alla domanda non espressa, e Deacon annuì.

“Sono dannatamente serio.”

Shane mandò fuori l’aria. “Okay. Bene. Mi dispiace non avervi detto che poteva esserci un problema in quel senso. Non pensavo fosse così importante da sprecare il vostro tempo, okay?”

“No,” disse Deacon giudiziosamente. “Jeff, perché non vai dentro e chiedi a Benny o Crick di occuparsi della tua mano? Io e Shane dobbiamo parlare.”

“Già,” borbottò Jeff.

“Jeff?” Ragazzi, Deacon aveva un tono autoritario nella sua voce. Shane avrebbe dato il suo testicolo sinistro per averlo anche lui.

Shane aveva trentun anni, Jeff aveva la sua stessa età o qualche anno in più, mentre Deacon era più giovane di entrambi. Jeff si girò verso Deacon come un bambino verso il padre. “Sì, Deacon?” chiese dolcemente, sbattendo le ciglia scure dei suoi occhi castani.

Deacon lo guardò con gentilezza. “Mi pare che Shane si sia scusato.”

“Va beeene,” disse alzando gli occhi al cielo. “Va bene. Mi dispiace di averti colpito, stupido poliziotto grande e grosso. Per favore, cerca di non farti sparare in quel tuo culone prima di domenica prossima, okay?”

“Lo prometto,” disse Shane con sincerità, guardandolo sorpreso. Fece un goffo passo in avanti e Jeff sghignazzò. Stavolta fu Shane ad alzare gli occhi al cielo. “Grazie Jeff, per esserti preoccupato.”

“Già, quello che è.” Jeff sbuffò e rientrò in casa, lasciando Shane solo con Deacon.

Era nervoso oltre ogni dire.

Deacon lo guardò per un attimo e gli toccò la mascella con dita delicate, poi grugnì. Si avvicinò alla porta e gridò: “Crick, portami del fottuto ghiaccio!”

“Piantala di imprecare davanti alla bambina, idiota!” fu la risposta che arrivò dalla porta, ma Shane era sicuro che Crick stesse facendo quello che Deacon gli aveva chiesto.

Deacon si avvicinò alla ringhiera della veranda e ci si appoggiò, proprio come aveva fatto Jeff prima. “Ti hanno sparato?” chiese gentilmente e Shane fece spallucce.

“Mi… mi hanno mandato a risolvere una situazione pericolosa senza rinforzi,” disse con prudenza. “Il Kevlar, sai… non ti protegge dall’impatto.”

“No. No, non lo fa. Jeff aveva ragione? Avevi rivelato la tua omosessualità?”

Shane diventò ancora più rosso, se possibile. “Non di proposito,” borbottò; Deacon si voltò a guardarlo con le sopracciglia inarcate fin quasi all’attaccatura dei capelli.

“Voglio saperlo?”

Oh Dio. Tutto meno che raccontare quella storia a Deacon. Shane pensò con onestà che l’avrebbe raccontata a suo padre, se quello stronzo fosse stato ancora vivo, piuttosto che a Deacon, a cui piaceva, e che lo rispettava.

“Devo dirtelo?”

Deacon lo guardò con gentilezza. “Ascolta Shane, non posso costringerti a farlo. Ma…” L’uomo sembrava imbarazzato ma, visto che lo sembrava spesso, quell’aspetto gli donava. “Ascoltami. Puoi andare avanti e tenerti tutto chiuso dentro al petto, va bene. Ma io sono l’emblema di cosa succede se reprimi le tue emozioni, e devo dirtelo… hai bisogno di confidarti con qualcuno. Quello che ci preoccupa adesso è proprio ciò che ha detto Jeff. Questo dipartimento sa la verità su di te? Sei in pericolo? Perché se hai altri rinforzi là fuori, non ce lo hai detto. E se invece i rinforzi siamo noi… beh abbiamo bisogno di saperlo giusto?”

Shane deglutì. “Non ci sarò il prossimo fine settimana. Potreste dar da mangiare ai miei animali sabato?”

Deacon non si mostrò neanche sorpreso per quel repentino cambio di argomento. “Così sappiamo di doverci prendere cura di loro se ti succede qualcosa, giusto?”

“Già. Angel Marie mangia un sacco.”

Deacon inarcò le sopracciglia. “Angel Marie?”

Scrollata di spalle. “Avrei trovato un altro nome, se avessi già conosciuto Parry Angel. Comunque, temo che se non sarò lì per un paio di giorni, potrebbe mangiarsi un gatto.” Oh Cristo. Detto così sembrava bizzarro. Lo sapeva, ma non poteva farci niente. Angel Marie non avrebbe mai mangiato apposta Orlando Bloom o uno degli altri, ma quell’enorme scemo non era esattamente schizzinoso nei suoi gusti e pesava oltre settanta chili. Shane si riteneva fortunato che l’alano non avesse ancora mangiato lui per colazione.

Ma Deacon non batté ciglio neanche a quello. Shane sentì un improvviso impeto d’amore per quell’uomo. Non perché fosse bello o perché lo invitasse a cena ogni domenica e alle riunioni di famiglia, ma perché non l’aveva mai fatto sentire strano.

“Okay, allora facci vedere dove abiti e come dar da mangiare ai tuoi animali, e in cambio ci prometti che ci chiamerai se qualcosa andasse storto. Se pensi di stare andando da qualche parte senza rinforzi, chiamerò Jon e arriveremo lì, molto semplice.”

“Deacon, voi non siete poliziotti!”

“No. Ma questa è una piccola cittadina. Conosciamo la maggior parte delle persone che combinano guai, come le conosci tu. Shane, Parry Angel ti chiama ‘Zio Shaney’… non te ne andrai da nessuna parte senza qualcuno che ti copra le spalle!”

Shane rese il suo volto il più rigido possibile. “Cittadino,” disse in tono espressivo. “Non puoi metterti in pericolo…”

“Piantala, Perkins. Abbiamo tutti il porto…”

“Fare il vigilante è un crimine.”

“Anche la discriminazione. Voglio la tua parola, Shane.”

Com’è che quella situazione gli era sfuggita di mano a quel modo? Shane era stato padrone del suo destino fino… fino… fino a quando aveva visto arrestare un malvivente quando era un bambino!

“Deacon! Ascoltami, è pericoloso. Ci sono molte, molte cose sbagliate nel…”

“Nel mandare un fratello in mezzo al pericolo?” Deacon gli rivolse uno sguardo misurato e Shane dovette cedere. C’era qualcosa in Deacon Winters, una certa dose di eleganza, di padronanza di sé, che rendeva impossibile opporglisi in quelle condizioni.

Shane grugnì. Grande. Alla fine aveva una famiglia, e suo fratello maggiore pensava che non sapesse prendersi cura di sé stesso. “Crick riesce mai ad avere ragione?” chiese in modo aspro; sapeva che Deacon avrebbe riso prima ancora che iniziasse.

“Tutte le volte. Che stronzo irritante.”

“Lo stronzo irritante ti ha appena portato del ghiaccio!” protestò Crick, incorniciando lo spazio della porta con zanzariera con la sua figura alta e dal petto ampio. Shane si chiese da quanto tempo fosse lì, poi Crick lasciò andare il ghiaccio nella sua mano con un’imprecazione e lui smise di chiederselo.

“Ne hai preso un po’ per te?” chiese Deacon, raccogliendo il pacco da terra e prendendo la mano di Crick nella sua. Crick era tornato dalla sua missione di due anni nel Golfo con dei ricordini a confronto dei quali le cicatrici di Shane sembravano come le ginocchia sbucciate dei bambini. Il ragazzo, aveva ventitré anni forse, raramente si lamentava.

“È già abbastanza intorpidita,” borbottò Crick. “Non preoccuparti per me, Deacon. Mettigli del ghiaccio sulla mascella prima che si gonfi.”

Deacon si portò alle labbra la mano contorta e sfregiata dalle cicatrici di Crick, in una dimostrazione d’affetto tenera e veloce che fece venire a Shane un groppo in gola. Vedere quel tipo di gesti gli faceva pensare che fosse possibile essere felici.

Shane rimase fermo in piedi mentre Deacon gli applicava con attenzione il ghiaccio sulla mascella. Sapeva che entrambi erano stati paramedici una volta, il tocco professionale di Deacon ne era la prova.

“Allora dove te ne vai?” chiese Deacon piano. “Intendo, quando ci prenderemo cura dei tuoi animali… dove sarai?”

“A Gilroy,” gli disse Shane. Non menzionò la Fiera: se Deacon non avesse saputo che ci andava, non avrebbe potuto offrirgli dei soldi per prendere a Benny le cose che aveva deciso di comprarle lui.

Deacon alzò lo sguardo arricciando il naso e facendo spallucce, invitandolo a dirgli qualcosa in più. Gilroy era una specie di grande nulla… un sacco di fattorie, allevamenti, alcuni sobborghi.

“Mia sorella sarà lì,” gli disse Shane.

“Hai una sorella?” chiese Crick, lasciandosi cadere sulla panchina di pietra appoggiata contro il muro. “Wow, guarda un po’, quando pensi di conoscere qualcuno…”

Shane alzò un sopracciglio, beffardo. La verità era che lui parlava ancora meno di Deacon, lo sapevano tutti. “Sono anni che non la vedo,” disse piano. In effetti non la vedeva dal funerale del padre, ma si sentivano un paio di volte l’anno. Gli aveva mandato dei fiori quando era stato in ospedale, insieme a una lettera. Dannazione Shaney, trovati un altro lavoro o impara a schivare. Sono troppo concentrata su me stessa per farmi invischiare da queste stronzate dolorose, quindi ti tocca restare vivo. In seguito aveva ricevuto dei biglietti e anche delle chiamate di tanto in tanto, che aveva sempre ricambiato. Voleva che andasse a vederla esibirsi da un anno e ora lui aveva del tempo libero. Sembrava proprio il momento adatto.

“Che fa a Gilroy?” chiese Deacon. Gilroy era a circa tre ore di macchina e si trovava letteralmente in mezzo al nulla, in culo alla luna.

Shane sorrise, perché la risposta era così inverosimile. “Ci credi se ti dico che balla?”

Non vedeva l’ora di ammirarla in azione, era sempre stata bellissima quando danzava.
 
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